Escludere gli investimenti nella difesa dal Patto di Stabilità

Alla presentazione del Documento economico finanziario lo scorso aprile, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha ribadito la proposta di una riforma del Patto di Stabilità che preveda un meccanismo flessibile, modulato sulla sostenibilità del debito di ogni Paese. 

Specifica attenzione è stata rivolta a un trattamento preferenziale o Golden Rule di scorporo dall’indebitamento degli investimenti per l’ambiente, la transizione digitale e la difesa, in coerenza con l’impegno a conseguire l’obiettivo concordato in sede NATO del 2% del PIL per il bilancio della difesa, con pari opportunità per tutti i Paesi, e per soddisfare gli impegni internazionali.

I nuovi indirizzi sugli investimenti nella difesa europea

La questione è nota. È stata sollevata recentemente dall’Italia a recenti Consigli Ue, e rientra nel più ampio dibattito sull’adeguamento del Patto di Stabilità e dell’ambizione Ue per nuove responsabilità nella difesa, in particolare oggi per il sostegno all’Ucraina e l’urgente necessità di adeguare le capacità di difesa europee al nuovo scenario operativo. 

Si stanno infatti consolidando proposte e orientamenti volti a mettere sullo stesso piano le priorità della crescita e della stabilità, riavviando una politica di rilancio dell’economia e della sovranità europea in aree di comune interesse. 

Viene considerato, pur con posizioni differenti tra i Paesi, che le comuni esigenze di una riforma del Patto di Stabilità ispirata a principi di flessibilità, e la necessità di nuove politiche di rilancio dell’economia con investimenti in beni pubblici europei, esigono un nuovo approccio, dove la necessaria riduzione del debito non vada a scapito degli investimenti pubblici in settori strategici per l’Europa come quelli sopra citati, tutelando in tal modo la competitività dell’economia europea. 

La cornice normativa attuale

La questione circa lo scomputo degli investimenti dal Patto di Stabilità esiste già nel quadro normativo comunitario, per specifiche aree e in determinate circostanze.

Questa possibilità si ritrova nell’EDAP (European Defence Action Plan) del 2015 che la inquadrava nella politica di miglior utilizzo della flessibilità nell’ambito della “lnvestment clause” del Patto a precise condizioni: esclusione circoscritta agli investimenti nazionali di cooperazione in ambito EDF (European Defense Fund), riconoscimento degli investimenti difesa come “investimenti produttivi” equiparandoli ai TENs (Trans-European Networks), il trattamento “one-off”, il principio del co-finanziamento per i programmi a compartecipazione finanziaria della UE come le misure di Coesione, i TENs, la Connecting European Facility.

Prendendo a riferimento il precedente sopra descritto, svincolare gli investimenti della difesa in modo funzionale a superare le carenze militari europee, incentivare i progetti di ricerca e sviluppo cofinanziati e anche sostenere le cooperazioni europee che si stanno prospettando, avrebbe effetti moltiplicatori per l’economia europea in termini di rafforzamento tecnologico e produttivo. Ne beneficerebbero la competitività dell’ecosistema difesa a fronte della competizione internazionale, e il saldo commerciale europeo, l’autonomia strategica europea e di conseguenza la sicurezza euro-atlantica. 

In questo senso, una mobilitazione degli investimenti pubblici per la difesa e altri settori strategici, che siano svincolati dal Patto, potrebbe rappresentare per l’Unione un elemento sostanziale all’interno di un pacchetto di strumenti volti a sostenere un approccio europeo più strutturato, cooperativo e flessibile su grandi obiettivi strategici, a fronte delle crescenti sfide internazionali che si prospettano.

Foto di copertina EPA/FEHIM DEMIR

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