Il Gabon nelle mani della dinastia Bongo

Il prossimo 26 agosto, i cittadini gabonesi saranno chiamati a votare per l’elezione del presidente della Repubblica e per rinnovare l’Assemblea nazionale e i consigli municipali. Considerata l’alta frammentazione del fronte dell’opposizione, queste elezioni non sembrano costituire una seria minaccia per la tenuta della dinastia Bongo, alla guida del Paese da 56 anni, prima col padre Omar Bongo (dal 1967 al 2009), poi col figlio Ali Bongo Ondimba, presidente dal 2009.

Dato il controllo assoluto esercitato dalla dinastia nelle ultime sei decadi, non stupisce che la Repubblica gabonese, che conta poco più di 2 milioni di abitanti, venga annoverata tra gli Stati più stabili del continente, ma anche tra i Paesi autoritari secondo la classificazione del Democracy Index dell’Economist. Grazie inoltre alle sue ingenti risorse minerarie – come manganese, diamanti, oro, fosfati e ferro – e alle sue riserve petrolifere e forestali, il Gabon presenta un PIL pro capite (8.820 $) che supera nettamente quello delle maggiori economie subsahariane: Sudafrica (6.776 $) e Nigeria (2.184 $).

Il sistema elettorale

Il Gabon è una Repubblica di stampo presidenziale, sul modello francese. Il presidente viene eletto per un mandato quinquennale, in un processo a turno unico e a maggioranza relativa. Ciò significa che chi riceve almeno una preferenza in più rispetto agli avversari è dichiarato vincitore. Questo sistema elettorale è da tempo considerato proibitivo per l’opposizione, tradizionalmente troppo frammentata per coagularsi attorno a un candidato capace di sfidare lo strapotere dei Bongo.

Nel gennaio del 2018, nel corso di una sessione straordinaria, il Parlamento gabonese aveva adottato un disegno di modifica costituzionale per la revisione del processo elettorale. Secondo il nuovo testo, la vittoria sarebbe andata a chi, al primo turno, avesse ottenuto almeno il 50% +1 dei voti. In caso di mancato raggiungimento della maggioranza semplice, i due candidati più votati si sarebbero sfidati al ballottaggio. In questo caso, lo sfidante avrebbe avuto maggiori chance di conseguire la vittoria, anche grazie al sistema degli endorsement. Tuttavia, all’inizio di quest’anno, all’alba della sua prima applicazione, la riforma è stata abbandonata.

Su richiesta del presidente Ali Bongo, le elezioni sono state infatti precedute da un ciclo di consultazioni nazionali. Tenuti in febbraio, questi colloqui avevano il mandato di riunire forze di governo, membri della società civile e opposizioni per dirimere alcune questioni cruciali, come la durata del mandato presidenziale, il costo della mobilitazione elettorale e le modalità del voto. Le misure che avrebbero trovato consenso tra i delegati sarebbero state tradotte in disegni di legge.

Il ciclo di consultazioni si è tenuto in assenza di alcune figure preminenti dell’opposizione gabonese, ostili a rivedere, a soli cinque mesi dalle elezioni, quanto già stabilito nel 2018. Tra queste, Paulette Missambo, ex-ministra dell’Istruzione Pubblica e della Salute, presidente dell’Unione nazionale, e Alexandre Barro Chambrier, economista, ex-ministro delle Attività Minerarie, a capo dell’Assembramento per la patria e la modernità (RPM).

Adducendo l’esigenza di contenere il costo legato alla mobilitazione di risorse umane e logistiche, il governo ha ottenuto ai primi di aprile il ritorno al turno unico, votato con larga maggioranza dall’Assemblea nazionale e dal Senato. Il ciclo di consultazioni ha portato anche alla modifica dell’età minima per l’eleggibilità a presidente, passata da 18 a 30 anni.

La riduzione del mandato presidenziale, da sette a cinque anni, ha dato invece “un tocco di modernità”, secondo il presidente Bongo, e ha contribuito all’armonizzazione dei mandati politici, dal momento che i deputati e i sindaci rimangono in carica cinque anni, mentre il mandato dei senatori dura sei anni.

Le opposizioni hanno duramente criticato l’abbandono delle riforme del 2018, e in particolare il dietrofront sul doppio turno, considerato un ulteriore sostegno alla rielezione del presidente uscente.

I candidati

Il Partito democratico gabonese, fondato nel 1968 da Omar Bongo come unico partito legale, prima del ripristino del multipartitismo negli anni Novanta, mantiene a oggi una netta maggioranza in entrambe le camere. Dei 134 membri dell’Assemblea nazionale – eletti da collegi uninominali, in un processo a doppio turno – 97 appartengono al partito di governo.

Ali Bongo Ondimba, al potere dalla morte del padre, regge il Paese con una combinazione di clientelismo e repressione. Dopo un infarto nel 2018, è stato costretto ad allontanarsi dalla vita politica per quasi un anno e da allora le sue apparizioni pubbliche si sono fatte più rare. Tuttavia, la base del suo consenso è rimasta solida, specialmente nelle province occidentali, come la regione dell’Alto Ogooué, dove più capillari sono le sue reti di patronaggio.

Sul fronte dell’opposizione, la competizione è particolarmente affollata. I partecipanti alla corsa presidenziale sono infatti diciotto, oltre ad Ali Bongo. Tra i principali sfidanti, troviamo il già citato Alexandre Barro Chambrier del RPM e Pierre-Claver Maganga Moussavou, vicepresidente della Repubblica dal 2017 al 2019, oggi a capo del Partito socialdemocratico.

Paulette Missambo è stata eletta alla guida di Alternanza 2023, una coalizione nata in gennaio che riunisce partiti politici e organizzazioni della società civile che si battono per un Gabon democratico e solidale. Sorta a soli sette mesi dalle elezioni, essa però manca del seguito e della coesione interna necessari per rappresentare una valida alternativa al governo. In maggio, la guida del movimento è passata a François Ndong Obiang, a capo del partito Riappropriazione del Gabon, dalla sua indipendenza, per la sua ricostruzione (Réagir). Alternanza 2023 non ha ancora trovato un accordo su una candidatura condivisa.

Le proiezioni

Alle ultime elezioni presidenziali dell’agosto 2016, i principali partiti di opposizione si erano alleati, sotto il cappello del Fronte unito dell’opposizione per l’alternanza (FUOPA), per sostenere la prima figura riuscita a mettere seriamente in discussione il dominio incontrastato dei Bongo: l’ex-Primo ministro Jean Ping, presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite dal 2004 al 2005.

Benché, all’indomani del voto, Jean Ping avesse già annunciato la vittoria, i risultati ufficiali avevano riconfermato Ali Bongo per una manciata di voti (49,8% contro il 48,2% dello sfidante). La notizia aveva portato allo scoppio di proteste di piazza, alimentate da accuse di brogli elettorali e violentemente sedate col dispiegamento di forze di polizia. A sancire ufficialmente la rielezione del presidente uscente intervenne la Corte costituzionale, che, lasciando cadere le richieste della comunità internazionale per un riconteggio dei voti, si pronunciò a settembre a favore di Ali Bongo.

Questa volta, rispetto alle ultime elezioni del 2016, nessun candidato dell’opposizione è stato capace di attrarre su di sé il sostegno delle altre principali forze dell’opposizione e di costituire una seria sfida per il presidente uscente. L’alta frammentazione del fronte anti-governativo, salvo sorprese, offrirà un decisivo vantaggio per la prosecuzione della dinastia Bongo.

Foto di copertina AFP/JEAN-PHILIPPE

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