Una nuova strategia europea per il Sahel

A fine settembre 2022, il Burkina Faso ha vissuto il secondo colpo di stato in otto mesi. Dichiarando di agire nel nome della sicurezza nazionale, il capitano dell’esercito Ibrahim Traoré ha preso il controllo del Paese il 30 settembre, destituendo Paul Henri-Damiba, che aveva preso il potere a sua volta con un colpo di stato a gennaio.

La precaria sicurezza e l’incapacità della classe politica di affrontare la minaccia jihadista sono tra i fattori determinanti dei due colpi di stato, avvenuti in maniera così ravvicinata. I due golpe si sono svolti in un contesto segnato dalla competizione nel Sahel tra l’Unione europea – inizialmente a trazione francese, il Paese europeo egemone nella regione – e la Russia.

Il Burkina Faso nel caos

Sin dall’indipendenza nel 1960, i governi del Burkina Faso sono stati investiti da numerosi periodi di instabilità democratica e sono stati fortemente criticati per la loro apparente incapacità di ottenere la stabilizzazione del Paese. Golpe dopo golpe, la struttura democratica delle istituzioni burkinabé è stata percepita sempre più come profondamente corrotta, mentre la pratica del colpo di stato è diventata una risposta ragionevole al fallimento politico.

In modo particolare, negli ultimi due anni, il Burkina Faso ha visto un notevole incremento dell’insicurezza in tutto il Paese a causa della presenza di gruppi armati. La violenza ha causato la morte di più di 2000 persone e portato 1,8 milioni di rifugiati interni.

Il Burkina Faso è uno degli Stati del Sahel che ha sofferto di più a causa delle implicazioni della guerra all’Ucraina. Effettivamente, la crisi economica è stata esacerbata dall’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità (oltre il 30% di inflazione sul cibo nel luglio scorso), con evidenti implicazioni in termini di tensioni sociali, instabilità politica e un generale aumento di rifugiati interni. Tutte queste condizioni avverse hanno preparato il terreno fertile ai due colpi di Stato.

Nel contesto di profondo disagio della popolazione burkinabé, l’esercito ha assunto una posizione di leader nella politica nazionale. La crescente frustrazione contro l’incapacità del governo di apportare un vero cambiamento, le divisioni all’interno dell’esercito stesso e il diffuso risentimento anti-colonialista verso la Francia – sia della popolazione civile che militare – sono stati fattori propizi ai successivi colpi di stato. Specificamente, il nuovo pan-africanismo di Traoré e la sua iniziale inclinazione filo-russa gli hanno permesso di ricevere il supporto della popolazione burkinabé nella cacciata del governo di Damiba. La storia personale di Traoré, legata al suo coinvolgimento diretto nella lotta anti-jihadista e al suo impegno per una risoluzione locale e pragmatica della questione, potrebbe aver giocato un ruolo significativo nel convincere la popolazione, così come una parte dei militari, a supportarlo.

In effetti, Traoré sta cercando in tutti I modi di raccogliere risorse per dare inizio alla promessa riforma della sicurezza. A causa di una carenza di rifornimenti di armi e risorse finanziarie, il suo governo ha lanciato una campagna, tuttora in corso, per arruolare 90 mila soldati,  per utilizzare il servizio militare come ultima ratio. Il nuovo leader burkinabé ha anche affermato che per essere in grado di dare una risposta alle minacce alla sicurezza, il suo governo avrebbe bisogno anche aiuti internazionali e assistenza militare, guardando alla Russia come possibile partner.

Il contesto ‘policrisi’ del Sahel

Il Sahel è una regione con un’ampia presenza militare straniera, compresa l’Unione europea. A partire dal 2011, Bruxelles ha considerato quest’area di importanza strategica soprattutto per I flussi migratori. Tradizionalmente, la presenza dell’Unione europea nella regione si è collegata a iniziative condotte innanzitutto dalla Francia per promuovere gli interessi “europei”. Tuttavia, gli ultimi avvenimenti hanno sottolineato che gli Stati europei devono affrontare questioni militari con alcuni governi locali: è il caso, per esempio, della Danimarca con il Mali e della Francia con il Mali, il Niger e il Burkina Faso. Di conseguenza, nell’ultimo anno e mezzo si è verificato un graduale disimpegno dalla regione da parte di alcuni Stati dell’Ue (Francia, Danimarca e Germania), sia dal punto di vista della cooperazione militare sia degli aiuti allo sviluppo.

La pandemia da Covid-19 e il conflitto in Ucraina, hanno contribuito a indebolire il ruolo della Francia e dell’Unione europea nel Sahel. Questo è evidenziato dal passaggio delle priorità generali dell’Ue, con una diminuzione considerevole dei fondi finanziari e degli aiuti per affrontare crisi concomitanti nella regione. Paragonati alla guerra contro l’Ucraina, i diversi livelli di attenzione e risorse spesi dall’Ue nelle situazioni di crisi nel Sahel sono diventati evidenti per i governi dell’Africa occidentale. La Comunità economica degli Stati africani occidentali (ECOWAS) ha criticato l’Ue per gli scarsi investimenti dedicati alla stabilizzazione dell’Africa e, soprattutto, per non andare incontro ai reali bisogni degli Stati africani. Quindi, non deve sembrare una sorpresa se Stati come il Burkina Faso cercano aiuto altrove.

Il caos nei Paesi del Sahel ha aperto un’opportunità alla Russia per incrementare la sua presenza nella regione. Il Burkina Faso, come altri Stati del Sahel, sembra favorevole ad accogliere l’aiuto russo. Inoltre, il peso strategico della Russia è diventato più incisivo a causa della decisione francese di ritirare le truppe dal Paese.

Anche se il neo-governo di Traoré non ha ancora dichiarato ufficialmente una nuova alleanza con la Russia, il Burkina Faso sta cercando alternative alla Francia per costruire nuove partnership. La Russia è vista con più favore rispetto alla Francia perché non rappresenta un potere coloniale nella regione e, inoltre, sembra predisposta a rispondere alle necessità locali in un modo più efficace e tempestivo alle necessità del Paese. In effetti, la Russia sta cercando di stabilire una situazione di reciproco vantaggio tra i due Paesi.

Con l’offerta di aiuto militare contro la minaccia jihadista, attraverso l’azione del Gruppo Wagner, il principale interesse di Mosca è stabilire la sua presenza e influenza nei Paesi ricchi di risorse minerarie, che circondano l’Europa e il bacino del Mediterraneo.

Prospettive future tra Sahel, Europa e Italia

Alla luce del declino dell’influenza di Parigi e il consolidamento della presenza di Mosca nella regione, insieme alla crescente instabilità politica nei Paesi come il Burkina Faso, l’Unione europea dovrebbe ripensare le sue politiche sul Sahel, possibilmente attraverso un approccio concentrato su una nuova europeizzazione.

Innanzitutto, prendendo in considerazione la “Strategia integrata dell’Unione europea per il Sahel” del 2021, Bruxelles non dovrebbe adottare politiche emergenziali e interventi di governance occasionali che non prendono in considerazione le necessità locali in modo adeguato.

Inoltre, e non da meno, l’Ue ha una missione ancora più ineluttabile da mettere in pratica: definire una ‘nuova europeizzazione’ della sua strategia nel Sahel. In altre parole, l’azione europea dovrà basarsi non solo sulla tradizionale leadership francese (fortemente contestata al livello locale) ma anche sul contributo di tutti gli Stati membri che giocano un ruolo importante nella regione.

In questo scenario, l’Italia sembra essere un partner più affidabile nel Sahel, grazie anche alla longeva assistenza umanitaria e alla cooperazione diplomatica che il governo italiano vuole consolidare. Il 2022 ha visto un grande impegno del governo italiano al rafforzamento delle relazioni diplomatiche, politiche ed economiche nella regione. Inoltre, i governi saheliani vedono di buon grado la presenza militare italiana nel Sahel, concentrata sull’addestramento delle forze militari locali, sul commercio di equipaggiamento militare e su progetti bilaterali di cooperazione

In ultima analisi, i due colpi di Stato in Burkina Faso e la crescente influenza russa hanno messo in evidenza che l’Unione europea non può permettersi di perdere la fiducia nei Paesi del Sahel se vuole continuare a consolidare la sua influenza nella regione. Diversificare le politiche e l’esecuzione di questa nuova strategia potrebbero essere soluzioni che puntano nella direzione delle necessità degli Stati africani. Un nuovo modo, dunque, più prolifico per l’Unione europea per raggiungere una cooperazione adeguata alle sfide della regione.

Foto di copertina EPA/ASSANE OUEDRAOGO EPA-EFE/ASSANE OUEDRAOGO

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