Giorgia Meloni alla prova della comunità internazionale

Con le elezioni anticipate dello scorso 25 settembre gli italiani hanno eletto un numero record di parlamentari appartenenti a partiti marcatamente di destra, con due risvolti sostanziali per il Paese. Intanto questo comporterà un governo fortemente conservatore, il primo dal dopoguerra. E poi perché, salvo imprevisti dell’ultimo minuto, sarà il primo guidato da una donna.

In anni recenti Giorgia Meloni si è costruita una reputazione controversa a causa delle sue posizioni politiche (marcato conservatorismo, radici nei movimenti post-fascisti), economiche (euroscetticismo), sociali (anti aborto, eutanasia, matrimonio e adozioni gay; xenofobia; scetticismo nei confronti dei vaccini per COVID-19), e in tema di relazioni internazionali (supporto al Gruppo di Visegrád e alla Russia di Putin).

Tuttavia, negli ultimi mesi la leader di Fratelli d’Italia (FdI) ha sistematicamente moderato diverse posizioni, prendendo le distanze dal fascismo, assicurando di non voler limitare diritti sociali acquisiti, criticando l’invasione russa dell’Ucraina, e confermando il supporto italiano per quest’ultima.

Ciononostante, molti osservatori internazionali rimangono preoccupati per il prossimo governo italiano.

I dubbi della comunità internazionale

Più volte in Italia (e altrettanto spesso all’estero) si è parlato di un possibile “ritorno al fascismo” col prossimo governo Meloni. Nonostante i molti richiami alla dittatura fascista nel passato anche recente di FdI, parlare di fascismo nell’Italia del 2022 è una grossolana esagerazione per due principali ragioni.

La prima, interna, è dovuta all’instabilità interna della coalizione di maggioranza, i cui tre partiti principali sono in disaccordo su molti temi, incluse le sanzioni contro la Russia e il livello del debito pubblico. Inoltre, non bisogna dimenticare che l’Italia ha solide fondamenta democratiche, protette da Costituzione, Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale, opposizioni politiche, e società civile.

La seconda, legata alla sfera internazionale, è dovuta ai molti impegni di alto profilo di cui l’Italia si fa carico. È uno dei 10 maggiori finanziatori delle principali organizzazioni internazionali ed è il maggiore peacekeeper tra i Paesi sviluppati. Un tale e radicato supporto per il diritto e l’ordine internazionale difficilmente potrà essere ridotto nel breve arco temporale dei recenti governi italiani (1,7 anni in media, dal 2000 ad oggi).

Un altro importante dubbio riguarda le nascenti tensioni con l’Unione Europea, la quale è preoccupata sia dai toni adottati da Meloni e dai suoi alleati sia dalle promesse elettorali dei tre partiti, inclusa la (incostituzionale) supremazia del diritto nazionale su quello internazionale.

Rimangono poi altre questioni cruciali da risolvere in tempi brevi, come l’attenzione ai conti pubblici italiani, l’attuazione del colossale Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), e il complicato negoziato europeo sui prezzi del gas.

In tema di sicurezza internazionale, molti si domandano se un governo fortemente conservatore – con componenti dichiaratamente filorusse – possa continuare a supportare l’applicazione del diritto internazionale come fatto dai governi precedenti. La questione del supporto a Kyiv dopo l’invasione russa catalizza molti di questi dubbi, nonostante le rassicurazioni di Meloni dopo i recenti controversi commenti di Berlusconi e quelli di Salvini risalenti a poche settimane fa.

Più in generale, molti osservatori internazionali si chiedono se la coalizione guidata da Meloni possa mantenere il deciso percorso del governo Draghi in ambito economico, energetico, e geopolitico, date le promesse elettorali fatte e considerata l’instabilità interna alla coalizione, manifestatasi chiaramente nel tentativo di formare un governo.

Le sfide di Roma in politica estera e di difesa

L’Italia dovrà affrontare numerose sfide sullo scacchiere internazionale, le quali saranno un importante banco di prova per il nuovo governo. Per cominciare, il Paese continuerà l’aumento del budget per difesa e sicurezza iniziato nel 2014, che arriverà a ricoprire il 2% del PIL dall’attuale 1,5% (vale la pena ricordare che l’Italia è l’ottava economia al mondo per grandezza). Questo implicherà scegliere come investire gli ingenti nuovi fondi, ed evitare spese improduttive per poter affrontare al meglio le tante sfide del 21° secolo.

Quanto ai rapporti con l’Unione Europea, la “luna di miele” dell’era Draghi – con l’Italia punto di riferimento per molti Paesi dell’Unione – lascerà il posto ad un confronto serrato col nuovo capo dell’esecutivo. A tal proposito, è bene non dimenticare che gran parte del PNRR dipende da rapporti costruttivi con la Ue.

All’interno della sfera di interesse italiana (il “Mediterraneo allargato”), tensioni mai sopite con altri Paesi con interessi contrastanti – Francia, Turchia, ed Egitto – continueranno a richiedere uno sforzo strategico e politico-diplomatico non indifferente, così come l’instabilità della Libia, i massicci flussi irregolari via mare (71 mila arrivi in nove mesi), e le politiche per il rispetto dei diritti umani dei migranti.

Inoltre, Roma dovrà continuare a vigilare sulla crescente presenza politico-economica della Cina in Africa (tramite la “Via della Seta Marittima”) e sulla presenza militare russa nel Mediterraneo, proseguendo gli sforzi di diversificazione degli approvvigionamenti energetici del governo Draghi.

Rimangono poi sfide importanti dovute alla considerevole impronta economica (rotte commerciali) e strategica (missioni unilaterali e multilaterali) del Paese nel Mediterraneo allargato. La delicata missione Nato in Iraq, di cui l’Italia è al comando dal maggio di quest’anno, è uno dei molti esempi.

Una nuova politica per l’Indo-Pacifico?

Vi è infine la silenziosa ma crescente attenzione che Roma dedica all’epicentro geopolitico e geoeconomico globale, l’Indo-Pacifico. Questa continua a maturare grazie a rapporti commerciali, missioni nell’Oceano Indiano occidentale, e partnership con Asean, Corea del Sud, India, Indonesia, e Vietnam. Il nuovo governo dovrà decidere se sviluppare una vera e propria Politica per l’Indo-Pacifico, e restare pronto ad affrontare le sfide strategiche di questa macro-regione insieme ad alleati e partner.

In conclusione, questi ed altri temi contribuiranno ad esercitare una notevole pressione sul prossimo governo, il quale potrebbe tentare la via meno rischiosa e proseguire quanto già tracciato, nonostante potenziali scelte controverse rimangano possibili (ad esempio nel tentativo di ridurre l’entità dei flussi migratori irregolari). Se però le divisioni interne dovessero diventare insostenibili, non è da escludere a priori un ennesimo colpo di scena della politica italiana, la cui caratteristica principale non è certamente la stabilità e la durata dei suoi governi.

Foto di copertina ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

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