Di fronte alla recente escalation del conflitto israelo-palestinese, i governi latinoamericani hanno adottato posizioni diverse, alcuni criticando Israele, accusandolo di una risposta sproporzionata all’attacco di Hamas, mentre altri hanno dimostrato un sostegno verso Israele e il suo diritto a difendersi. Tali risposte rispecchiano l’intricata tela di connessioni storiche, affiliazioni culturali e orientamenti politici, nonché le divisioni ideologiche presenti in America Latina e le differenti prerogative di politica estera di alcuni governi.
Storicamente, i governi di sinistra nella regione hanno sostenuto apertamente la causa palestinese, mentre quelli con orientamento politico di destra hanno spesso allineato la propria posizione con quella degli Stati Uniti, tradizionalmente schierati con Israele.
La regione ospita una significativa comunità palestinese ma, allo stesso tempo, mantiene profondi legami culturali e storici tra l’America Latina e Israele, grazie anche a una altrettanto nutrita comunità ebraica distribuita in vari territori della regione. Tuttavia, l’attuale conflitto ha fatto emergere sfumature inaspettate, suggerendo che altri fattori influenzano il posizionamento dei governi latinoamericani.
Colombia, Bolivia e Chile hanno preso misure diplomatiche drastiche, dimostrando concretamente il loro dissenso per le azioni di Israele ed evidenziando la crescente preoccupazione degli Stati latinoamericani in merito alla crisi umanitaria in corso a Gaza.
Le reazioni in campo diplomatico
Le tensioni diplomatiche con Israele si sono inizialmente intensificate quando il presidente colombiano Gustavo Petro ha comparato gli attacchi israeliani a Gaza alle persecuzioni naziste durante la Seconda Guerra Mondiale. In risposta, Israele ha interrotto le esportazioni di materiali per la sicurezza verso la Colombia. Israele è infatti uno storico fornitore di jet da combattimento, apparecchiature di sorveglianza e fucili d’assalto: solamente a inizio anno, il governo di Petro aveva firmato un contratto per 130 milioni di dollari con un’azienda israeliana. In seguito a questa decisione, Petro ha minacciato di sospendere le relazioni diplomatiche e il 31 ottobre ha richiamato l’ambasciatore colombiano in Israele per consultazioni.
La Bolivia, guidata da Luis Arce (di sinistra), è stata però il primo stato latinoamericano ad annunciare la rottura i legami diplomatici con lo Stato di Israele. Inizialmente, la presidenza aveva manifestato preoccupazione per la violenza proveniente da entrambe le fazioni, ma l’escalation del conflitto ha portato l’esecutivo a prendere questa decisione, era già successo nel 2009 come atto di protesta contro le azioni militari israeliane a Gaza, e i legami erano stati ripristinati solo nel 2019, sotto la presidenza di Jeanine Áñez, di destra.
Analoghe dinamiche sono state seguite dal Cile, che ospita la più grande comunità palestinese della regione, stimata tra i 450 e i 500.000 appartenenti. Infatti, il 31 ottobre il presidente Gabriel Boric Font, dopo aver precedentemente espresso solidarietà sia per le vittime israeliane che per i palestinesi uccisi nella risposta di Israele agli attacchi di Hamas, ha annunciato il richiamo dell’ambasciatore cileno in Israele in risposta alle violazioni del diritto internazionale umanitario commesse da Israele a Gaza.
Una posizione di condanna verso azioni di Israele è stata assunta anche dal Belize, Nicaragua e Cuba, mentre l’Honduras è l’ultimo paese latinoamericano in ordine temporale a richiamare il proprio ambasciatore in Israele
Altri Stati, quali Brasile, Ecuador e Messico, hanno cercato di mantenere una certa neutralità sulla questione, sottolineando solamente la necessità di trovare una soluzione pacifica e chiedendo un cessate il fuoco. Questo approccio rispecchia la politica di non intervento del Messico, che ha caratterizzato le relazioni internazionali del Paese fin dal secolo scorso. Dal canto suo, il Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha provato a rilanciare la diplomazia per la soluzione a due Stati, usando la presidenza del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che detiene per fomentare un dialogo pacifico, ma la risoluzione che ha sponsorizzato è stata bloccata dal veto degli Stati Uniti.
Il caso venezuelano e l’Argentina
Un caso particolare è quello venezuelano: il governo di Nicolás Maduro ha manifestato preoccupazione per la situazione nella Striscia di Gaza e ha sostenuto la cessazione delle violenze attraverso il dialogo e l’applicazione della risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, una posizione più cauta rispetto a quella mantenuta dal suo predecessore, Hugo Chávez. Quest’ultimo aveva più apertamente criticato le azioni israeliane, specialmente in relazione alla Striscia di Gaza, fino ad interrompere le relazioni diplomatiche con Israele dopo il conflitto del 2008-2009. Maduro ha scelto di mantenere una posizione più moderata per mantenere le relazioni con Israele, ristabilite nel 2017, forse anche per non interrompere la parziale distensione delle relazioni con gli Stati Uniti sotto la presidenza Biden, tradotta nella recente temporanea sospensione delle sanzioni imposte dall’amministrazione Trump nel 2019.
D’altro canto, l’Argentina, che accoglie la più grande comunità ebraica dell’America Latina e la quinta al mondo, con 175mila ebrei sul proprio territorio, ha condannato gli attacchi di Hamas contro i cittadini israeliani. Il Presidente Alberto Fernández ha espresso solidarietà a Israele e ha sottolineato l’assoluta necessità di raggiungere una soluzione pacifica. Tuttavia, l’Argentina ha condannato anche il recente attacco di Israele al campo profughi di Jabalia, affermando che nulla giustifica la violazione del diritto umanitario internazionale. Al pieno supporto di Israele si aggiungono anche Uruguay e Peru, i quali si sono astenuti al momento della risoluzione Onu a favore di una tregua per proteggere i civili a Gaza. Il Guatemala, uno dei 3 paesi latinoamericani, assieme a Honduras e Paraguay, ad aver seguito il presidente statunitense Donald Trump nello spostare la loro ambasciata in Israele a Gerusalemme, ha mantenuto la sua ferrea linea di sostegno a Israele, posizionandosi tra i 14 paesi al mondo e unico in America Latina insieme al Paraguay ad aver votato perfino contro tale risoluzione.
In conclusione, le differenti ideologie presenti nei Paesi latinoamericani giocano un ruolo significativo nel determinare la posizione di ciascun Paese sul conflitto israelo-palestinese, sebbene i governi di sinistra, tradizionalmente più vicini alla causa palestinese, non abbiano adottato una posizione univoca sul conflitto. La necessità di mantenere determinati rapporti diplomatici può spingere alcuni Paesi a cercare un approccio più equilibrato al conflitto, cercando di evitare posizioni estreme che potrebbero alterare i rapporti con i propri alleati politici oltreconfine. Ciò risulta evidente nel caso della prerogativa di neutralità in politica estera di alcuni stati come Messico e Brasile, che si contrappone al chiaro schieramento su posizioni filo-USA di altri, come Guatemala e Paraguay.
Inoltre, i governi dei paesi con maggior presenza di popolazioni ebraiche e/o palestinesi hanno cercato di bilanciare il loro posizionamento per non adirare l’una o l’altra parte, come è il caso dell’Argentina. In sintesi, le ideologie, alleanze politiche e la demografia sono tre fattori chiave che modellano la posizione dei Paesi latinoamericani nel conflitto israelo-palestinese.
foto di copertina EPA/Andre Coelho