Una svolta parziale sulle migrazioni nell’Unione europea

Gli ultimi giorni della presidenza francese, hanno visto il Consiglio dell’Unione europea impegnato in una diplomazia iperattiva nel tentativo di far passare gli accordi provvisori del 10 giugno sulla riforma dell’asilo e della migrazione. Due degli approcci delineati dall’ECRE (European council on refugees and exhiles) nella sua valutazione delle prospettive per i prossimi due anni – l’ “approccio graduale” e l’ “approccio Schengen” – stanno procedendo parallelamente, almeno da parte del Consiglio e almeno per ora.

L’accordo sull’approccio graduale

L’accordo di “approccio graduale” ha visto gli Stati membri concordare la loro posizione negoziale su due dei dossier legislativi, il regolamento sullo screening e il regolamento Eurodac. Diciotto Stati membri e tre Paesi associati sono pronti a firmare la dichiarazione su un meccanismo di solidarietà. Sono già stati sottoscritti tra gli 8 mila e i 9 mila impegni di ricollocazione, con Francia e Germania che hanno contribuito con 3500 ciascuno e impegni minori da parte di Lussemburgo, Irlanda, Portogallo e un riluttante Belgio.

Non tutti erano convinti: sul regolamento sullo screening la Slovacchia si è astenuta e l’Ungheria e la Polonia hanno votato contro, mentre su Eurodac Slovacchia e Slovenia si sono astenute e l’Ungheria ha votato contro. Tuttavia, il sostegno di 18+3 è probabilmente migliore del previsto e, sebbene alcuni Stati membri siano tiepidi e potrebbero non offrire impegni di ricollocazione nella pratica, ci sono stati solo sei Stati membri che l’hanno rifiutato completamente – Ungheria, Polonia, Slovacchia, Austria, Lettonia e (de facto) Danimarca.

La limitazione dei diritti fondamentali

Il regolamento sullo screening stabilisce un processo di screening di cinque giorni da svolgersi alle frontiere dell’Ue, presumibilmente prima che una persona sia autorizzata a entrare nel territorio. I risultati possibili sono quattro: l’ingresso in una procedura d’asilo regolare, una procedura d’asilo di frontiera, una procedura di rimpatrio o il rifiuto d’ingresso.

Gli emendamenti proposti dagli Stati membri peggiorano quasi tutti la legislazione dal punto di vista dei diritti fondamentali. Ad esempio, il già ristretto ambito di applicazione del meccanismo di monitoraggio viene ridotto, con l’eliminazione delle disposizioni relative alla garanzia del rispetto delle norme sulla detenzione, all’indipendenza, e all’invito a partecipare alle organizzazioni nazionali, internazionali e non governative pertinenti. Le misure sui controlli sanitari e sulla fornitura di informazioni sono poi indebolite e sono invece state aggiunte regole sul trattenimento secondo cui gli Stati membri devono stabilire disposizioni nella legislazione nazionale per garantire che le persone rimangano nel luogo designato.

Il percorso di Schengen

Parallelamente a questo accordo, si sta muovendo anche l’approccio di Schengen, che implica il cambiamento della politica migratoria e quella di asilo modificando le regole di Schengen. invece di riformare il sistema europeo comune di asilo.

La posizione degli Stati membri peggiora ancora una volta una proposta già dubbia. Gli emendamenti del Consiglio ampliano la definizione di “strumentalizzazione” (articolo 2, paragrafo 27) in modo tale che essa possa essere causata non solo da governi di Paesi terzi ma anche da attori non statali, un’espansione importante del concetto che mina il diritto dell’Ue e internazionale. Sono previste esenzioni limitate per gli attori umanitari e per i trafficanti, ma manca “l’obiettivo di destabilizzare l’Unione o uno Stato membro” con il risultato che un numero ancora maggiore di situazioni potrebbe essere classificato come strumentalizzazione. Gli emendamenti limitano inoltre ulteriormente il numero e gli orari di apertura dei valichi di frontiera ed eliminano anche la proposta originaria del Consiglio di classificare le persone bisognose di protezione internazionale come impegnate in “viaggi essenziali” e quindi non soggette a restrizioni in caso di emergenza sanitaria.

Ci si sta muovendo davvero?

Questi accordi rappresentano una svolta, ma parziale. Il processo di co-legislazione dell’Ue dà egual peso al Parlamento europeo e al Consiglio. Dopo che ciascuno di essi ha concordato la propria posizione, entrano in un processo di trilogo, con la Commissione come mediatore, al fine di raggiungere un accordo comune e adottare la legislazione modificata per riflettere i compromessi raggiunti dai due co-legislatori.

La posizione del Parlamento europeo sul regolamento sullo screening è buona, su Eurodac la situazione è molto più complicata, con forti divergenze tra i gruppi politici. Il Parlamento si trova però di fronte a un dilemma più fondamentale: il Parlamento è ancora fedele all’approccio “pacchetto”, tutto o niente, che insiste sul fatto che Screening, Eurodac ecc. non dovrebbero muoversi senza un accordo sul Regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione (RAMM).

Il dilemma sorge perché l’approccio del pacchetto non ha più il significato che aveva in passato. Sì, la logica è sana: perché fare una riforma se non si elimina la disfunzione fondamentale che è Dublino? Tuttavia, la proposta RAMM non cambia le regole. Ancora peggio, attualmente il posizionamento del Parlamento sul RAMM è peggiore della proposta originaria della Commissione.

L’altro lato del dilemma è che con il RAMM i meccanismi di solidarietà avrebbero almeno una solida base legislativa ed elementi obbligatori, cosa che non accade con il meccanismo concordato dal Consiglio. Ma, d’altra parte, dovrebbe compensare di più, perché il pacchetto nel suo complesso aumenta le responsabilità dei Paesi alle frontiere esterne.

Nuove dinamiche, nuove tattiche?

Nonostante le molteplici perplessità sull’accordo, esso potrebbe rappresentare il modo migliore per uscire dalla situazione attuale. Dal punto di vista della protezione, le opzioni potrebbero essere vagamente classificate in ordine di preferenza come: una buona riforma; nessuna riforma; una riforma parziale; la riforma completa.

La peggiore delle opzioni è che tutte le proposte di riforma vengano approvate, poiché ciò ridurrebbe significativamente gli standard di protezione, aumenterebbe i problemi di accesso alle frontiere e creerebbe un insieme complesso e impraticabile. Le proposte peggiori sono quelle che sanciscono nel diritto dell’Ue il concetto di strumentalizzazione e che consentono deroghe.

La dinamica è però ora cambiata, il che significa che una riforma parziale è un’opzione probabile e che, pur non essendo buona, non è l’opzione peggiore ma si colloca a metà strada in termini di standard di protezione.

Condizioni per una riforma parziale

La riforma parziale, che consiste in alcune leggi e in un meccanismo di solidarietà, dovrebbe essere sostenuta solo a condizione che vengano rispettate alcune condizioni.

 

In primo luogo, il concetto di strumentalizzazione dovrebbe essere eliminato. In secondo luogo, il meccanismo di solidarietà dovrebbe essere rafforzato e dovrebbe essere concordata una base giuridica più solida. Naturalmente, la RAMM potrebbe fornirla, ma presenta un importante dilemma. Lo scopo di una riforma parziale sarebbe quello di evitare tutto questo.

Che si ritenga che una riforma parziale sia il migliore o il peggiore degli scenari o una via di mezzo, la realtà è che l’approccio graduale si sta muovendo. Ciò richiede un impegno per migliorarne il contenuto, proponendo modifiche ai numerosi elementi che lo riguardano.

Foto di copertina EPA/Stuart Brock

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