Il ruolo della ‘diplomazia del Presidente’ nella partita del Quirinale

Nella partita per il Quirinale attualmente in corso il discorso ruota quasi esclusivamente intorno all’individuazione della figura che rivestirà questa carica per i prossimi sette anni. Poca attenzione, per il momento, viene riservata alla questione del ruolo che il nuovo presidente andrà a svolgere in un contesto in cui in partiti appaiono ancora come il grande malato del sistema politico. Relativamente al contributo presidenziale rispetto all’Europa e alle relazioni internazionali il leit motiv è quello di trovare una figura che garantisca e promuova l’immagine dell’Italia all’estero.

Il ‘potere estero’ vincolato

Questo auspicio dai contorni così indefiniti denota una profonda inconsapevolezza e incertezza di quello che il capo dello Stato fa e può fare nell’esercizio del cosiddetto “potere estero” e, di conseguenza, di quello che ci dobbiamo aspettare dal futuro inquilino del Quirinale.

Il contributo del capo dello Stato alla politica estera dell’Italia non è di immediata definizione, anche perché la responsabilità della politica estera è in capo al governo, con un coinvolgimento del Parlamento dal quale ottiene la fiducia. Nel corso della storia repubblicana i capi dello Stato hanno, in vario modo, inciso sull’azione internazionale del paese, quasi sempre in linea con gli orientamenti dell’esecutivo e, solo in alcuni casi, con contrasti e frizioni. Il maggiore o minore protagonismo sulla scena internazionale è poi dipeso dal “carattere” e della visione dei singoli presidenti: presidenti fortemente interventisti furono, ad esempio, Giovanni Gronchi e Sandro Pertini. Altri, sopra tutti Giovanni Leone, hanno agito con estrema cautela per evitare di ingenerare contrasti in un ambito, quello delle relazioni internazionali, in cui la responsabilità prima dell’azione ricade sul governo.

L’europeismo del Quirinale

Nel post-guerra fredda, che poi coincide con l’avvento della seconda Repubblica, il ruolo presidenziale è profondamente mutato. In un contesto in cui si sono verificati con sempre maggiore frequenza dei vuoti di potere dovuti agli inceppamenti del sistema dei partiti, il capo dello Stato ha accentuato il suo ruolo di guida e di garanzia di continuità, sia verso l’interno che verso l’esterno. In un contesto caratterizzato peraltro da una profonda mutevolezza degli scenari internazionali e dalla crisi delle alleanze tradizionali i presidenti della Repubblica hanno agito per garantire il rispetto di quelle scelte fondamentali che nel tempo sono divenuti un tratto essenziale (e non negoziabile) dell’identità italiana. Il riferimento è sicuramente all’europeismo, sul quale le presidenze di Carlo Azeglio Ciampi, di Giorgio Napolitano e, infine, di Sergio Mattarella, hanno operato in linea di continuità per evitare che questo divenisse un argomento di scontro tra le forze politiche.

Con queste tre ultime presidenze l’istituzione presidenziale ha subito una profonda trasformazione. Senza dubbio si può è definito uno spazio di manovra autonoma per il capo dello Stato nelle relazioni europee e internazionali. Complice l’espansione del diritto di esternazione del Presidente e facendo leva sull’essere il rappresentante dell’unità nazionale, il capo dello Stato rappresenta oggi una figura che opera con costanza nelle relazioni internazionali. Lo fa in modo non semplicemente protocollare tanto che diversi studiosi, cogliendo sviluppi analoghi in altre repubbliche parlamentari (segnatamente la Germania), hanno iniziato a parlare con cognizioni di “diplomazia del presidente”.

Più responsabilità ai partiti

Il presidente che sarà eletto a breve raccoglierà questa eredità. La sua azione sulla scena internazionale dipenderà molto dal modo in cui si evolverà il sistema politico interno e, nello specifico, dalla capacità dei partiti di sottrarre la politica estera dal confronto giornaliero e di porla su basi concrete e razionali. Qualora il sistema dei partiti si dimostrasse in grado di riassorbire il momento populista che lo ho intrappolato per diversi anni, allora per il capo dello Stato – i cui poteri sono definiti dai costituzionali come “a fisarmonica” – potrà mantenere un ruolo di indirizzo più silenzioso ma, non per questo, meno autorevole.

Foto di copertina ANSA/ QUIRINAL PRESS OFFICE/ PAOLO GIANDOTTI

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