Divorziare dall’energia russa: le opzioni in campo

C’è un doppio filo che lega la dipendenza energetica europea alla guerra di Putin. Da un lato, il rischio di forniture basse o nulle di gas che sta spingendo l’Ue a cercare alternative. Dall’altro, la volontà di colpire il redditizio settore energetico russo senza che le ripercussioni siano devastanti anche per noi che ne siamo, come noto, fortemente dipendenti.

La relazione energetica tra Mosca e l’Ue è sopravvissuta a crisi importanti negli ultimi decenni, nel contesto delle quali la sicurezza energetica europea è tornata tra le priorità dell’agenda brussellese. Nonostante i tentativi (più o meno riusciti) di diversificazione, il ruolo dominante della Russia nei mercati europei del gas è l’evidente risultato di diversi fattori, tra cui il declino della produzione interna di gas dell’Ue.

Quanto dipendiamo dalla Russia

Nel 2021 la Russia forniva il 45% delle importazioni di gas all’Europa. Compriamo anche carbone e petrolio da Mosca, ma siamo particolarmente vulnerabili alle importazioni di gas per via della maggiore regionalizzazione dei mercati del gas rispetto a quelli del petrolio. Complici gli attuali prezzi, l’Ue versa nelle casse russe moltissimo denaro per il suo approvvigionamento energetico (oggi, 17 marzo, siamo a più di 13 miliardi dall’inizio dell’invasione).

Come spesso accade quando si parla di energia, prerogativa nazionale degli Stati membri, rispondere con una sola voce, in modo coerente e molto rapidamente è difficile. In primis, per la forte dipendenza dalla Russia di alcuni paesi rispetto ad altri. In secondo luogo perché quando si ragiona fuori dagli schemi per sovvenzionare, in tempi di emergenza, misure eccezionali, non tutte le idee fanno subito presa all’unanimità nel Consiglio. In terzo luogo perché una risposta drastica alla guerra sul piano energetico porrebbe gli stati membri dinanzi a scelte d’investimento non semplicissime.

A prescindere dall’esito della guerra è però difficile pensare che l’UE possa sentirsi sicura a restare così dipendente dal gas russo. I progressi verso le ambizioni “net zero” porterebbero comunque l’Ue a ridurre l’uso/importazione di gas nel tempo, ma la crisi attuale solleva domande specifiche su ciò che si può fare oggi per limitare drasticamente i legami con il Cremlino. Questo non significa necessariamente che in futuro non avremo alcun legame energetico con la Russia, ma è evidente che al momento si tenta di trovare la strada per accelerare il divorzio da Putin.

Dal 24 febbraio in poi si sono susseguiti vari annunci in questo senso – in alcuni paesi si sta riconsiderando l’uscita dal nucleare e il ritmo dell’uscita da carbone, si cerca di ampliare velocemente l’uso di rinnovabili e accelerare l’efficientamento energetico, si sono annunciati rigassificatori per promuovere una maggiore diversificazione dell’approvvigionamento di gas e l’infinita saga di Nord Stream2 si è interrotta.

REpowerEU per un divorzio dal gas russo

L’idea presentata dalla Commissione europea si chiama “REpowerEU”, pensata per ridurre drasticamente prima – e rompere poi (entro il 2027) – il legame energetico con Mosca. Il piano sarà dettagliato a maggio ma sembra ricalcare le priorità chiave messe in campo dall’UE ben prima della guerra: la riduzione dell’utilizzo di fonti fossili e un’accelerata del Green Deal Europeo – quest’ultimo percepito più chiaramente che mai come la migliore strategia di sicurezza energetica oltre che ‘soltanto’ come una visione per un’economia europea sostenibile. Riconoscendo il doppio vantaggio della decarbonizzazione, molti stati membri hanno riaffermato con forza il loro supporto alla transizione green in questi giorni, e auspicabilmente questa crisi porterà almeno a un più forte consenso politico sull’azione climatica.

Non sarà facile velocizzare il distacco dal gas russo. Nel 2021, l’UE ha importato da Mosca circa 140 bcm di gas via gasdotto e circa 15 bcm di gas naturale liquefatto. Queste importazioni potrebbero essere sostituite attraverso GNL e gasdotti alternativi, più rinnovabili, efficientamento energetico. Un passaggio dal carbone al gas potrebbe potenzialmente evitare un’ulteriore parte di gas russo – ma dovrebbe essere visto solo come una soluzione temporanea, emergenziale e limitata.

I rischi dell’Italia legati al gas russo

Sebbene presenti una condizione migliore in termini di stoccaggio rispetto alla media europea, l’Italia è uno dei paesi più esposti a potenziali interruzioni del gas russo. Un maggiore utilizzo della capacità di importazione da altre arterie – come Algeria, Libia, Azerbaijan e i terminali di rigassificazione per il GNL – è o sarà considerato dal governo Draghi. Ci sono alcuni vincoli sul lato dell’offerta però, che spaziano dalle esigenze di un crescente consumo interno (Algeria), all’ instabilità politica (Libia), alle incertezze sulla capacità di aumentare la produzione (Azerbaijan), e così via. L’Italia potrebbe anche finire per considerare nuovi progetti e rotte.

L’effettiva fattibilità del GNL alternativo (dagli USA o dal Qatar per esempio) potrebbe essere ostacolata sia da alcuni colli di bottiglia fisici/infrastrutturali che dai prezzi elevati nell’attuale mercato del GNL, oltre che potenzialmente esporre l’UE alla competizione con altre regioni, in particolare l’Asia, i paesi in via di sviluppo e le economie emergenti. Gli eventuali investimenti e contratti da predisporre per rispondere a questa crisi, quindi, richiedono scelte ponderate e lungimiranti, che si incrociano peraltro anche con una strategia di decarbonizzazione che rimane saldamente in piedi e anzi dovrà essere rinvigorita.  Naturalmente, investire in soluzioni tecnologiche pulite ed efficienti rimane la miglior strategia di sicurezza possibile. Tuttavia, anche a fronte di un rapido sviluppo delle rinnovabili, l’Europa e l’Italia avrebbero bisogno di soluzioni più rapidamente dispiegabili per sostituire nell’immediato il gas russo.

Le misure a breve termine

In una prospettiva di breve termine, la Commissione riflette su misure per facilitare la mitigazione dei prezzi (guardando alla regolamentazione dei prezzi al dettaglio per consumatori e imprese, alla disciplina degli aiuti di stato, a misure di tassazione temporanea degli extra-profitti delle società energetiche, ecc.). L’esecutivo UE propone anche un target obbligatorio del 90% di riempimento degli stoccaggi entro il 1° ottobre. A fine marzo sapremo di più di queste proposte, toccate solo superficialmente dalla Dichiarazione di Versailles la scorsa settimana.

In una prospettiva di breve termine, la Commissione riflette su misure per facilitare la mitigazione dei prezzi (guardando alla regolamentazione dei prezzi al dettaglio per consumatori e imprese, alla disciplina degli aiuti di stato, a misure di tassazione temporanea degli extra-profitti delle società energetiche, ecc.). L’esecutivo Ue propone anche un target obbligatorio del 90% di riempimento degli stoccaggi entro il 1° ottobre. A fine marzo sapremo di più di queste proposte, toccate solo superficialmente dalla Dichiarazione di Versailles la scorsa settimana.

Ancora troppo poca attenzione viene riservata a possibili aggiustamenti dal lato della domanda da parte di industrie e cittadini – in linea col Green Deal Europeo da una parte, ma anche in vista di eventuali embarghi/interruzioni dall’altra. Anche se sono temi politicamente spinosi, soprattutto in una fase di ripresa post-Covid, una discussione a tutto tondo – che comprenda anche cambiamenti comportamentali alla portata di privati cittadini (e.g., regolare il termostato per il riscaldamento degli edifici consentirebbe un risparmio energetico immediato di circa 10 bcm all’anno per ogni grado di riduzione, secondo la IEA) è rilevante in questo contesto.

Foto di copertina EPA/FOCKE STRANGMANN

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