Una riforma strutturale per il rating finanziario

In un periodo storico caratterizzato da profondi ripensamenti sul nostro modus operandi ( ad esempio il tema del “great reset”), tra i settori che potrebbero beneficiare di una revisione strutturale c’è sicuramente quello finanziario.

Descritto come eccessivamente tecnico e spesso delegato agli addetti ai lavori, il corretto funzionamento del comparto dovrebbe in realtà essere di particolare interesse per il pubblico – sia perché attrae decine di miliardi di risparmi privati (a fronte di una bassa diffusione, in molti paesi, dell’educazione finanziaria), sia perché è influenzato da significative distorsioni.

Il monopolio privato delle agenzie di rating

In particolare, una delle aree che presenta margini di miglioramento è quella delle agenzie di rating dove, da decenni, tre gruppi privati ​​guidano gli investitori nell’allocazione dei loro risparmi, indicando quanto aziende ed enti pubblici siano in grado di ripagare i finanziamenti ricevuti. In altre parole, stabilendone il “merito creditizio”. Il problema è che due delle tre principali agenzie sono controllate da fondi di investimento, che gestiscono oltre 50 mila miliardi di dollari di risparmi a livello globale. Una cifra colossale, che vale più del doppio del PIL degli USA e che rende colossale, evidentemente, anche il conflitto di interessi di queste società.

Aziende caratterizzate da elevate competenze tecniche e in grado di attirare i migliori talenti del settore finanziario, le prime tre agenzie di rating godono di una posizione di “cartello”, rappresentando da molti anni circa il 90% del mercato globale. Inoltre, in conflitto di interessi, giudicano il merito creditizio di gran parte del mercato azionario (92 mila miliardi di dollari) e di quello obbligazionario (128.000 miliardi). Come anticipato, circa un quarto del valore cumulato di questi mercati è direttamente sotto il loro controllo.

L’obiettivo, allora, dovrebbe essere ridurre, se non eliminare, la posizione dominante e il conflitto di interesse delle tre principali agenzie, a beneficio di tutti i portatori di interesse del settore tra cui, in primis, i piccoli risparmiatori.

Un’alternativa praticabile: il Fmi

In un momento in cui il dibattito sul futuro delle nostre istituzioni multilaterali è maturo, tale conflitto potrebbe essere quantomeno arginato assegnando le attività di rating ad un organismo pubblico internazionale. Anche l’Ue si è occupata del tema, giungendo a conclusioni abbastanza sorprendenti, come quelle formulate da Valdis Dombrovskis, allora vicepresidente della Commissione Ue: “attualmente non ci sono alternative praticabili che potrebbero sostituire interamente i rating del credito esterni”. In realtà, le alternative praticabili ci sono. E per avviarle non sarebbe nemmeno necessario creare nuovi organismi internazionali, in un periodo storico in cui molti di loro fanno fatica a essere efficaci.

Un’ipotesi che varrebbe la pena esplorare è assegnare tali funzioni al Fondo monetario internazionale, che alla luce della sua mission di “promuovere la stabilità finanziaria internazionale, l’occupazione e la crescita economica sostenibile”, già nella sua configurazione attuale avrebbe mandato e competenze necessarie per assumerle.

E non si tratterebbe nemmeno di trasferire sotto il controllo pubblico una o più delle agenzie private, come sostenuto da alcuni analisti. Piuttosto, sarebbe importante limitarne l’operato in alcuni settori, come ad esempio quello delle obbligazioni sovrane, così importanti per l’equilibrio delle finanze pubbliche e in grado di impattare i bilanci statali di parecchi miliardi ad ogni minima variazione.

Una risposta alle critiche

Ovviamente, questi effetti potrebbero verificarsi anche nel caso di un rating assegnato da un ente pubblico internazionale. Ma, quantomeno, sarebbero il prodotto di decisioni prese da funzionari pubblici, indicati da organismi eletti (i governi degli stati che partecipano al Fondo) e non soggetti agli strutturali conflitti di interesse delle agenzie controllate da fondi di investimento. Così come appare irrilevante la considerazione che un ente come il Fmi non sarebbe comunque immune dalla “fallibilità dei rating”. Il tema, infatti, non è eliminare il rischio di sbagliare una valutazione – rischio al quale sarebbe inevitabilmente esposto anche un ente pubblico. Piuttosto, far sì che l’ente che valuta il merito creditizio dei titoli in cui investono centinaia di milioni di famiglie operi in maniera trasparente e responsabile.

Molte delle critiche rivolte a questa ipotesi risultano quindi superabili. Così come risulta discutibile l’idea che il Fmi sia un’istituzione prettamente occidentale. In realtà è nato come tale, ma non lo è più, da molti anni, come dimostrano le risorse che gli stati versano al Fondo e che sono funzione della posizione della singola nazione nell’economia mondiale.

Alcuni sostengono che avviare un’agenzia del genere a livello sovranazionale sarebbe complicato, richiedendo cooperazione internazionale e notevole buona fede. Ammesso che sia così, si tratterebbe della stessa buona fede che si attribuisce di default alle principali agenzie di rating, nonostante siano gravate da un conflitto di interessi tanto grande quanto strutturale.

È allora proprio in questo momento storico, descritto come un punto di svolta negli affari internazionali, che dovremmo avere il coraggio di affrontare il tema di una profonda revisione del settore finanziario, dando maggiore concretezza e una nuova credibilità alle attuali istituzioni multilaterali.

Foto di copertina EPA/STEPHEN JAFFE / IMF / HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

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