Francesco: “un Papa giunto dalla fine del mondo”

Ci ha lasciato un Papa con una visione del mondo che gli esperti hanno definito “geopolitica”. In effetti Papa Francesco, per dirla con le sue prime parole di nuovo vicario di Cristo, veniva “dalla fine del mondo” cioè dalla natia Argentina. Un modo per sottolineare che il suo approccio agli affari mondiali era meno “eurocentrico” dei suoi predecessori. Ma fino a un certo punto. Sicuramente diverso da quello tutto incentrato sulla fine della contrapposizione fra Est ed Ovest, fra comunismo e liberalismo, periodo che aveva contraddistinto i 26 anni del lungo papato di Wojtyla fino a portarci al superamento della guerra fredda.

Ma di guerra, quella vera, è stato invece testimone diretto Papa Francesco che in anticipo su tutti gli altri aveva ammonito i governi, non solo europei, sul precipizio cui stavano per cadere: “la terza guerra mondiale a pezzi”. Ben 56 conflitti, diretti e spesso sconosciuti, contraddistinguono questi tormentati anni e sembra che nessuno sia davvero in grado di porvi freno. Certamente non le Nazioni Unite che non hanno né la forza né l’autorità per adempiere alla loro missione costitutiva di mediare fra le parti in lotta. Nessuno dei grandi temi mondiali, dal dramma delle immigrazioni al deteriorarsi dell’ambiente, dal crescere delle disuguaglianze all’indebolimento della difesa dei diritti umani, viene affrontato e gestito con sufficiente credibilità dal Palazzo di Vetro. Ormai emerge un insopprimibile individualismo nazionalistico, come denunciava Papa Francesco, in base al quale ciascun paese decide di affrontare l’altro senza cercare né accettare mediazioni esterne. Lo ha sperimentato lo stesso Papa Bergoglio quando ha cercato la via della mediazione fra Russia e Ucraina. I ripetuti viaggi a Kyiv e Mosca del Cardinale Matteo Zuppi hanno ottenuto assai poco, anche perché la Chiesa ortodossa di Russia, tramite il patriarca Kirill, si è nettamente schierata a sostegno dell’aggressore Vladimir Putin respingendo i buoni uffici del Vaticano. Insomma una situazione internazionale fuori controllo che non poco disagio ha creato a Papa Francesco, che nelle sue omelie ha sempre ricordato e pregato per la fine delle guerre nel mondo, arrivando a citare nel corso degli Angelus anche conflitti poco conosciuti dalle nostre opinioni pubbliche.

L’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca non ha fatto altro che aggravare quell’individualismo governativo che tanto si scontrava con la filosofia del Papa di mantenere aperto il dialogo e di cercare a tutti i costi la salvaguardia di una convivenza pacifica in ogni parte del mondo. Pur non essendo “eurocentrico” il Papa, di fronte alla crescente povertà delle istituzioni multilaterali e ai rischi di terza guerra mondiale, ha rivolto il proprio sguardo e le proprie speranze anche all’Unione europea, come progetto di pace ancora valido. Ne rappresenta ancora oggi testimonianza il suo ispirato discorso davanti al Parlamento europeo del 25 novembre 2014. In quei mesi era già scoppiato il primo conflitto intorno ai confini ad est dell’Ucraina e vi era stata l’improvvisa annessione della Crimea da parte della Russia. Insomma la terza guerra mondiale a pezzi veniva confermata nel cuore stesso dell’Europa. Un’Unione europea che già allora appariva nelle parole di Francesco “invecchiata e compressa”, cioè senza quel dinamismo che ne aveva contraddistinto la nascita e la crescita, e che non sembrava quindi in grado di dare risposte convincenti. Ritornare allo spirito pionieristico e di pace dei padri fondatori era più che mai necessario. Anche perché non è possibile che l’Unione ruoti solo intorno allo sviluppo dell’economia. Il suo compito deve essere invece quello di abbandonare i timori crescenti di un’Europa impaurita e piegata su sé stessa e promuovere invece un’Unione protagonista che guarda, difende e tutela l’uomo. Anche perché lo sviluppo disordinato del multipolarismo non permette al mondo di affrontare i problemi globali, dal clima alle enormi diseguaglianze, dalla lotta alla povertà all’accoglimento degli immigrati, tutti temi che premevano a Papa Francesco.

L’Europa, allora, deve puntare secondo Bergoglio a divenire punto di riferimento dell’umanità per il raggiungimento della pace sulla base della sussidiarietà, della solidarietà reciproca e della tutela dei diritti umani e delle libertà. Parole allora profetiche vista l’evoluzione recente dello scenario europeo, ormai condizionato dal proseguimento dell’assurdo conflitto fra Russia e Ucraina e allo stesso tempo dall’allontanamento ormai strutturale del nostro maggiore alleato americano. Davvero un pensiero profondo e di sostegno del progetto di integrazione europea da parte di un Papa che, come dicevamo, veniva considerato meno eurocentrico dei suoi predecessori. Ma Francesco aveva intuito già nel 2014 che l’àncora per il mantenimento della democrazia poteva essere proprio l’Ue, unica realtà politica multilaterale ove i diritti umani venivano considerati un bene comune e dove la dignità umana poteva trovare il giusto contesto per essere sostenuta e sviluppata. Non tutta l’Ue, purtroppo, ma certamente la gran parte di essa rispondeva a questo messaggio pastorale e alla volontà di contrastare il crescente nazionalismo. Purché si abbia la forza di salvaguardare i grandi valori che sono alla base del processo di integrazione europea. Manteniamo quindi, per riprendere il discorso di Papa Francesco, la nostra “unità che vive della ricchezza della sua diversità” e tuteliamo quindi il bene più prezioso della nostra democrazia minacciata sia dall’interno che dall’esterno, ma ancora capace di dare accoglienza alla dignità delle persone.

Esperto di questioni europee e di politica estera, è Presidente del Comitato dei Garanti e Consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali. È pubblicista e editorialista per Vita trentina (dal 2019) e Corriere del Trentino – Gruppo Cds (dal 2020).

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