Gli ostacoli globali per un’Europa a impatto zero

Lo scoppio della guerra fra Russia e Ucraina nel febbraio 2022 ha sancito il riemergere dei grandi conflitti geopolitici sullo scenario europeo. Di colpo, l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo ha ancora una volta dimostrato la valenza della power politics nello spiegare mai sopiti cleavages di politica internazionale e ha decretato “il ritorno della Storia” in Europa.

La convinzione, fallace, del pensiero liberale secondo cui la globalizzazione e la progressiva interdipendenza economica avrebbero dissuaso gli Stati dall’intraprendere guerre oltremodo dispendiose è deflagrata sotto i colpi di sempiterne tensioni ideologiche e ancestrali rivendicazioni territoriali.

UE a impatto zero

L’inizio del conflitto russo-ucraino ha costretto l’Unione Europea (Ue) a prendere dei provvedimenti che seguissero principalmente due traiettorie strategiche: la prima, nell’immediato, volta a ridurre drasticamente la sua dipendenza dal gas a basso costo del Cremlino; mentre la seconda, nel medio-lungo termine, ha come obiettivo quello di mettere in sicurezza il proprio sistema di approvvigionamento energetico da eventuali ricatti e tentativi da parte russa di usare l’interdipendenza dal gas in modo ostile nei confronti degli Stati europei. Tale obiettivo strategico, però, deve conciliarsi con il più ampio piano di transizione energetica delineato dall’Ue all’interno della cornice strategica dello European Green Deal. Questo vasto programma di iniziative politiche, fondato sui concetti di circolarità e resilienza, ha come obiettivo quello di trasformare l’Unione in una grande economia a impatto zero entro il 2050.

La ricerca di una maggiore sicurezza energetica rientra in una visione già tracciata dall’Ue nel 2016 all’interno del documento strategico denominato Global Strategy, in cui la Commissione ha espresso per la prima volta la volontà di raggiungere una propria strategic autonomy, ovvero di sviluppare la capacità, attraverso l’acquisizione dei mezzi necessari, di perseguire i propri obiettivi strategici in armonia con i principi e i valori sanciti nei trattati. Inizialmente, tale espressione aveva una connotazione prettamente militare per poi estendersi a domini chiave dell’agenda strategica europea soprattutto per ciò che concerne la propria dipendenza economica ed energetica da potenze avverse come Cina e Russia.

Tuttavia, per un’economia votata alle esportazioni come quella europea, aspirare all’autonomia in un economia altamente globalizzata non è esattamente desiderabile. Infatti, al fine di posizionarsi in un punto intermedio fra la sua naturale predilezione al libero scambio e posizioni più protezionistiche, suscitate dal termine “autonomia”, la Commissione ha iniziato ad usare la nuova espressione di open strategic autonomy. Questo perché nello scenario internazionale odierno l’interdipendenza è percepita negativamente e spesso associata a una condizione di vulnerabilità.

Guerra e supply chain

La pandemia di Covid-19 e la guerra fra Russia e Ucraina hanno mostrato quanto il grado di interdipendenza che caratterizza il mondo in cui gli attori statali si trovano ad interagire oggi, doni a shock localizzati una risonanza globale. Sebbene per ragioni diverse, tali eventi hanno evidenziato le fragilità di un sistema internazionale altamente interconnesso soprattutto da un punto di vista economico.

Ci si è resi conto, ad esempio, di come la concentrazione della produzione di alcuni beni essenziali in poche aree abbia reso le supply chains esposte a molteplici fattori di rischio che possono avere ricadute più o meno gravi sulla capacità di un Paese di reperire materiali vitali per la difesa del proprio interesse nazionale. In tal senso, molti Stati hanno e stanno adottando misure per aumentare la propria sicurezza in filiere chiave, tentando di riportare la produzione di beni strategici (semiconduttori) all’interno dei confini nazionali.

Stati Uniti e Ue, intenzionate a procedere alla decarbonizzazione delle proprie economie in risposta all’emergenza climatica, stanno perseguendo politiche industriali volte alla ricerca dell’autonomia e dell’indipendenza in settori strategici come quello dell’elettrico, in una competizione tecnologica globale che rischia però di vanificare qualsiasi tentativo di cooperazione tra potenze in ambito climatico. Infatti, l’obiettivo di transizione energetica prefissato in Europa non sarebbe raggiungibile in un sistema poco integrato, giacché se ogni Paese cercasse di produrre e consumare solo all’interno dei suoi confini, la produzione di energia pulita nelle quantità e alla velocità necessarie a tale scopo sarebbe insufficiente.

Il ruolo dei minerali critici

Secondo l’AIE (Agenzia Internazionale dell’Energia), il valore globale degli scambi di minerali critici cruciali per la transizione energetica dovrà triplicare per poter raggiungere l’obiettivo di neutralità climatica entro il 2050. Questo significa che, considerando anche l’alta dipendenza dell’Ue dalla Cina per ciò che concerne la produzione di terre rare, Bruxelles, nel cercare di conciliare transizione energetica e sicurezza nel prossimo futuro, dovrà compendiare i propri desideri per una maggiore autonomia e indipendenza con la necessità, allo scopo di portare a compimento la transizione verde, di promuovere una maggiore integrazione dei mercati e degli scambi commerciali a livello globale. Tutto questo, evitando che la competizione tecnologica fra Stati Uniti e Cina inneschi una spirale protezionistica e securitaria fra gli Stati in grado di annullare gli sforzi di qualsiasi diplomazia climatica globale.

Questo articolo è un estratto del saggio sesto classificato dell’edizione 2023 del Premio IAI – “Giovani talenti per l’Italia, l’Europa e il mondo”

Foto di copertina EPA/OLIVIER HOSLET

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