Economia blu: il mare italiano verso una nuova governance?

Il mare è apparso per la prima volta nel programma di un governo della Repubblica. Il paradosso dell’Italia grande Paese marittimo che non si considera tale, potrebbe aver termine. Nel suo discorso di apertura, il neopresidente del Consiglio lo ha citato due volte a proposito dell’estrazione del gas e della sua funzione di asset strategico dell’economia. Al di là degli aspetti programmatici, resta da capire quale può essere il ruolo del “Ministero delle politiche del mare” (e per il sud) nello sviluppo della blue economy.

Dalla Marina Mercantile alla mobilità sostenibile

Soppressa nel 1995, le sue competenze distribuite tra vari ministeri (in primis, i Trasporti, ora Mobilità sostenibile), la vecchia Marina mercantile viene rimpianta da chi ne apprezzava la struttura incentrata su tutte le attività marittime. Tra l’altro, sotto il suo controllo, nel 1982, era stata approvata la Legge per la Difesa del Mare che assegnava alla Marina navi per specifiche funzioni nelle future Zone economiche esclusive (Zee). 

A un unico referente politico per navigazione, marittimi, porti, demanio, pesca, aree marine protette, si sono sostituite più amministrazioni il cui fattore aggregante è costituito dal Corpo delle capitanerie di porto-Guardia costiera. Il Corpo, ordinativamente inserito nella Marina militare, svolge infatti, quale “Autorità marittima” funzioni per conto di vari ministeri a cominciare dalla Mobilità sostenibile nel cui ambito è incardinato. 

Da tempo vari soggetti del cluster marittimo quali la Confederazione italiana armatori (Confitarma) chiedono che si ritorni ad un unico ministero per porre termine alla parcellizzazione delle funzioni e riconoscere al mare il ruolo centrale che l’economia e la geografia gli assegnano già.

Energia dal mare

Un caso a sé è lo sfruttamento energetico del mare. Il referendum sulle trivellazioni del 2016 rappresenta in materia il punto di svolta. La moratoria sulle attività minerarie in mare ha depotenziato – nonostante le riserve accertate e quelle potenziali ad ovest della Sardegna- il settore riducendo a livelli insignificanti i precedenti 20 miliardi di mc. estratti.

Anche il Ministero dello sviluppo economico che aveva ereditato dall’Industria le competenze tecniche si è dovuto adeguare al nuovo corso, ristrutturando la sua eccellente organizzazione nell’ambito del Ministero della Transizione ecologica (ora dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica).

Nel frattempo, nonostante le buone intenzioni, l’eolico marino non ha fatto passi avanti. E’ stata proclamata la Zee che è appunto dedicata alle energie rinnovabili, ma non ci sono né i confini né le norme applicative.

Quale ministero per il mare

Il governo Meloni è intenzionato a ritornare al passato dopo aver dichiarato che “i nostri mari possiedono giacimenti di gas che abbiamo il dovere di sfruttare appieno”. La vecchia Marina mercantile potrebbe anche reincarnarsi nel Ministero delle politiche del mare. Oltre gli aspetti di facciata indotti dalla sua denominazione, il nuovo ministero (che nasce senza portafoglio) potrebbe coordinare le competenze marittime dei vari ministeri, cercando magari di acquisirne di proprie come previsto da un’iniziativa parlamentare della passata legislatura.

In teoria, come fatto in Francia, potremmo anche noi avere un ministero cui assegnare specifiche deleghe in materia di gestione di tutti gli affari marittimi, tranne quelli che Parigi comprende nell’ambito dell’Azione dello Stato sul mare.

L’ordinamento francese attribuisce infatti al Segretariato generale del mare (SeGeMer), posto alle dipendenze del Primo ministro, la responsabilità della sicurezza marittima affidata alla Marina (in Francia non c’è un corpo militare come la Guardia costiera).

I problemi dell’agenda marittima italiana

La semplificazione amministrativa delle attività di navigazione, il riavvio delle trivellazioni, la costruzione di nuovi gasdotti sottomarini, l’installazione di parchi eolici nella Zee ora bloccata per il ritardo nella definizione della pianificazione marittima spaziale, sono tutti problemi in agenda.

Quanto agli spazi marittimi nazionali, la Zee attende di essere regolamentata dal momento che la mancata definizione dei suoi confini (gli Esteri hanno tuttavia già concluso accordi con Grecia e Croazia) e l’assenza di norme relative alla giurisdizione ne impediscono l’effettività. Stesso problema per la Zona contigua di 12 miglia oltre le acque territoriali rimasta sulla carta nonostante sia destinata a combattere gli scafisti dediti al traffico di migranti. 

Non ultimo, c’è il problema dell’organizzazione policentrica di vigilanza e polizia marittima che varie norme  affidano, nei diversi  spazi marittimi, a Marina, Guardia costiera e Guardia di finanza operanti  per conto di diversi dicasteri. 

L’economia blu 

Quello della crescita dell’economia legata a tutti gli usi legittimi e sostenibili del mare è in ultima analisi l’obiettivo principale che l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni si propone. 

Il comparto marittimo vale 34 miliardi all’anno secondo le stime dell’ultimo “Rapporto sull’economia del mare”  realizzato da Federazione del Mare e Censis relativamente ai settori del trasporto marittimo, porti, cantieri, logistica, nautica, pesca, agenzie marittime, ecc.). Analoghe valutazioni vengono fatte anche nel Rapporto di Unioncamere che raggruppa anche settori non industriali come balneazione, ristorazione, turismo. 

Stante la disaggregazione dei poli economici dedicati al mare, l’Italia -qualsiasi scelta ministeriale venga adottata- dovrà acquisire una visione comune che riconosca, con un’appropriata strategia, la propria secolare vocazione marittima cui è connesso il ruolo di sorveglianza svolto dalla Marina e delle altre Forze marittime.

Foto di copertina EPA/HANNIBAL HANSCHKE

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