Ammissione della Palestina alle Nazioni Unite: la reazione dell’Assemblea Generale al veto degli Stati Uniti

Con la risoluzione del 10 maggio scorso, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha ufficialmente appoggiato la domanda di ammissione della Palestina, bloccata in Consiglio di sicurezza dal veto degli Stati Uniti, affermando che possiede i requisiti per diventare membro dell’Organizzazione.

È opportuno ricordare che possono diventare membri delle Nazioni Unite tutti gli «Stati amanti della pace» che accettino gli obblighi stabiliti dalla Carta dell’Organizzazione e, a giudizio di quest’ultima, siano in grado di rispettarli e disposti a farlo. L’ammissione è decisa dall’Assemblea generale, che si pronuncia previa raccomandazione in tal senso del Consiglio di sicurezza (art. 4 Carta Nazioni Unite). Sono attualmente membri delle Nazioni Unite 193 Stati.

La Palestina nelle Nazioni Unite

Dal 2012 la Palestina gode dello status di Stato non membro osservatore presso le Nazioni Unite, conferitole dall’Assemblea generale (ris. 67/19), di fronte all’impossibilità di raggiungere in seno al Consiglio di sicurezza un consenso sulla domanda di ammissione presentata nel 2011.

Il 3 aprile scorso, la Palestina ha chiesto di riconsiderare la sua domanda di ammissione. Il Consiglio di sicurezza si è pronunciato il 18 aprile. Un progetto di risoluzione, presentato dall’Algeria, che raccomandava all’Assemblea generale di ammettere lo Stato della Palestina alle Nazione Unite, è stato posto in votazione, ottenendo 12 voti favorevoli, 2 astensioni e un solo voto contrario, quello degli Stati Uniti, che hanno il potere di veto come gli altri quattro membri permanenti del Consiglio. In pratica, il veto statunitense ha impedito l’adozione della raccomandazione.

L’ultima volta che un membro permanente del Consiglio di sicurezza ha posto il veto all’ammissione di un nuovo Stato è stata nel 1976. Gli Stati Uniti bloccarono così la domanda di ammissione della neocostituita Repubblica socialista del Vietnam. Questa poté divenire membro delle NU l’anno successivo, una volta venuta meno l’opposizione statunitense (ris. 32/2).

La risoluzione dell’Assemblea generale

Come aveva fatto in quell’occasione (ris. 31/21), venerdì scorso l’Assemblea generale ha affermato che il candidato soddisfa i requisiti per l’ammissione e ha raccomandato al Consiglio di sicurezza di riconsiderare in senso favorevole la sua domanda. Inoltre, essa ha concesso alla Palestina diritti ulteriori rispetto a quelli di cui era già titolare, tra cui il diritto di sedere tra gli Stati membri in ordine alfabetico e di sottoporre e presentare proposte ed emendamenti, anche a nome di un gruppo di Stati, nell’Assemblea stessa nonché il diritto di partecipazione piena alle conferenze delle Nazioni Unite. Restano esclusi il diritto di voto in Assemblea generale e quello di candidarsi come membro di altri organi delle Nazioni Unite.

La risoluzione è stata adottata con una maggioranza largamente superiore a quella richiesta di due terzi dei membri presenti e votanti (art. 18, par. 2, Carta NU). Hanno votato a favore 143 Stati, inclusi Francia, Federazione Russa e Cina. Voto contrario è stato espresso solo da 9 Stati, precisamente Israele, Stati Uniti, Argentina, Ungheria, Repubblica Ceca, Micronesia, Nauru, Palau e Papua Nuova Guinea. Le astensioni sono state 25, tra cui quelle di Germania, Regno Unito e Italia. Come in altre occasioni, gli Stati membri dell’Unione Europea si sono divisi.

Il rappresentante permanente italiano alle NU, l’Amb. Maurizio Massari, ha motivato l’astensione con la convinzione del Governo che una soluzione duratura del conflitto israelo-palestinese, basata sul principio “due popoli-due Stati”, debba essere ottenuta attraverso negoziati diretti tra le parti e con il dubbio che l’approvazione della risoluzione possa contribuire ad essa.

Significato politico

In effetti, la risoluzione adottata venerdì scorso non è in grado di contribuire concretamente al raggiungimento della pace tra israeliani e palestinesi. Innanzitutto, il Consiglio di sicurezza non ha alcun obbligo di dar seguito alla raccomandazione dell’Assemblea generale. In secondo luogo, quand’anche gli Stati Uniti dessero il via libera all’ammissione della Palestina alle NU, quest’ultima non comporterebbe di per sé la fine delle ostilità, il rilascio degli ostaggi da parte di Hamas e il ritiro di Israele dai Territori palestinesi occupati.

La risoluzione dell’Assemblea ha tuttavia un grande significato politico. Di fronte al brutale attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e alle dimensioni della reazione di Israele, che ha causato oltre trentaquattromila morti, il sessanta per cento dei quali bambini, donne e anziani, e un milione e settecentomila sfollati (dati Nazioni Unite aggiornati all’8 maggio), la risoluzione evidenzia il crescente isolamento della posizione statunitense e la convinzione della grande maggioranza degli Stati della comunità internazionale dell’indifferibilità di un cambio di passo negli sforzi per il raggiungimento della soluzione “due popoli-due Stati”, che consenta di accogliere al più presto la Palestina tra i membri della massima organizzazione mondiale.

Riguardo al soddisfacimento dei requisiti della statualità, in particolare di quello dell’esistenza di un governo che eserciti in modo effettivo ed esclusivo il controllo sul territorio, spesso invocato contro l’ammissione della Palestina alle NU, la prassi annovera casi in cui è stato inteso in senso piuttosto elastico. Basti ricordare il caso della Bosnia Erzegovina. L’ammissione della Bosnia Erzegovina alle Nazioni Unite fu raccomandata dal Consiglio di sicurezza il 20 maggio 1992 e decisa dall’Assemblea generale il 20 luglio successivo (ris. 46/237), benché il Governo di Sarajevo non avesse il controllo di gran parte del suo territorio.

Professore associato di Diritto internazionale nell’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria. È inoltre professore a contratto di Diritto internazionale penale alla LUISS Guido Carli e membro del Human Rights Review Panel della Missione dell’Unione Europea EULEX Kosovo.

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