Il ‘motore franco-tedesco’ e il fragile equilibrio europeo

Le ormai evidenti difficoltà dei rapporti del governo italiano con i nostri principali partner, Francia e Germania, possono essere fonte di grandi preoccupazioni, ma non rappresentano una novità. È da quando è nata l’Unione Europea, negli anni Cinquanta, che il duo franco-tedesco viene visto con una certa perplessità e, in alcuni casi, con sospetto dal governo di Roma.

Parigi-Berlino e l’ “anello debole”

Vi è tuttavia una ragione di fondo a fare da scudo a quello che viene definito da sempre il “motore franco-tedesco” dell’Ue: è attorno ai due nemici storici del secolo scorso, all’origine delle due guerre mondiali, che è stata costruita la grande riconciliazione europea e lo straordinario processo di integrazione che in pochi anni ci ha portato da 6 a 27 membri (dopo averne perso uno per strada, la Gran Bretagna). L’Italia si è quindi trovata, fin dall’inizio, schiacciata nel ruolo di comprimario molto spesso tagliata fuori dal dialogo fra i due.

Per di più, oltre ai trattati dell’Ue che legano Francia e Germania all’interno delle istituzioni comunitarie, i due paesi avevano anche varato nel lontano 1963 un patto bilaterale di grande ampiezza, chiamato dell’Eliseo (oggi rinnovato in Aquisgrana), che li ha tenuti assieme anche sul piano bilaterale. Per porre rimedio a questo evidente sbilanciamento all’interno della Comunità europea dell’epoca (siamo nei primi anni Settanta) Altiero Spinelli, uno dei padri dell’Europa, aveva oltremodo insistito nell’accelerare l’adesione della Gran Bretagna alla Comunità europea. La sua segreta speranza, nella veste di commissario europeo, era quella di creare un contro-asse Roma-Londra che riuscisse a riequilibrare lo storico motore franco-tedesco. Illusione di breve respiro poiché il governo di Sua Maestà pensò bene di legarsi a Francia e Germania formando di fatto un trio, che teneva nelle proprie mani le iniziative comuni da proporre agli altri partner, Italia compresa.

Queste vicende del passato la dicono lunga sull’immagine di debolezza che ha sempre circondato il nostro governo. Anche il fatto di cambiare esecutivo a scadenza quasi annuale ci ha tolto gradi di credibilità. Quindi il vero ruolo in positivo di Roma nei confronti del motore franco-tedesco non è stato tradizionalmente quello di contrastarlo, ma anzi di favorire la “comunitarizzazione” delle proposte che venivano da Parigi e Berlino. In effetti l’adesione dell’Italia, grande ma fragile Paese, alle iniziative del duo ha spesso favorito il successivo coinvolgimento di tutti gli altri membri dell’Ue, resi meno sospettosi delle proposte che venivano da Francia e Germania. Così è stato per l’avvio dell’Euro e per tante altre politiche dell’Ue che fanno parte del grande patrimonio comune.

Bruxelles, rischio frattura

Venendo quindi all’oggi, la frettolosa iniziativa di Emmanuel Macron di invitare Volodymyr Zelensky e il cancelliere tedesco Olaf Scholz a una breve cena a Parigi, non doveva suscitare più di tanto scandalo. La mossa di Macron è stata certamente inopportuna, come inopportuna è stata la successiva dichiarazione di Zelensky di non potere rivelare il contenuto del colloquio serale, come se vi fossero accordi segreti decisivi per il futuro della guerra o della pace in Ucraina. È infatti a tutti chiaro che, per quanto importante, il ruolo di Parigi e Berlino nel conflitto è stato come minimo contradditorio e ambiguo, tanto da mettere in luce proprio la debolezza del motore franco-tedesco.

Attaccare direttamente Parigi e in subordine Berlino, in pieno Consiglio europeo, non ha fatto altro che mettere in evidenza sia la debolezza del duo che la precarietà della coesione europea nel sostenere l’Ucraina a un anno dall’inizio dell’aggressione russa. Molto meglio sarebbe stato, per l’Italia,passare sotto silenzio la gaffe di Parigi e ribadire che le vere decisioni vengono prese all’interno dell’Ue, senza l’accordo della quale non esistono né aiuti militari e neppure finanziari a favore di Kyiv. Già è difficile mantenere l’unità dei 27 in tempi normali, figurarsi di fronte ad una guerra. Anche Parigi e Berlino lo sanno, pur se l’ambizione di protagonismo li spinge spesso a volersi distinguere, almeno a parole.

Non conveniva quindi al governo di Roma creare un caso politico intorno al comportamento dei due, anche perché indirettamente ciò rappresenta un punto di vantaggio per Putin che può sottolineare le difficoltà all’interno dell’Ue. A noi invece conviene, come la storia della nostra esperienza passata dimostra, riportare all’interno del consesso europeo le vere decisioni da prendere, lasciando che le intemperanze di Parigi e Berlino si esauriscono nella chiara impossibilità di giocare singolarmente o assieme un ruolo troppo grande anche per loro. Soprattutto in questo drammatico periodo di una guerra di potere scatenata da un’autocrazia contro la democrazia dell’intera Europa è necessario che i grandi paesi, a cominciare dall’Italia, puntino la maggior parte delle loro carte a rafforzare il ruolo di Bruxelles contro il caos delle singole iniziative nazionali.

Foto di copertina EPA/Sarah Meyssonnier/POOL MAXPPP OUT

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