Armi all’Ucraina e l’autotutela nel diritto internazionale

L’annuncio del 1° marzo riguardo l’invio di armi all’Ucraina alle camere del Presidente Draghi è solo l’ultima delle decisioni da parte di diversi paesi, europei ed extra-europei, e dell’Unione europea di fornire armamenti ed equipaggiamento militare a Kiev. Il diritto internazionale regola i trasferimenti di armi tra Stati sia in tempo di pace che durante un conflitto armato. In generale, queste norme si dividono in due categorie: le norme che riguardano la posizione degli stati coinvolti nel conflitto e quelle sugli effetti del trasferimento di armi.

Il diritto all’autotutela

La legalità del supporto militare all’Ucraina dipende, tra altre cose, dalla legalità dell’uso della forza da parte dell’Ucraina. Vista la violazione dell’articolo 2.4 della Carta dell’Onu da parte della Russia, questa non può essere considerata sullo stesso piano dell’Ucraina, la quale, al contrario, sta esercitando il proprio diritto all’autotutela previsto dall’articolo 51 della Carta dell’Onu. Per questo motivo, se gli Stati che inviano armi non intendono rimanere neutrali e sostenere l’Ucraina nell’esercizio di un suo diritto, il diritto di neutralità ed il suo divieto di trasferire armi ai belligeranti (articolo 6 della XIII Convenzione dell’Aia del 1907) non deve considerarsi applicabile in questo caso.

L’Italia ed altri Stati terzi possono supportare l’Ucraina nell’esercizio del suo diritto all’autotutela legalmente, anche attraverso l’invio di armamenti. Infatti, la stessa legge italiana sull’export di armi, la Legge 185 del 1990, estende il divieto di fornire armi ad un Paese in conflitto armato solo quando tale paese è in violazione dell’articolo 51 della Carta (articolo 1(6)(a)). Proprio in luce di questa eccezione, il Governo italiano non avrebbe avuto bisogno di una deroga alla legge 185 del 90, come invece ha richiesto il 1° marzo davanti alle camere.

Come sostenuto da alcuni giuristi, inoltre, essendo l’articolo 2.4 una norma di diritto internazionale cogente (o imperativa), esisterebbe perfino un obbligo per gli Stati di adoperarsi per la cessazione della violazione di tale norma (si veda articolo 41 degli Articoli sulla Responsabilità Internazionale).

È probabile che sia proprio la caratterizzazione di questi trasferimenti di armi come supporto all’autotutela dell’Ucraina che spinga molti paesi a parlare di fornitura di “armi difensive”. Tale classificazione degli armamenti non esiste e non ha alcuna valenza a livello internazionale, in cui le armi sono solitamente categorizzate per tipo, grandezza, e tecnologia, piuttosto che uso e fine delle armi stesse. Tuttavia, sembra che la maggior parte delle armi inviate all’Ucraina dai vari Paesi siano missili terra-aria, come gli Stinger, e missili e mine anticarro, come i Javelin, che sono chiaramente armamenti rivolti al respingimento dell’avanzata russa sul campo ed in cielo.

Effetti dei trasferimenti delle armi

La legalità dei trasferimenti di armi sulla base delle norme appena viste, non implica che non ci siano altri aspetti da considerare, tra cui i concreti o potenziali effetti di questi trasferimenti. Norme come quelle del Trattato sul Commercio delle Armi (TCA) e la Posizione Comune del Consiglio 2008/944/PESC vietano ai paesi esportatori di effettuare trasferimenti di armi nel caso in cui ci sia il rischio che queste siano coinvolte in gravi violazioni del diritto internazionale, come crimini di guerra o crimini contro l’umanità (ad esempio, articoli 6 e 7 TCA). Attualmente pare non ci sia alcuna notizia di gravi violazioni di questo tipo da parte dell’esercito di Kiev, ma questo non assolve gli stati esportatori da un obbligo di costante vigilanza su come le armi trasferire vengano e verranno usate.

Un altro rischio molto frequente collegato a questi trasferimenti è che le armi finiscano nelle mani di soggetti indesiderati, sia durante il conflitto attuale che dopo. Infatti, non sarebbe la prima volta che armi fornite ad uno stato in conflitto finiscano per sparire successivamente, come nel caso degli stinger forniti agli afgani dagli Stati Uniti negli anni 80 per respingere l’invasione sovietica. Al termine del conflitto in Ucraina, saranno necessari processi di disarmo e demilitarizzazione, volti, tra l’altro, a rintracciare le armi fornite in questo momento.

Più in generale, è bene sottolineare che un’interpretazione sistematica della Carta dell’Onu, inclusi il suo preambolo, l’articolo 2.3 sui metodi pacifici di risoluzione delle controversie, e l’articolo 26 sul divieto di deviare fondi per lo sviluppo umano sugli armamenti, enfatizza non solo che la promozione della pace debba essere sempre il primo obiettivo degli stati, ma anche che, come dimostratoci dalla pandemica di Covid-19, la sicurezza non è limitata solamente all’ambito militare e che i trasferimenti di armi durante un momento di crisi come quello attuale devono essere quanto meno sempre accompagnati da analisi più ampie, che guardino, tra l’altro, alla salute e benessere delle persone coinvolte nel conflitto.

Foto di copertina EPA/ROMAN PILIPEY

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