Il settore sicurezza tunisino: canale d’influenza sul potere politico?

Per via della questione migratoria, la Tunisia è attualmente al centro dell’attenzione della politica europea e italiana. Tuttavia, uno degli aspetti meno esplorati del nostro vicino mediterraneo è il ruolo del settore sicurezza nella politica tunisina, sia delle forze interne (polizia, guardia nazionale e protezione civile) che delle forze armate. Comprendere l’evoluzione e il ruolo attuale di queste istituzioni può dare indicazioni su come il presidente tunisino, Kais Saied, esercita il potere e, forse, offrire un possibile canale d’influenza.

Le forze di sicurezza dopo il 2011

Nell’evoluzione dello stato tunisino dopo l’indipendenza, le forze controllate dal ministero dell’interno (FSI, Forces de Sécurité intérieure) hanno tradizionalmente rappresentato un centro di potere primario. I regimi di Habib Bourguiba (1957-1987) e Zine El Abidine Ben Ali (1987-2011), basati su un sistema monopartitico, si servirono massimamente di tali forze, oltre che degli apparati di intelligence, per esercitare e mantenere il potere.

Le forze armate, viceversa, furono intenzionalmente marginalizzate da entrambi i capi dello Stato, che le ritenevano una minaccia potenziale per la loro leadership. Per esautorare i militari, imposero loro anche una forte limitazione degli armamenti e degli equipaggiamenti.

Dopo la “rivoluzione dei gelsomini” del 2011, che aprì la stagione democratica della Tunisia, l’atteggiamento del potere politico nei confronti del settore sicurezza cambiò gradualmente. Le forze di sicurezza interna, pur mantenendo un ruolo centrale nel supporto al potere civile e nell’esercizio della sicurezza pubblica, dovettero confrontarsi con le nuove aperture democratiche del paese. La costituzione del 2014 permise la nascita di una forte società civile, l’ascesa di partiti politici, l’elezione di un parlamento con poteri statuiti e la creazione di organi di controllo indipendenti. Questi elementi, uniti a programmi di cooperazione internazionali sostenuti dai paesi europei, produssero graduali cambiamenti nelle FSI: riforme interne orientate verso maggiore trasparenza e rispetto dei diritti civili, e un miglior rapporto con i cittadini.

I militari, che per via della loro emarginazione e neutralità politica non interferirono con la rivoluzione (anzi, la favorirono con discrezione), si trovarono presto in una situazione più vantaggiosa rispetto al regime precedente. Il nuovo potere democratico favorì l’aumento dei finanziamenti alla difesa, che raddoppiarono tra il 2011 e il 2015 (da 807 milioni di dinari tunisini a 1921 milioni), e incoraggiò la cooperazione e le forniture militari da parte di Stati Uniti ed Europa.

La risposta dello stato tunisino agli attentati terroristici del 2015 vide un capovolgimento dei ruoli tra le forze di sicurezza a favore del nuovo ruolo dei militari. La strategia antiterrorismo, pur coinvolgendo l’intero settore sicurezza, venne però affidata al comando delle forze armate.

La svolta di Kais Saied

Venendo a tempi più recenti, nel 2021 la situazione del Paese – provato dalla pandemia, ma soprattutto dalla cattiva gestione politica e dalla crisi economica – favorisce l’inizio della svolta autoritaria di Kais Saied, eletto presidente due anni prima. Cruciali, nella manovra di accentramento di tutti i poteri nelle mani del presidente, sono l’ atteggiamento favorevole della maggioranza della popolazione e il ruolo delle forze di sicurezza.

Mentre Saied invoca l’articolo 80 della costituzione del 2014, che permette di adottare misure eccezionali in caso di “pericolo imminente”, i militari tunisini eseguono i suoi ordini , bloccando l’accesso, e quindi il funzionamento, del Parlamento.

Tale comportamento, riflette da un lato la storica refrattarietà dei militari verso ogni coinvolgimento politico; e dall’altro il timore di vedere venir meno le vantaggiose posizioni acquisite nell’ultimo decennio.

Negli ultimi due anni, Kais Saied ha gradualmente incentrato i poteri a sé, perseguitando e imprigionando oppositori, giudici civili, rappresentanti di ONG e media indipendenti e imponendo una nuova costituzione che elimina ogni contrappeso al potere presidenziale. Significativamente, i processi ad oppositori vengono spesso affidati a tribunali militari. Infine, con un voto che ha visto un’affluenza di poco più dell’11% è stato eletto un parlamento completamente esautorato da ogni prerogativa di controllo.

Il ministero degli Interni ha subito anch’esso una drastica centralizzazione del suo funzionamento, con la nomina di un ministro fedelissimo del presidente e la cessazione delle funzioni di alcuni alti funzionari. Tali decisioni si sono rispecchiate nel comportamento delle forze di polizia, accusate di ritornare ai metodi arbitrari e violenti della dittatura. Nonostante ciò, restano attivi i canali di cooperazione in materia di sicurezza con i partner internazionali – soprattutto con l’Unione europea – così come i programmi di riforma della governance interna.

Dal canto suo, il presidente ha avuto molta cura nel coltivare e rafforzare i rapporti con le forze armate. Dalla sua elezione, Saied mantiene un rapporto strettissimo con il capo dell’intelligence militare, Habib Dhif. Negli ultimi mesi, molti ufficiali dell’esercito sono stati elevati a ruoli governativi. Inoltre, Kais Saied non manca occasione per mostrarsi in pubblico affiancato da alti ufficiali dell’esercito, evidenziando sui media tali eventi.

Non è chiaro per ora quanto questa estrema vicinanza con il potere sia gradita dai militari. Presumibilmente alcuni ufficiali potrebbero temere che importanti collaborazioni con i paesi occidentali vengano meno o si riducano. Gli Stati Uniti hanno già annunciato una riduzione dei finanziamenti a supporto dell’economia tunisina, ma non nel settore difesa.

Diversi sono i dubbi sulla effettiva stabilità del nuovo regime tunisino e quale effetto potranno avere le politiche presidenziali di rafforzamento di un potere militare che in realtà possiede prerogative limitate sulla nuova carta costituzionale.

Più pressante ancora, vista l’importanza della Tunisia per l’Europa, si fa la questione di come le politiche europee possano rispondere agli sviluppi nel settore sicurezza tunisino.

Innanzitutto, è necessario che l’Ue e tutti i suoi membri mantengano i programmi di collaborazione e di riforma con il ministero dell’interno e le FSI. Il programma di sostegno alla riforma della sicurezza interna, detto PARMSS, ha realizzato cambiamenti ma giunge nel 2023 al termine della sua prima fase. Una seconda è in discussione: Bruxelles dovrebbe rapidamente avviarla.

Anche tutti i programmi di collaborazione tra militari europei e tunisini vanno mantenuti e, se possibile, rafforzati, sempre in un quadro monitorato in cui vengano garantiti alti livelli di trasparenza. Questi possono rappresentare dei canali di influenza, visto il ruolo centrale delle forze armate nel regime di Saied.

Tutto questo ovviamente non sarebbe sufficiente per continuare a sostenere l’apertura della società e le speranze di democrazia che sono ancora vive nel popolo tunisino. La politica deve fare la sua parte. Mettendo seriamente in atto quel “modello virtuoso di collaborazione e crescita” tra l’Ue e Tunisia annunciato dalla premier italiana Giorgia Meloni di fronte alla presidente dell’Unione Ursula von der Leyen, di cui solo i provvedimenti sulla questione migratoria sono stati parzialmente realizzati.

Foto di copertina EPA/QUIRINALE

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