La Nato e la riscossa della difesa collettiva

La Nato che emerge da due anni dall’inizio dell’invasione Russa può essere inquadrata su tre elementi principali: la difesa collettiva come priorità assoluta, l’allargamento a nuovi alleati e il potenziamento della deterrenza. Il Concetto Strategico del 2022 sancisce questa svolta sostanziale per l’Alleanza. 

La centralità di deterrenza e difesa

La Nato di oggi vede la Russia come la minaccia principale per la sicurezza dell’Alleanza, per la pace e la stabilità dell’area euro-atlantica. Delle tre core task della Nato (difesa e deterrenza, prevenzione e gestione delle crisi, e sicurezza cooperativa) risulta chiaro che la prima abbia assunto un ruolo preponderante rispetto alle altre. 

Al netto di risorse limitate a disposizione delle forze armate alleate, la priorità data alla minaccia russa, concentrata in gran parte sul fianco orientale, comporta anche una de-prioritizzazione di quello meridionale. Sebbene il terrorismo sia formalmente indicato come una grave minaccia asimmetrica, di fatto il rovinoso ritiro della Nato dall’Afghanistan e soprattutto la guerra in Ucraina hanno radicalmente trasformato la postura militare dell’Alleanza verso scenari di conflitto convenzionale fra forze simili in numero e capacità sul lungo confine orientale. Ciò contribuirà probabilmente a relegare la prevenzione e gestione delle crisi a un ruolo di secondo piano.

Allargamento della Nato a nord ma non a est

La guerra ha portato Svezia e Finlandia a chiedere l’adesione alla Nato, cambiando le rispettive, storiche politiche di neutralità considerate non più adeguate a disincentivare un possibile attacco russo. Mentre Helsinki è entrata nell’Alleanza in tempi record, la situazione per la Svezia resta tutt’ora in stallo, anche a causa della mancata ratifica dell’adesione da parte dei parlamenti ungherese e turco. 

L’ingresso della Finlandia, e in prospettiva quello della Svezia, rafforza considerevolmente l’Alleanza, anzitutto perché la doterebbe di nuove forze armate capaci ed esperte nel combattimento a ridosso dell’Artico, nonché in termini di difesa aerea e velivoli da combattimento. In secondo luogo, tale allargamento consolida la posizione Nato intorno al Mar Baltico, dove Lituania, Lettonia e Estonia soffrivano di una posizione strategicamente precaria, circondate come sono dall’exclave russa di Kaliningrad, dalla Russia e dalla Bielorussia, che cambia in meglio con la sponda alleata finlandese e in prospettiva svedese. 

La questione dell’adesione dell’Ucraina è entrata con crescente insistenza nel dibattito pubblico attorno alla Nato, fino a diventare uno dei temi principali nel summit del 2023 a Vilnius. Gli alleati hanno però ribadito che l’Ucraina non riceverà inviti ufficiali finché il conflitto con la Russia sarà in corso e finché non ci sarà unanimità al riguardo, chiudendo le porte a Kyiv almeno nel medio termine.

Rinforzi e difesa avanzata

L’obiettivo principale per la Nato è al momento quello di rafforzare fortemente la propria capacità di deterrenza e difesa collettiva. In primo luogo con il potenziamento della enhanced Forward Presence (eFP), composta da quattro battaglioni multinazionali (battlegroups) schierati in Lettonia, Lituania, Estonia e Polonia, sia in termini di dimensioni che di capacità. Inoltre, sotto l’etichetta di Enhanced Vigilance Activity (eVA), altri quattro battlegroup multinazionali sono stati dispiegati in Romania, Bulgaria, Ungheria e Slovacchia, guidati rispettivamente da Francia, Italia, Ungheria e Repubblica Ceca. In tutti i casi, gli alleati che guidano i battlegroup e le altre nazioni contributrici stanno incontrando serie difficoltà nel tentativo di mantenere queste forze avanzate. La capacità della Nato di rafforzare adeguatamente le proprie difese avanzate rappresenta un elemento cruciale nella credibilità del deterrente alleato convenzionale. 

In seguito all’adozione del nuovo Concetto Strategico, l’Alleanza ha fissato inoltre obiettivi molto ambiziosi quanto a nuovo modello complessivo per le forze alleate (Nato Force Model). Questo modello prevede un aumento da 40.000 a 300.000 unità per la forza di reazione rapida da dispiegare in pochi mesi dall’attivazione – di cui una quota in poche settimane – a rinforzo della difesa avanzata. Ma tale incremento sarà alquanto difficile da attuare nel breve e medio termine, considerando la scarsità di risorse che accomuna in misura diversa la maggior parte degli alleati europei. 

Le implicazioni per l’Italia

Per l’Italia, la nuova postura Nato presenta importanti implicazioni. Prima di tutto è necessario che Roma prenda atto che la Nato non è e non sarà nel medio periodo il consesso più adatto per la pianificazione e condotta di operazioni di prevenzione e gestione delle crisi nel Mediterraneo allargato. Allo stesso modo, le partnership che la Nato ha coltivato nei decenni con Paesi terzi in questa macro-area godranno con ogni probabilità di un supporto limitato da parte dell’Alleanza. 

La sfida forse più grande sarà allineare le capacità militari effettive dell’Italia ai requisiti Nato e soprattutto alla minaccia di un conflitto protratto nel tempo, su larga scala, ad alta intensità e contro un avversario di pari livello. È quanto mai necessario che l’Italia prenda coscienza del fatto che il grande contributo italiano alle operazioni fuori area non compenserà più la stagnazione del bilancio militare, e le conseguenti carenze capacitive, quando si tratterà di tirare le somme sul contributo degli alleati alla difesa collettiva e quindi sul loro ruolo, e peso, nell’Alleanza.

Questo articolo anticipa un capitolo dello studio IAI che sarà presentato in una conferenza pubblica a Roma il prossimo 20 febbraio.

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