I putiniani d’Europa: un cambiamento di facciata?

La guerra in Ucraina ha trovato l’Europa impegnata in un momento di consultazione elettorale e quindi di ricambio di leadership particolarmente significativo, vista la presenza di diversi gruppi o formazioni storicamente vicini al Cremlino.

Oltre alla Germania, che ha visto un avvicendamento alla guida della Reichskanzlei tra Angela Merkel e il suo successore Scholz, anche Francia e Ungheria si apprestano infatti ad affrontare importanti tornate elettorali nel corso del mese di aprile, contrapponendo partiti sovranisti tradizionalmente filo-russi a coalizioni filo-atlantiche. Ovviamente il tema del conflitto è entrato prepotentemente fin da subito nel dibattito elettorale sia in Ungheria sia in Francia, permettendo ai partiti di centro-sinistra di attaccare i loro sfidanti per la loro amicizia con Vladimir Putin.

Orbán e le elezioni in Ungheria

In Ungheria un’inconsueta coalizione tra la destra di Jobbik e il partito socialista sta provando a mettere sotto pressione il Primo ministro nazionalista Viktor Orbán non solo per la sua vicinanza politica con il Cremlino, ma anche per la sua posizione equidistante tra i due attori impegnati nel conflitto. Il primo ministro ungherese è stato in effetti finora tra i leader europei più cauti sulle sanzioni, rimarcando più volte come l’Ungheria sia estranea al confronto in atto e non abbia alcuna intenzione di inasprire la situazione mandando armi o altro genere di aiuti a Kiev.

L’equidistanza di Orbán tra Russia e Ucraina sembra al momento funzionare con l’elettorato ungherese, senza pesare né negativamente né positivamente nei sondaggi condotti dai principali istituti. In caso di rielezione di Orbán, tuttavia, resta da vedere quanto questa scelta di neutralità peserà nel definire gli assetti futuri del gruppo Visègrad, i cui componenti hanno preso tutti una posizione decisamente filo-ucraina, con l’eccezione appunto del governo ungherese.

I rapporti dei partiti di destra francesi con Putin

La situazione è invece completamente diversa in Francia, dove sia Marine Le Pen sia il suo rivale più a destra Eric Zemmour sembrano in grande difficoltà con l’opinione pubblica proprio per il loro rapporto con la Russia. Il Rassemblement National ha provato finora a seguire una linea di equidistanza molto simile a quella di Fidesz in Ungheria, sostenendo l’importanza del dialogo e delle ragioni di ambo le parti. Ciò nonostante, alcuni segnali politici come la diffusione di un manifesto elettorale che mostra una foto di Le Pen con Putin o l’assenza della leader del RN al collegamento in videoconferenza tra Zelensky e l’Assemblea Nazionale fanno pensare ad una sostanziale solidarietà in questo momento con il Cremlino.

Questa linea politica non sembra pagare per il Rassemblement, tanto che tutti i sondaggi d’oltralpe segnalano un sostanziale avanzamento di Emmanuel Macron anche tra gli elettori conservatori. Ma ancor più di Le Pen, è l’ambizioso Eric Zemmour che sembra ora in difficoltà in per aver esaltato per anni Putin come uno dei migliori politici esistenti. Zemmour, che si auspicava fino a pochi mesi fa l’arrivo di un “Putin francese”, sta ottenendo come risultato un crollo segnalato da diversi giornali nelle ultime settimane, tanto da essere forzato ad una tardiva ed equivoca condanna.

Il dietrofront dei sovranisti italiani

Oltre alla Francia e all’Ungheria anche l’Italia merita una menzione in questo contesto. Infatti, nonostante l’unità del governo Draghi e la linea durissima di Lega e Movimento Cinque Stelle, sembra difficile dimenticare la vicinanza tra la Russia e il primo governo Conte, oppure le continue esternazioni di stima di Matteo Salvini verso il capo del Cremlino durante le elezioni del 2018.

Alla luce degli eventi odierni, sembra che entrambi i partiti vogliano però gettarsi alle spalle ogni ombra di collusione con Mosca, ricorrendo anche a gesti maldestri come dichiarazioni pubbliche forti e poco diplomatiche o viaggi simbolici dai risultati controproducenti.

D’altra parte, anche la presidente di Fratelli d’Italia Georgia Meloni, più volte accusata di rifarsi alla retorica di Russia Unita e oggettivamente vicina a Viktor Orbán, ha rinunciato ad usare l’Ucraina come terreno di scontro con il governo, rimarcando anzi la sua affinità atlantica. Esemplificativa appare in tal senso la presenza negli Stati Uniti di Giorgia Meloni proprio mentre l’Ucraina veniva invasa, così come la sua condanna di Putin dal palco della convention repubblicana della quale era ospite.

L’ultima inversione di rotta dei partiti di matrice sovranista ovviamente non ha potuto evitare alcuni malumori interni, esemplificati dalle diserzioni all’incontro tra il Parlamento e il Presidente Zelensky lo scorso 22 marzo. Questi malumori, tuttavia, non sono stati abbastanza forti da rompere la compattezza politica dietro alle sanzioni alla Russia, rimarcata anche dallo stesso premier Draghi.

Foto di copertina EPA/ZOLTAN FISCHER

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