Dieci anni dalla la stipula dell’accordo JCPOA sul nucleare iraniano

È passato praticamente sotto silenzio il decimo anniversario della stipula, il 14 luglio del 2015, del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), l’intesa diplomatica che pose fine alla controversia sul nucleare iraniano. Esso è avvenuto in concomitanza con il recente incontro a Washington tra il Presidente Trump e il Primo Ministro Netanyahu, che sono i principali responsabili del suo successivo fallimento.

L’accordo fu inizialmente un vero successo poiché, per una volta, il possibile programma nucleare militare di un paese fu arginato attraverso la diplomazia anziché con l’uso della forza. Un ruolo di rilievo fu svolto dall’Europa con la partecipazione ai negoziati, oltre a Cina, Russia e USA, anche di Francia, Germania e Regno Unito (prima che quest’ultimo abbandonasse l’UE). Gli storici approfondiranno i motivi dell’assenza dal negoziato dell’Italia che era allora il principale partner economico europeo dell’Iran. Un ruolo decisivo fu svolto soprattutto dall’Unione Europea in quanto tale attraverso il suo Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza, un incarico ricoperto allora dall’italiana Federica Mogherini.

L’accordo prevedeva in sostanza che l’Iran avrebbe potuto produrre e detenere solo le quantità e il livello dell’uranio arricchito utili per le sue future esigenze energetiche ma non per scopi militari. L’intero suo programma nucleare venne sottoposto a ferree misure di verifica da parte dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA). In contropartita vennero ritirate le sanzioni in vigore contro l’Iran, ciò che permise al mondo occidentale di avviare una promettente cooperazione politica, economica e finanziaria con Teheran che in tal modo usciva dall’isolamento. Si parlò per l’Italia di commesse per 30 miliardi di Euro.

Tutti questi risultati furono mandati letteralmente all’aria nel 2018, su istigazione di Netanyahu, da Trump che definì il JCPOA il peggiore accordo mai negoziato. Con un suo tratto di penna l’America cessò di attenersi all’accordo e costrinse i suoi alleati e partner a fare altrettanto. L’Iran che lo stava invece rispettando iniziò a sua volta a prenderne le distanze, limitando le ispezioni e ritornando all’accumulo dell’uranio accrescendone il livello di arricchimento.

Il recente rimescolamento delle carte causato dalla crisi di Gaza e l’obiettivo indebolimento dell’Iran che ne è derivato avrebbero potuto offrire a Trump l’occasione per realizzare la sua promessa di un nuovo accordo. Il tentativo negoziale appena da lui iniziato fu sabotato sul nascere da Netanyahu che, proprio in tale occasione, decise un attacco militare contro le installazioni nucleari iraniane cui finirono poi per associarsi gli americani. Anche se vi sono state voci discordanti sul reale esito dell’intervento bellico, non vi è dubbio che le installazioni nucleari abbiano subito danni ingenti ma forse non tali da chiudere una volta per tutte la lunga crisi nucleare iraniana.

Il futuro resta incerto anzitutto a causa della imprevedibilità di Trump. L’Iran per bocca del suo Vice Ministro degli Esteri ha indicato, nonostante l’attacco subito, una preliminare disponibilità a continuare il dialogo con Washington ma al tempo stesso ha richiesto agli ispettori dell’AIEA di lasciare il paese, deprivando l’Agenzia di ogni capacità di verifica. L’Iran aveva in passato minacciato che, in caso di attacco, si sarebbe ritirato dal Trattato di non Proliferazione Nucleare (TNP) analogamente a quanto fatto dalla Corea del Nord prima di procedere ai suoi test nucleari. Non è da escludere che Teheran lo possa fare invocando quella “circostanza straordinaria” che ai sensi dell’articolo 10 gli permetterebbe di ritirarsi dal Trattato che è considerato un pilastro della pace e sicurezza internazionale.

Per sventare tale disastrosa opzione occorre affrontare una volta per tutte i problemi di fondo di questa vicenda che riguardano l’intera comunità internazionale. Fermo restando il “diritto inalienabile” di tutti gli stati all’energia nucleare che è espressamente sancito dal TNP, il vero oggetto del contendere è determinare se tale diritto include anche la possibilità per uno stato di produrre in proprio il combustibile (uranio arricchito o plutonio) che serve per alimentare le centrali nucleari. In realtà il TNP né lo consente, né lo proibisce. L’accordo JCPOA lo consentiva all’Iran ma lo sottoponeva a severe limitazioni e verifiche che se attuate non gli avrebbero permesso di costruirsi la bomba atomica. Tale precedente avrebbe potuto divenire un modello per altri stati desiderosi di intraprendere anch’essi tale pericoloso e costoso percorso.

Il passato insegna che Israele può tollerare la costruzione di centrali nucleari nell’area mediorientale ma cerca di opporsi ad ogni costo alla produzione del combustibile che, come tutti sanno, può servire anche per costruirsi l’arma atomica. La tolleranza israeliana scende a zero quando chi vuole avviarsi su tale strada è un regime come quello iraniano attuale che non riconosce lo Stato di Israele, continua a denominarlo “entità sionista” e persegue l’obiettivo della sua sparizione.

Un ritorno al tavolo negoziale ispirandosi ai principi tecnici del JCPOA avrebbe maggiori possibilità di successo se si arrivasse ad una svolta storica nei rapporti tra Israele e l’Iran analoga a quella, che appariva impossibile, avvenuta nel 1977 tra Israele e l’Egitto dopo la guerra del Kippur. Un “chiarimento esistenziale” tra due stati e due popoli, quello ebraico e quello persiano, che si sono conosciuti e riconosciuti sin dai tempi della Bibbia e che hanno convissuto per secoli. L’Europa, che a differenza degli USA non ha mai interrotto i rapporti diplomatici con l’Iran e che con il popolo ebraico ha un debito indelebile, avrebbe in mano le carte per propiziare un simile approccio.

L'Ambasciatore Trezza ha presieduto il Missile Technology Control Regime, la Conferenza sul disarmo a Ginevra e l'Advisory Board del Segretario generale delle Nazioni Unite per le questioni del disarmo a New York. È stato Ambasciatore d'Italia per il disarmo e la non proliferazione, e Ambasciatore della Repubblica di Corea. Attualmente coordina il gruppo italiano dell'European Leadership Network (ELN).

Ultime pubblicazioni