Il governo Meloni e l’Europa tra ambizioni e realtà

A un anno dalle elezioni che hanno portato Giorgia Meloni alla guida del governo italiano, iniziano ad addensarsi nere nubi sulle relazioni tra Italia e Unione europea. Mentre sul fronte delle relazioni transatlantiche e del supporto a Kyiv contro la guerra di aggressione della Russia si è registrata una forte continuità con il governo Draghi e un collocamento chiaro dell’Italia nel campo occidentale, nell’ambito delle politiche europee, dopo un inizio positivo, Roma si trova di fronte a sfide sempre più impegnative. Ciò è particolarmente vero per due settori chiave: l’immigrazione e l’economia.

Il complesso rebus delle migrazioni

Sull’immigrazione, mentre gli arrivi irregolari in Italia attraverso la rotta del Mediterraneo centrale erano in forte aumento, a giugno Meloni ha cercato di mostrarsi ottimista, sostenendo che l’Europa starebbe finalmente affrontando la dimensione esterna delle politiche migratorie, cosa che, a suo avviso, in passato sarebbe stata “impensabile”. In realtà, come dimostra l’accordo raggiunto tra l’Ue e la Turchia nel 2016, all’apice della cosiddetta “crisi migratoria”, questo approccio non contiene novità rilevanti.

Da diversi anni, l’Unione ha rinunciato ad affrontare la questione delle politiche migratorie in modo olistico, cioè considerando in maniera sinergica le dimensioni interna, esterna e quella della gestione delle frontiere; si è invece tentato di spostare la responsabilità sui paesi di origine e di transito attraverso un approccio transazionale: in sostanza, a questi paesi viene chiesto di trattenere, riammettere o rimpatriare i migranti in cambio di sostegno economico. Tuttavia, gli accordi raggiunti su carta risultano inefficaci quando le controparti li attuano in maniera limitata e a propria discrezione.

Il memorandum d’intesa tra l’Ue e la Tunisia firmato fra grande ottimismo il 16 luglio scorso ne è un esempio lampante: gli arrivi dal paese nordafricano in Italia sono aumentati di quasi il 60 per cento nelle otto settimane successive all’accordo, mentre un gruppo di parlamentari europei che voleva monitorare la situazione nel paese si è recentemente visto rifiutare l’ingresso dal presidente Kais Saied. Il punto è che Meloni si concentra sull’aspetto esterno delle politiche migratorie Ue perché, mentre i flussi migratori verso l’Italia sono in deciso aumento, finora Roma non ha ottenuto pressoché nulla per quanto riguarda l’aspetto della gestione interna. Questo vale anche per l’accordo, per la verità piuttosto blando, sul Nuovo Patto sull’Immigrazione e l’Asilo raggiunto al Consiglio per la Giustizia e gli Affari Interni all’inizio di giugno, che – nonostante i falliti sforzi di mediazione di Meloni – è stato fortemente contrastato dai suoi presunti alleati in Polonia e Ungheria.

La necessità di una mediazione sul Patto di stabilità

Se il governo italiano ha già fallito nei fatti sulle politiche migratorie, anche l’altra area chiave della politica economica europea sembra farsi sempre più problematica. Particolarmente pressanti sono i dilemmi nella negoziazione del nuovo Patto di Stabilità e Crescita. Al momento, la Germania si oppone con decisione alla proposta della Commissione europea, che sarebbe invece di grande beneficio per l’Italia, introducendo maggiore flessibilità rispetto alle vecchie regole. A questo proposito, la priorità dell’Italia dovrebbe essere la creazione di un fronte comune attorno alla proposta della Commissione, che potrebbe includere altri Stati membri come Spagna e Francia.

Tuttavia, alcune posizioni del governo italiano stanno indebolendo la credibilità e la forza negoziale dell’Italia: a oggi, non è stata ancora risolta la diatriba interna sulla ratifica del Meccanismo Europeo di Stabilità (già ratificato da tutti gli altri stati della zona euro), mentre la campagna per scorporare determinati tipi di investimenti pubblici dagli obiettivi di deficit dell’UE non è detto che abbia successo. C’è il rischio concreto che, alla fine, il nuovo Patto sarà ben al di sotto delle aspettative e delle necessità italiane.

Il vero interesse nazionale dell’Italia: un’Europa più forte

Nei prossimi mesi è probabile che Giorgia Meloni intensifichi i suoi sforzi per un possibile cambio di maggioranza a livello europeo dopo le elezioni del giugno 2024, lavorando per la nascita di una coalizione inclusiva di forze conservatrici e nazionaliste. Tuttavia, la coesione politica di un’alleanza sovranazionale tra movimenti, leader e governi il cui motto è la rivendicazione dei rispettivi interessi nazionali “prima e comunque” sarebbe con ogni probabilità messa alla prova più e più volte. Anche a livello nazionale, in vista delle elezioni, Meloni si trova di fronte a un’opposizione crescente all’interno del suo stesso governo, con la rincorsa verso posizioni nazional-populiste da parte di Matteo Salvini. A prescindere dalle affinità sul terreno dei valori, non è chiaro fino a che punto un’alleanza europea di forze conservatrici e nazionaliste sarebbe in grado di trovare un terreno comune su questioni di policy relative, appunto, all’immigrazione – come già si è palesato nei mesi scorsi – o alla governance economica.

Qui sta il punto: in un contesto internazionale segnato da una molteplicità di crisi e da una crescente competizione, anche immaginando che si voglia abbracciare la logica di proteggere solo l’interesse nazionale, per un paese come l’Italia – con il secondo più alto rapporto debito pubblico/PIL nell’Unione europea e il più alto tasso di dipendenza degli anziani di tutti gli Stati membri – la priorità dovrebbe essere quella di far progredire ulteriormente l’integrazione europea, portando avanti il punto di vista italiano in modo franco e costruttivo all’interno di istituzioni europee rafforzate. Le ambizioni nazionali devono sempre fare i conti con la realtà internazionale. Sovrastimare i propri mezzi, indebolire il sistema di governance sovranazionale o far riemergere un atteggiamento conflittuale danneggerebbe non solo il progetto europeo, ma prima di tutto l’Italia.

Foto di copertina ANSA/ALESSANDRO DI MEO 

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