La guerra russa e la lotta anticoloniale degli Ucraini

Alla vigilia dell’anniversario dell’aggressione russa all’Ucraina, l’89% degli Ucraini dichiara di voler continuare a combattere anche nel caso di un attacco nucleare russo. Questa ferma determinazione non può essere solo motivata dal desiderio di riconquistare i territori persi o da ragioni strettamente relative alla sicurezza.

Guerra e colonialismo russo

L’invasione russa su vasta scala dell’Ucraina lanciata il 24 febbraio 2022 ha agito da catalizzatore del processo di decolonizzazione nel Paese. L’aggressione russa non è iniziata, tuttavia, né nel 2022 né nel 2014 con l’annessione della Crimea e l’occupazione di una parte del Donbass. La Russia ha condotto per secoli una guerra coloniale contro l’Ucraina, risucchiandola nel suo spazio politico, economico e culturale, e cancellando, strada facendo, la sua identità nazionale. Gli ucraini, chiamati “piccoli russi”, sono stati trattati come “popoli inferiori”. L’affermazione del Presidente russo Vladimir Putin, nel discorso del 21 febbraio 2022, secondo cui l’Ucraina non è un “vero Paese”, rimanda a una lunga tradizione. Le sue radici vanno ricercate nella politica imperiale della Russia.

L’Ucraina è oggi impegnata in una lotta anticoloniale per staccarsi dall’ “Impero” e continuare ad affermarsi come paese democratico desideroso di integrarsi nelle istituzioni euro-atlantiche. [La nostra è] la “lotta per l’Europa” ha dichiarato pochi giorni fa il presidente ucraino Volodymyr Zelenksy al Parlamento Europeo. Nella sua lotta per l’indipendenza e per difendere questo suo percorso verso l’Europa, l’Ucraina non sta combattendo solo con le armi. La riscoperta della propria identità nazionale è per gli Ucraini un altro mezzo di resistenza contro l’aggressione russa.

Il patrimonio culturale nazionale dell’Ucraina

Negli ultimi anni la riappropriazione del patrimonio culturale nazionale è stata parte integrata del faticoso processo di decolonizzazione dell’Ucraina. E così, mentre le bombe russe cadono in Ucraina, il popolo ucraino riflette sulla sua storia, ripensando all’influenza russa imperiale e sovietica, alla propria nazione nel passato e nel presente, e cercando la propria identità nelle vicende nascoste nei buchi della storia.

Gli artisti e gli scrittori ucraini del secolo scorso sono tra i protagonisti dell’arte e della letteratura ucraina, quindi della cultura del presente. Una cultura spesso considerata come “minore” anche dall’Occidente rispetto a quella “maggiore” rappresentata dalla Russia. Pochi in Occidente sono in grado di discernere se un’opera d’arte sia stata creata nella Repubblica socialista sovietica ucraina, armena, georgiana, estone o russa – nell’immaginario occidentale tutto fa parte dell’arte sovietica e quindi russa. Le opere degli artisti Oleksandra Ekster, David Burliuk, Kazimir Malevich e altri, indipendentemente dalla loro provenienza, sono conosciute tutte come espressioni dell’ “avanguardia russa”.

Identità, lingua nazionale e repressione

La ricostruzione dell’identità di un popolo passa inevitabilmente anche per la riappropriazione della lingua nazionale. Ci si meraviglia che una buona parte dei ucraini parli solo in lingua russa e si specula sul perché. Poche altre lingue al mondo sono state perseguitate come l’ucraino. Il primo divieto venne imposto dallo zar Pietro I che nel 1720 proibì la stampa di libri in ucraino. Nel 1863 seguì una circolare del ministro degli interni russo Pyotr Valuyev che dichiarava: “Non esiste e non può esistere una piccola lingua russa”.

Nel 1876, Alessandro II vietò la stampa e l’importazione dall’estero di qualsiasi opera letteraria in lingua ucraina, e mise al bando anche gli spettacoli teatrali e le scuole in ucraino. Allo stesso modo, ordinò la rimozione di tutti i libri ucraini dalle biblioteche scolastiche, mentre gli insegnanti sospettati di ‘ucrainofilismo’ vennero deportati dall’Ucraina. Nel 1881 arrivò il divieto dell’uso dell’ucraino per i sermoni della chiesa. Nel 1888, Alessandro III vietò l’uso dell’ucraino nelle istituzioni pubbliche e il battesimo di bambini con nomi ucraini. Nel 1914 Nicola II proibì la celebrazione del centenario di Taras Shevchenko, il famoso poeta e “padre” della lingua ucraina.

La tradizione imperialista proseguì con il regime sovietico. Negli anni Trenta il regime sovietico-russo uccise la maggior parte degli scrittori e degli intellettuali ucraini, fenomeno storicamente noto come “Rinascimento giustiziato”. E cosi l’elite ucraina venne cancellata o costretta ad assimilarsi alla cultura russa. Nel 1970 il Ministero della Pubblica Istruzione dell’URSS ordinò che le tesi accademiche fossero scritte solo in lingua russa. Nel 1984 gli stipendi degli insegnanti di russo furono aumentati del 15% rispetto a quelli di lingua ucraina.

Sotto l’impero russo, l’Unione sovietica e la Russia post-sovietica, l’atteggiamento repressivo del potere coloniale russo nei confronti del progetto nazionale ucraino è rimasto sempre lo stesso: la stessa esistenza di quel progetto nazionale non era e non è consentita. Dalla cancellazione della lingua e dalla distruzione fisica, – la carestia provocata dal regime sovietico nel 1932-33 ha causato la morte di circa 4 milioni di ucraini – si arriva alla guerra di oggi contro i civili, nella quale la Russia, ricorrendo ad atrocità inimmaginabili, sta deliberatamente distruggendo anche il patrimonio culturale delle città ucraine. Un rifugiato russo, Andrei Babitsky, scappato dalla Russia in Georgia dopo l’inizio della invasione russa, scrisse: Non posso fare a meno di pensare che ci sia una connessione tra l’idea che la lingua ucraina (o lo stato ucraino) “non esista davvero” e l’idea di bombardare civili e case residenziali. Non esistono davvero, dopotutto, vero?”.

Egemonia e colonialismo culturale russo

Nel corso dei secoli la Russia, per cancellare la cultura ucraina, ha utilizzato la propria cultura come strumento di espansione e di legittimazione del suo colonialismo. Questo approccio ha preso in mira anche l’occidente. “La narrazione della grande cultura russa come un classico inviolabile di sentimenti raffinati e animi inquieti è così potente che persino gli attacchi missilistici russi sull’Ucraina non bastano a spingere gli intellettuali occidentali a mettere in discussione le loro idee”, scrive una sociologa ucraina. In occidente sono ancora in tanti a dire che “la Crimea è russa”, “l’Ucraina è una parte storica della Russia”, “ucraini e russi sono la stessa nazione”. Le odierne azioni contro la cultura russa sono viste dai russi e da molti europei come un atto di “cancel culture”.

Ciò significa che bisogna cancellare Dostoevskij? No, certo che no! Bisogna però ammettere che la grandezza della cultura russa non esclude necessariamente la sua natura coloniale e certamente non assolve il Cremlino dai suoi crimini. La cultura russa va reinterpretata in ottica postcoloniale. Altrimenti spariranno per sempre centinaia di voci colonizzate, assimiliate e trascinate nella “fratellanza” sbandierata da Putin. La cultura russa va studiata anche per capire come la Russia è arrivata a questa guerra tra le più assurde della sua storia. Senza una rinuncia anche culturale alla logica colonizzatrice, la stessa Russia rischia di non avere futuro come stato nazione.

Ekaterine Degot, la famosa storica e curatrice d’arte russa, scrive cosi: “Il compito principale da affrontare è qualcosa che potrebbe essere descritto come la decolonizzazione della Russia. I russi devono finalmente guardare alla loro travagliata storia di colonialismo, guerre di frontiera e imperialismo culturale, sia in patria che all’estero, per poter estirpare il fascismo russo dalle sue radici. Devono dissolvere l’autocrazia e ammettere che questa stessa Russia autocratica ed elitaria è sempre stata un’entità coloniale, intenta ad asservire la propria popolazione espandendosi, schiavizzando e cancellando gli altri. E sì, è la Russia che sta bombardando l’Ucraina. E noi russi dobbiamo cercare un’altra Russia adesso, magari nelle parti della sua grande cultura spogliata della sua arroganza imperiale… [cercare una Russia che] forse non esiste ancora”.

Foto di copertina EPA/SERGEY DOLZHENKO

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