L’8 gennaio in Benin gli elettori hanno votato per un nuovo Parlamento che eserciterà solo un mandato “transitorio”, visto che resterà in carica tre anni e non più quattro come in passato. Le autorità del Paese hanno deciso di cambiare il calendario elettorale per uniformare e armonizzare le varie scadenze elettorali. Dal 2026, gli elettori beninesi voteranno per i sindaci e per i parlamentari nello stesso giorno, in gennaio, mentre ad aprile eleggeranno il presidente, per mandati della durata di cinque anni.
I risultati parziali delle elezioni
Queste elezioni sono considerate, ad oggi, le più inclusive e aperte nella storia del paese. A differenza del 2019, il partito Les Démocrates (I Democratici) del quale attualmente è presidente onorario l’ex presidente Thomas Boni Yayi – in carica dal 2006 al 2016 – ha partecipato al voto.
L’11 gennaio, la Commissione Elettorale ha fornito i risultati provvisori delle elezioni legislative. Dei sette partiti che hanno partecipato alle elezioni, quattro non hanno superato il 10% dei voti su base nazionale, la soglia minima necessaria per entrare ottenere seggi all’Assemblea nazionale. Secondo quanto diffuso, i due partiti legati al blocco del presidente Patrice Talon, l’Unione Progressista per il Rinnovamento (Union Progressiste pour le Renouveau – UPR) e il Blocco Repubblicano (Bloc Républicain – BR) hanno ottenuto rispettivamente il 37% e il 29% dei voti. Il partito Les Démocrates, invece, è tornato in Parlamento con un significativo 24%. Tradotto in seggi, sui 109 disponibili, complessivamente il movimento presidenziale otterrebbe 81 seggi, contro i 28 dei democratici. I risultati dovranno poi essere approvati dalla Corte Costituzionale.
L’attuale presidente Talon non dovrebbe ricandidarsi alla fine dei suoi due mandati nel 2026, e queste elezioni legislative erano in qualche modo considerate un test per misurare il peso dei due partiti del movimento presidenziale. Che, come dimostrano i risultati, mantengono chiaramente un ruolo dominante nel panorama politico beninese. Ciò detto, il risultato dei democratici dimostra che c’è almeno un quarto dell’elettorato che resta critico del presidente Talon e del suo blocco di potere.
Un elemento significativo di queste elezioni è l’assenza della violenza che ha caratterizzato le ultime tornate elettorali. Nel 2019, il paese fu scosso da violenze in seguito alle elezioni dalle quali le opposizioni furono escluse. All’epoca, tale esplosione di violenza fu sorprendente, visto che il Benin era considerato un bastione di stabilità e tranquillità. Le violenze però non si fermarono, e anzi ripresero vigore prima della contestata rielezione per il secondo mandato di Talon. Se il rischio di un ritorno alla violenza legata al momento elettorale ora è limitato, il paese non può dirsi tranquillo del tutto però, visto nel corso degli ultimi anni in Benin si è andata affermando un altro tipo di violenza: quella dei gruppi jihadisti.
Prima del terrorismo
Il Benin è uno dei paesi dell’Africa occidentale che in insieme al Togo e alla Costa D’Avorio ha conosciuto una crescita significativa di incidenti e attacchi attribuibili alle forze jihadiste operanti nella regione del Sahel. Con la situazione sempre più fuori controllo nella parte orientale del Burkina Faso, il Consiglio dei ministri del Benin aveva nominato già nel luglio 2018 un segretario permanente per coordinare le misure preventive e presiedere la Commissione nazionale per la lotta alla radicalizzazione, all’estremismo violento e al terrorismo.
In quegli anni, però, la minaccia non era ancora arrivata pienamente sul territorio beninese. L’anno successivo, nel mese di maggio, due turisti francesi furono rapiti nei pressi del parco nazionale del Pendjari da un gruppo di rapitori provenienti dal Burkina Faso. I due furono poi rilasciati dopo l’intervento dell’esercito francese, ma loro guida beninese fu ammazzata. Questo crescendo ha conosciuto un primo salto di qualità alla fine del 2021.
Gli attacchi alle comunità locali
Il primo attacco è stato registrato alla fine di novembre 2021, quando un gruppo di individui armati ha attaccato le forze di difesa e di sicurezza impegnate nel pattugliamento della zona di confine tra le città di Banikoara e Porga. Qualche giorno dopo, sempre a Porga, nel comune di Matéri, nel nord del Paese, vi fu un altro attacco. Da allora sono stati registrati circa trenta attacchi attribuibili a varie forze jihadiste regionali, come Jama’a Nusrat ul-Islam wa al-Muslimin (JNIM – Gruppo di supporto per l’Islam e i musulmani), il gruppo burkinabé Ansaroul Islam e le filiali locali dello Stato Islamico.
Le aree più interessate sono quelle nel nord, come i distretti di Atakora, Alibori e Borgou. Questi spazi formano un continuum geografico ed etnico con i paesi confinanti, e nel corso degli ultimi anni vari gruppi militanti jihadisti hanno sfruttato le foreste beninesi per trovare rifugio e sfuggire alla pressione del contro-terrorismo regionale guidato dai francesi (l’operazione Barkhane, terminata ufficialmente nel novembre del 2022). L’area in questione è quella del cosiddetto complesso W-Arly-Pendjari, noto anche come Complesso WAP, sito transfrontaliero patrimonio naturale mondiale dell’Unesco, che si trova in Benin, Burkina Faso e Niger, territorio di circa 32 mila chilometri quadrati.
Insieme a questi attacchi, nel corso di questi ultimi mesi si sono registrati anche un crescente afflusso di predicatori islamici più radicali, e in tal modo i jihadisti prendono piede anche nelle comunità locali predicando e infiltrandosi nelle scuole coraniche. Ripetendo ciò che già è successo in molti altri paesi dell’area, i gruppi jihadisti sfruttano il risentimento delle comunità Fulani, delle tensioni riguardanti lo sfruttamento delle terra e delle risorse locali, problemi che le questioni del cambiamento climatico, della crescita demografica e del loro impatto sullo spazio saheliano stanno anche rendendo sempre più acute e pressanti. Tra le comunità presenti nelle regioni di frontiera nel nord del paese c’è un malessere diffuso rispetto alle autorità centrali, che in molti casi vengono viste non solo come incapaci di fornire risposte ai problemi locali, ma spesso e volentieri sono viste come parziali e poco trasparenti.
Contrastare l’espansione del jihad
Ad ogni modo, le comunità locali sono chiaramente un bacino per il reclutamento e il radicamento di questi, ma la presa di questi gruppi non è ancora profonda e marcata come in Mali o in Burkina Faso. Al momento, la collaborazione è ancora limitata a individui singoli o piccoli gruppi, e non è sistemica, come è stata ad esempio in Mali. Osservando l’evoluzione del fenomeno negli ultimi dieci/dodici anni, però, non è detto che in un futuro non troppo lontano la relazione tra gruppi locali e forze jihadiste regionali non possa rafforzarsi e seguire le orme di ciò che è successo altrove nella regione.
Per affrontare tale minaccia, il presidente Talon insiste sulla necessità di rafforzare le capacità umane, logistiche e tecnologiche delle forze di difesa, e di consolidare la cooperazione regionale, con i paesi confinanti ma non solo. Il rafforzamento delle relazioni con Ruanda e Niger va dunque letto in questa logica. Sebbene la situazione in Benin non sia ancora grave come quella nel Burkina Faso o in Mali, il fatto che nel corso dell’ultimo anno e mezzo ci sia stato un crescendo marcato di attacchi sul territorio beninese dimostra, quanto meno, l’impreparazione complessiva degli apparati di sicurezza nell’affrontare tale minaccia e che il tentativo dell’attuale leadership di contenere l’impatto mediatico e l’eco di questa violenza, come fatto in alcune occasioni in passato, è un approccio che mostra sempre più limiti.
In conclusione: per anni considerato bastione di sicurezza e stabilità, il Benin ha affrontato ondate di violenze politica legate ad elezioni contestate e tensioni politiche di vario genere. Quella fase, però, sembra essersi esaurita. Nel corso degli ultimi mesi, in particolare dalla fine del 2021, il Paese sta affrontando un altro tipo di minaccia violenta, quella del jihadismo regionale. Il nuovo Parlamento, nel suo mandato “transitorio” di soli tre anni, avrà certamente la lotta al terrorismo tra le priorità, per evitare che il Benin si trovi tra qualche anno nella stessa situazione del Mali o del Burkina Faso, Paesi che hanno conosciuto negli ultimi dieci anni dinamiche abbastanza simili.
Foto di copertina EPA/Akintunde Akinleye