Guerra in Ucraina: nei discorsi di questi giorni molte esternazioni e poche novità

C’era molta aspettativa per le dichiarazioni di Putin a Mosca e di Biden a Kyiv e Varsavia, alla vigilia del primo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina. Ma chi si aspettava, un po’ ottimisticamente, da questi interventi novità o aperture su una ipotetica soluzione politica del conflitto, o anche solo indicazioni su cosa attenderci nei prossimi mesi, sarà certamente rimasto deluso. Anzi, se qualcosa ne è emerso è la conferma della contrapposizione frontale tra due visioni del mondo, tra due letture inconciliabili del conflitto in Ucraina.

I discorsi di Biden e Putin a confronto

Putin, con un discorso tanto lungo quanto privo di novità, si è rivolto essenzialmente alla sua constituency interna, per cercare di giustificare le ragioni dell’intervento in Ucraina e consolidare il consenso del Paese su una iniziativa che di fatto si è rivelata per ora un clamoroso fallimento. Questo spiega perché il Presidente russo ha dovuto far ricorso ad una narrativa ormai ampiamente sperimentata, ma difficilmente sostenibile di fronte all’evidenza dei fatti. Da qui la tesi che la Russia è dovuta intervenire in Ucraina per prevenire un attacco ucraino al Donbass, che Mosca sta combattendo una guerra di difesa contro gli Usa e la Nato intenzionati a distruggere la Russia, che l’Ucraina in fondo era solo la testa di ponte di un Occidente, depravato e in crisi valoriale, che ha puntato tutte le sue carte sul ridimensionamento della Federazione russa.

Poche poi le novità anche sul fronte della condotta delle operazioni. Smentendo le previsioni della vigilia, Putin ha continuato a parlare di operazione militare speciale, evitando di ammettere che di guerra ormai si tratta, come se non dovessero essere in programma nuove massicce mobilitazioni di coscritti. Non ha annunciato nessun nuova offensiva sul terreno. E ha implicitamente ammesso che il conflitto sarà ancora lungo. Ha ricordato la potenza dell’arsenale nucleare russo e minacciato nuovi test nucleari. Ma ha anche confermato la dottrina russa del “no first use”. E infine, unica novità, ha annunciato la sospensione della partecipazione della Russia al Trattato New Start sulla limitazione delle testate nucleari. Un annuncio ridimensionato successivamente dalla conferma che Mosca avrebbe continuato rispettare i limiti nel numero delle testate consentite da quel Trattato, ma non avrebbe consentito ispezioni (già peraltro di fatto sospese da sue anni) nei propri siti.

Biden, prima a Kyiv e poi a Varsavia ha soprattutto voluto confermare, nel modo più solenne e impegnativo, il sostegno all’Ucraina aggredita, a nome degli Usa ma anche implicitamente a nome di tutto il fronte dei Paesi like minded schierati su questa linea. Un sostegno mirato non solo a consentire all’Ucraina di difendersi, ma anche di riconquistare i territori occupati dalle forze russe. Un sostegno che continuerà fino a quando sarà necessario, perché la posta in gioco, la difesa dei valori della libertà e della democrazia, è troppo importante per consentire incertezze o ripensamenti. Ma anche da Biden nessuna novità su eventuali nuovi aiuti militari all’Ucraina. E nessuna apertura su ipotesi di avvio di un dialogo, perché le circostanze non lo permettono.

Wang-Yi a Mosca

C’erano anche molte aspettative, dopo gli annunci anticipati a Monaco, per la visita a Mosca di Wang Yi, di fatto il capo della diplomazia cinese, e per la prospettiva di una iniziativa diplomatica della Cina sul conflitto in Ucraina. Ma a giudicare dalle scarne informazioni fatte filtrare dopo gli incontri di Wang con Lavrov e Putin, sembra che si sia ancora molto lontani dall’ipotesi che Pechino voglia effettivamente assumere un profilo di maggiore dinamismo su questa crisi. E che Wang si sia in fondo limitato a confermare che la Cina resta disponibile a svolgere un ruolo costruttivo nella ricerca di una soluzione politica della crisi.

D’altronde la Cina, che finora, sia pure con le ambiguità e i distinguo del caso, non ha fatto mancare il sostegno politico alla Russia, difficilmente potrebbe assumere un ruolo di mediatore neutrale e credibile. La Cina, che finora ha incassato i dividendi di una posizione sulla guerra in Ucraina che le conferisce una sorta di leadership di quella parte di mondo che non si riconosce nella linea dell’Occidente, resta interessata a una conclusione del conflitto e ad una normalizzazione del quadro internazionale. Ma evidentemente non al punto di mettere in difficoltà Putin, o di rompere la solidarietà di un fronte anti-occidentale funzionale, nell’ottica di Pechino, a rafforzare la posizione della Cina nella competizione globale con gli Usa.

Infine in queste giornate caratterizzate inevitabilmente soprattutto dagli interventi dei leader dei tre maggiori protagonisti, merita di essere evocata anche la missione di Giorgia Meloni a Kiev, Bucha e Irpin. Era una missione, annunciata da tempo, a cui Meloni teneva molto, e che è servita alla Presidente del Consiglio per ribadire, al di là di ogni possibile dubbio, la linea del governo a sostegno dell’Ucraina, senza incertezze o ripensamenti, e in coerenza con gli impegni assunti con gli alleati della Nato e i partners dell’Ue. Una missione di successo, che ha anche consentito a Meloni di rassicurare Zelensky e gli alleati, di consolidare il processo di legittimazione del governo di centro-destra sul piano internazionale, e di ridimensionare la portata delle esternazioni di alcuni esponenti di altri partiti della sua maggioranza.

Foto di copertina EPA/Piotr Nowak POLAND OUT

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