Tunisia: la crisi economica e il ritorno dell’autoritarismo

I leader del Consiglio europeo hanno approvato le conclusioni sulle “Relazioni esterne e il Mediterraneo orientale”, in cui l’accordo in corso di negoziazione con la Tunisia è stato considerato un modello da seguire in futuro con altri partner della regione. Risulta tuttavia evidente che lo sforzo dei 27 governi si materializza ancora una volta un massiccio finanziamento volti alla “dimensione esterna’” della migrazione. Nel quadro complessivo dell’intesa ci saranno 105 milioni di euro per il controllo dei confini, operazioni di ricerca e salvataggio in mare ed il rimpatrio di persone migranti nel Paese, tuttavia nessun meccanismo di protezione dei diritti umani sarà implementato dalle istituzioni europee.

Nel gennaio 2011, la popolazione tunisina si è ribellata contro un regime dittatoriale, avviando un processo di transizione democratica e adottando una nuova Costituzione. La fragilità delle nuove istituzioni democratiche, la pandemia e una protratta crisi economica hanno creato un contesto favorevole all’accentramento del presidente Kaïs Saïed, che ha invocato l’articolo 80 della Costituzione per assumere poteri emergenziali. Saïed ha dunque proseguito l’accentramento dei poteri sciogliendo il Consiglio Superiore della Magistratura, l’Assemblea parlamentare, adottando una nuova costituzione e perseguitando l’opposizione

La crisi del debito di Tunisi

Nonostante le promesse di una società aperta, democratica e competitiva, dal 2015 si iniziò ad acuire la crisi economica dovuta alla combinazione del crollo dello Stato dirigista autoritario di Ben Ali, la conseguente crescita dell’inflazione – oggi al 10% – e l’implementazione di politiche economiche di austerità richieste dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) in cambio di due grandi prestiti. Gli investimenti e i prestiti da cui dipende l’economia del Paese sono in gran parte finanziati dal FMI, e finora non hanno contribuito a rilanciare l’economia, confluendo per converso in programmi assistenziali del settore produttivo, agricolo e inducendo un impennata del debito pubblico. Il Paese è inoltre vincolato a rimborsi di prestiti esteri in scadenza entro la fine dell’anno e senza lo sblocco dell’accordo con il FMI – che prevede 2 miliardi di aiuti in cambio di ampie condizionalità fiscaliper la Tunisia sarebbe estremamente difficile accedere al mercato internazionale del debito, dato che le agenzie di rating hanno dichiarato la possibilità di default. 

Il ruolo dell’Italia nei negoziati

La regressione democratica e la crisi del debito in Tunisia, si trasforma per i Paesi del vicinato meridionale in un onere diretto delle dinamiche migratorie e rischi legati alle interconnessioni commerciali e, collocata in un contesto più ampio, l’instabilità della regione crea condizioni di insicurezza umanitaria alle porte dell’Europa. La Tunisia è infatti un Paese di transito cruciale per la rotta migratoria del Mediterraneo Centrale proveniente dall’Africa Sub-Sahariana, a cui si unisce il flusso dei cittadini tunisini che sfuggono la recente crisi economica. Il Paese è divenuto nel 2022 la principale rotta di transito verso l’Italia. I dati delle Nazioni Unite, aggiornati all’aprile 2023, indicano che dall’inizio dell’anno il 57% dei migranti e dei rifugiati imbarcati per l’Italia via Mediterraneo – circa 24 mila – sono partiti dalla Tunisia. L’aumento del numero di persone che attraversano il mare viene condizionato dal clima mite dall’inizio dell’anno e dalla necessità di intraprendere il viaggio dalla Tunisia piuttosto che dalla Libia, maggiormente equipaggiata dall’Italia di fondi e attrezzature per i respingimenti. 

Ne segue una scelta imperativa e reiterata del governo italiano, sostenuto da Parigi e Bruxelles, di focalizzare la strategia su una linea di credito per prevenire il collasso economico e sociale del Paese, perpetuando inoltre politiche di esternalizzazione delle frontiere tramite finanziamenti e accordi di rapido rimpatrio. Su questa scia, l’ultimo Memorandum d’intesa” in materia di cooperazione allo sviluppo, firmato nel 2021 sotto l’ex ministra Lamorgese, prevedeva un sostegno finanziario di 200 milioni di euro al governo Tunisino entro il 2023. 

Ad oggi, l’Italia patteggia con insistenza per erogare le risorse, in particolare i fondi del FMI,  permettendo a Tunisi ‘adottare con flessibilità’ le condizionalità richieste. Gli sforzi congiunti dei leader d’Italia, Paesi Bassi e Commissione europea, a Tunisi per i colloqui su un accordo migratorio con la delegazione tunisina, si concludono con un comunicato di cooperazione in materia energeticail progetto per l’inter-connettore elettrico tra Italia e Tunisia, la cui posa verrà curata dall’italiana Terna – e una promessa finanziaria di 150 milioni erogabili immediatamente, dal totale di un miliardo accordato, dall’Unione.

Repressione politica e strategie demagogiche

Il recente accordo annunciato dal Consiglio con la Tunisia rappresenta l’ultima iniziativa, sulla scia di finanziamenti di esternalizzazione, volta a gestire i flussi migratori provenienti da paesi stranieri. Questo accordo, che sarà presto firmato, fa parte di un’ampia intesa che prevede un finanziamento di 105 milioni di euro per il controllo dei confini, le operazioni di ricerca e salvataggio in mare e il rimpatrio delle persone migranti nel Paese.

Il governo italiano è dunque impegnato in una corsa politica volta a implementare la sicurezza delle frontiere, posizione condivisa da altri paesi europei. Tra questi, la Francia adotta una linea simile e, mentre il presidente Macron annuncia 25 milioni aggiuntivi per una ‘difesa comune delle frontieredurante il vertice con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni a Parigi. L’intento dei governi occidentali è dunque vincolare gli aiuti in cambio di un maggiore sforzo di Tunisi nel bloccare le partenze, reiterando politiche adottate già in Libia e senza considerazione alcuna per diritti umani, né sanzioni per la repressione interna delle libertà politiche.

L’interlocutore tunisino ha dato priorità al discorso sulla sovranità del Paese, sostenendo che il terzo pacchetto di salvataggio del FMI, con le sue misure di austerità, non fornirà garanzie a lungo termine per l’economia tunisina, aggravando disordini sociali. Saïed, il cui sostegno è cruciale per qualsiasi accordo dell’Unione europea volto a contenere l’immigrazione, ha inoltre più volte ribadito che la Tunisia non sarà la guardia di frontiera dell’Europa, chiedendo alla delegazione Europea un intervento umanitario e collettivo. Queste parole contrastano nettamente con la posizione di Saïed in un recente discorso demagogico, in cui ha fomentato gli abusi razzisti contro i migranti neri africani in Tunisia evocando la teoria della “grande sostituzione”,  un complotto per modificare la composizione demografica della Tunisia tramite influssi di etnie non arabe.

L’intento dei governi europei è dunque vincolare gli aiuti in cambio di un maggiore sforzo di Tunisi nel bloccare le partenze, reiterando politiche adottate già in Libia e senza considerazione alcuna per diritti umani, né sanzioni per la repressione interna delle libertà politiche. Non compiere gli errori del passato risulterà tuttavia difficile per l’Ue, vista la complessità del monitoraggio dei finanziamenti, sia per le diverse linee di bilancio a cui sono assegnati, sia per la mancanza di un monitoraggio efficace sulle modalità di utilizzo.

Cercando di favorire l’appoggio occidentale, vacillante a causa dell’accentramento del potere e del profilo sempre più illiberale del politico, Saïed ha mantenuto a lungo un’ambiguità ideologica. Negli ultimi mesi il presidente sembra però abbracciare una posizione politica che diversi analisti hanno definito come un’ideologia “anticoloniale’’, aprendo la possibilità di un re-orientamento geopolitico e verso un accordo di finanziamento del debito dai BRICS.

Questo articolo, a cura di Ilona Zabrytska, è stato scritto in collaborazione da Orizzonti Politici e Affari Internazionali, la rivista di IAI, nell’ambito del progetto sulle crisi umanitarie nel mondo

Foto di copertina EPA/MOHAMED MESSARA

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