In occasione dell’evento “Sicurezza e difesa europea, quo vadis?”, organizzato il 27 ottobre scorso dall’Istituto Affari Internazionali, il Generale Claudio Graziano, presidente di Fincantieri, ha rilasciato questa intervista ad AffarInternazionali, la rivista dello Iai.
Si è chiuso l’ottavo mese dell’aggressione russa all’Ucraina. Che idea si è fatto sul possibile ruolo della comunità internazionale?
“Siamo al nono mese di una guerra senza precedenti. Dal punto di vista degli effetti economici, dopo la crisi finanziaria del 2008, la conseguente crisi dell’Euro e la pandemia da Covid-19, la guerra in Ucraina, combinata con la crisi energetica, rappresenta in parte quello che gli economisti chiamano il threshold shock asimmetrico per l’Unione Europea e la comunità internazionale.
Quando diciamo “uno shock asimmetrico” intendiamo una condizione economica che colpisce improvvisamente un sistema sociale, un sistema produttivo e, tra l’altro, alcuni membri dell’Unione Europea più deboli rispetto ad altri. Tutto questo può essere evidentemente superato ricorrendo al concetto di solidarietà europea, ma, soprattutto, diversificando le fonti energetiche – attraverso una nuova politica comunitaria europea – rinunciando alle risorse russe e investendo in una sorta di nuovo piano di ricostruzione europeo dell’energia.
D’altra parte, la crisi ucraina può essere risolta soltanto attraverso un processo diplomatico che porti ad una pace, ma ad una pace giusta. Una pace giusta significa che c’è un aggredito e un aggressore ed evidentemente si basa sul fatto che l’aggressore riconosca i diritti dell’aggredito.
Al XX Congresso del PCC le minacce cinesi nei confronti di Taiwan sono state se possibile ancora più forti. Che reazione si aspetta dagli Stati Uniti in caso di aggressione?
Dal punto di vista verbale abbiamo delle posizioni diverse: il presidente Biden, alcuni mesi fa, ha affermato di essere pronto a intervenire, in caso di aggressione senza precedenti, a un’invasione di Taiwan. Egli ha però anche detto che le relazioni non cambiano e che gli Stati Uniti non vogliono influenzare il processo di indipendenza scelto da Taiwan, lasciando quindi aperta la porta all’autodeterminazione. D’altra parte, la Cina, dopo le affermazioni riguardo Taiwan – che rientrano nella normale dialettica cinese sul possesso – ha anche affermato di volere delle relazioni con gli Stati Uniti e con l’Occidente basate sul rispetto reciproco e sulla cooperazione.
In effetti, il problema è che ci troviamo di fronte a un momento in cui c’è forte cooperazione ma anche di competizione globale. Questa continuerà per i prossimi anni: parlo di competizione per la supremazia tecnologica e, indiscutibilmente, gli Stati Uniti guardano diversamente al quadrante Indo-Pacifico che diventa la priorità e diventerà una priorità anche per noi perché i materiali rari arrivano da quell’area”.
Quale può essere l’apporto dell’Italia alla Difesa europea e alla Nato?
L’Italia, per posizionamento geografico, per ruolo giocato sia in ambito di Unione europea – dove è uno dei paesi fondatori, ma anche uno dei leader politici ed economici – per fedeltà all’Alleanza Atlantica, per impiego di forze terrestri e navali in tutti i teatri di crisi – e ultimamente con il dispiegamento delle forze avanzate dalla Romania alla Bulgaria alla Lettonia – ha evidentemente un ruolo fondamentale e centrale. Aggiungo che, in un momento in cui vi sono crisi, vi sono divisioni, può rappresentare un ponte fra l’Est e il Sud.
L’attuale presidente del Consiglio ha garantito una rinnovata stabilità e sono certo che potremo ambire a essere tra i leader di questo processo europeo, insieme alla Francia, e alla Germania.
Ha parlato della fedeltà del nostro Paese all’Alleanza Atlantica. Secondo lei i tempi sono maturi per un segretariato generale della Nato affidato all’Italia?
Evidentemente la scelta del Segretario Generale è una scelta politica operata da tutti i membri della Nato. Credo che l’Italia, proprio per le ragioni che ho esposto prima, per il ruolo che ha in Europa, per la tradizione di fedeltà transatlantica, ma anche per il peso economico, militare e politico che ricopre, può giustamente ambire a fornire il nuovo Segretario Generale della Nato. Abbiamo delle personalità di spicco perfettamente in grado di svolgere questo delicato incarico.
Sottolineo quindi che l’Italia, con i nuovi investimenti per la difesa, con l’impegno in ambito internazionale e attraverso la capacità di gestire anche le crisi, oltre all’abilità che hanno dimostrato le Forze armate, possa giustamente ambire a tale ruolo.
In più occasioni ha sottolineato l’importanza della Bussola strategica. Ci sarà mai un Esercito europeo?
Speriamo. Quando, però, ci sarà l’Esercito europeo significherà che ci sarà una politica comune europea. Questo perché, evidentemente, la scelta di creare una forza armata comune poggerà su una politica estera comune.
Ovviamente sono necessari ancora diversi passaggi: per ora parliamo di integrazione delle capacità delle difese europee, integrazione sia dal punto di vista dello sviluppo delle industrie europee sia delle abilità. Ricordo che la Bussola strategica ha stabilito di creare una European Capacity of Deployment, una capacità di reazione rapida che è attualmente configurata su circa 5 mila militari multifunzione, interforze, in grado di operare sia a terra, che nello spazio, che dal mare. Evidentemente, questa prima capacità rapidamente dispiegabile darà all’Unione Europea quella possibilità di intervento che è mancata nel caso dell’Afghanistan ed è una cosa particolarmente importante laddove si pensi che, per le forze armate moderne, il dispiegamento di una capacità di questo tipo significa avere anche quello che noi chiamiamo gli enablers, i sistemi che aiutano queste operazioni, al momento forniti dagli Stati Uniti.
Si tratta di satelliti, capacità di trasporto intermodale, capacità di protezione strategica, di protezione cyber. Sono investimenti che nasceranno da una posizione comune dell’Europa. Ricordo, infatti, che le decisioni si prendono all’unanimità nell’Unione Europea. La Bussola strategica è stata approvata all’unanimità ed è molto importante che diventi rapidamente una concreta realtà”.
Nell’Europa della difesa serve un salto di qualità nella cooperazione sia tra istituzioni Ue e stati membri, sia tra questi ultimi, sia tra settore pubblico e privato. Viste le sue molteplici esperienze, che indicazioni darebbe al riguardo?
Lo scenario industriale è sempre più complesso. In un mondo ogni giorno più competitivo, per acquisire e raggiungere quella che noi desideriamo come base per la sicurezza e la pace, ossia l’autonomia strategica, è indispensabile una maggiore cooperazione.
Cosa vuol dire autonomia strategica? Vuol dire essere in grado di operare anche da soli. Noi vorremmo sempre agire con i partner, ma in caso di esigenza dovremmo essere in grado di operare in autonomia. Dobbiamo renderci conto che siamo in un momento di sfida tecnologica, le spese europee per la difesa in questo momento non sono particolarmente efficaci, perché sono frammentate fra molti sistemi, tra diversi enti e diversi operatori.
Invece, tutte le esigenze, in questo momento, dovrebbero essere decise sulla base dei gap europei e coordinate in ambito europeo. Evidentemente, questo è un processo complesso perché porta a una oggettiva contrapposizione tra l’interesse nazionale e l’interesse sovranazionale. Per superare tale contrapposizione è necessario un nuovo metodo di cooperazione internazionale e di business che mette insieme sia una più efficiente azione da parte delle Istituzioni Europee sia una più efficiente cooperazione tra parte privata e parte pubblica.
Credo che gli spazi ci siano, io rappresento in questo momento una azienda leader nel settore come Fincantieri, che sicuramente si può presentare in Europa come elemento attraente di tale cooperazione. Dopodiché dobbiamo investire anche per avere i nostri rappresentanti in Unione Europea affinché collaborino per decidere le modalità di azione. Attualmente l’Europa ha l’European Defense Fund per la ricerca, lo sviluppo e l’integrazione ed è doveroso operare affinché questo coordinamento porti anche ad un maggiore efficientamento della spesa”.