La vittoria di Donald Trump non era inattesa. I sondaggi lo davano dopo tutto leggermente favorito. Il suo è stato, numeri alla mano, un successo netto ma non trionfale: con ogni probabilità, riceverà lo stesso numero di voti del 2020 (intorno ai 75 milioni, un numero altissimo ma inferiore agli 81 milioni di Joe Biden), che nel voto popolare dovrebbero tradursi in un vantaggio di circa il 2% sulla sfidante Kamala Harris (Biden ottenne oltre il 4% in più nel 2020, Barack Obama oltre il 7% nel 2008). A livello di Collegio Elettorale, Trump dovrebbe raggiungere 312, lontano dai 365 di Obama nel 2008. E guardando a un passato più lontano, le differenze sono state molto più marcate.
La base elettorale di Trump: un possibile riallineamento elettorale?
Eppure, la vittoria di Trump ha una grandezza che va al di là dei numeri. Questa è un’elezione in cui il peso dei voti è più importante della loro conta. Trump ha guadagnato in tutti gli stati, anche quelli a grande maggioranza democratica, e praticamente in tutti i segmenti elettorali: molto tra i maschi neri e moltissimo tra i maschi ispanici, al punto da prevalere su Harris nell’intero segmento elettorale degli ispanici (che sia Biden sia Hillary Clinton nel 2016 avevano vinto con margini significativi). Trump ha anche recuperato il voto degli under-30 (grazie al voto dei maschi senza titolo di studio), segmento che ha perso di poco, e delle famiglie con reddito inferiore ai 50 mila euro. Ironicamente, l’unico segmento in cui Harris è andata meglio di Biden nel 2020 è fra i maschi bianchi.
Il voto per Trump si è trasferito ai Repubblicani, che hanno conquistato il Senato e sono sulla buona strada per mantenere il controllo della Camera. Con la Corte Suprema nettamente sbilanciata a favore dei conservatori (sei giudici contro tre progressisti, grazie anche alle tre nomine di Trump durante il suo primo mandato), i Repubblicani avranno presto il controllo di tutti e tre i poteri dello stato.
Tanto generalizzata è stata l’avanzata di Trump che ci si può legittimamente chiedere se siamo di fronte a un riallineamento elettorale, cioè a uno spostamento sistemico e duraturo di una fetta di elettorato da un partito all’altro. La risposta è ‘sì’, ma condizionato.
Trump ha intercettato una domanda di cambiamento generata da una diffusa insoddisfazione per l’esistente. È almeno dalla metà degli anni Duemila che la maggioranza della popolazione è scontenta della direzione del paese, una percentuale cresciuta molto sotto Biden. Molti ricordano il periodo pre-Covid come economicamente florido e stabile sul piano internazionale. Nonostante l’economia americana sia oggi molto forte – con una crescita sostenuta e la disoccupazione molto bassa – il benessere non è diffuso uniformemente. Moltissimi soffrono degli effetti dell’impennata inflattiva del 2021-23 e degli alti tassi di interesse che rendono più cari i mutui; altri si lamentano della de-industrializzazione degli ultimi quarant’anni e di un’immigrazione che percepiscono come fuori controllo; altri ancora sono stanchi di lunghi e dispendiosi impegni militari internazionali di cui non capiscono i benefici. Quasi tutti percepiscono le élite politiche come distanti, autoreferenziali e preoccupate di questioni che non interessano alla maggioranza.
Trump ha trovato il modo di parlare a queste fasce della popolazione in modo più efficace e diretto rispetto a Biden o Harris, che pure si sono spesi per andare incontro a molte di queste esigenze. Paradossalmente, Trump è stato preferito a Biden/Harris anche se l’esigenza di cambiamento si estende a questioni su cui i Democratici insistono da tempo: diritto all’aborto (inserito nella costituzione di sette stati su dieci dove si è tenuto un referendum, che in Florida ha fallito solo perché il quorum era assurdamente alto), salario minimo, congedo parentale o per malattia pagato.
Harris ha perso non perché le sue politiche siano così distanti da quanto chiede l’elettorato – anche sul fronte dell’industria domestica, Biden ha fatto molto più di Trump con le leggi sulle infrastrutture, i chip e le tecnologie verdi. Ha perso perché non ha saputo o potuto distinguersi da una presidenza impopolare e perché è stata percepita come parte di quel ‘sistema’ contro cui Trump si batte. Se Biden non si fosse ostinato a correre per la rielezione, nonostante tutti i sondaggi indicassero la sua età avanzata come un problema per l’elettorato, i Democratici avrebbero avuto l’opportunità di definire la loro proposta di cambiamento attraverso una regolare campagna di primarie.
Il successo di Trump, nonostante tutto
Anche se non tutto passa per Trump, però, molto passa per lui. A destra, conta su una base fedelissima. La stampa conservatrice, spesso l’unica fonte di informazione per il suo elettorato, lo idolatra. Il sodalizio con Elon Musk ha aiutato in una campagna elettorale in cui i fatti hanno avuto pochissimo spazio: l’80% dei suoi elettori ritengono che l’inflazione sia in aumento, mentre in realtà è calata dal 9,1% al 2,4% in due anni, e che gli irregolari siano 25 milioni (mentre sono poco più di 11), senza contare l’impatto delle tante notizie false, fuorvianti o cospirazioniste diffuse dall’entourage di Trump e dallo stesso Musk ai milioni di utenti di X. In più, la retorica sessista, la denigrazione dei migranti (non bianchi) e l’immagine di ‘uomo forte’ (da boss, si potrebbe dire) toccano più di una corda in una parte consistente dell’elettorato maschile bianco di destra – ma non solo di destra, non solo bianco e non solo maschile.
Se non si coglie la natura carismatica del potere di Trump, non si comprende come sia stato possibile che gli americani abbiano rivotato per un presidente che, dopotutto, è stato mediocre nel suo primo mandato, che ha tentato di sovvertire l’esito dell’elezione del 2020, che ha 94 capi d’accusa sul capo ed è stato condannato in un processo, che ha subito l’onta di due impeachments, che ignora le normali prassi democratiche, che usa il vilipendio, la menzogna e la propaganda come principali strumenti politici, che subordina gli interessi nazionali a quelli personali e che si circonda di lealisti invece che di personale competente. La presa ipnotica che Trump ha sull’elettorato ha fatto passare tutto questo in secondo piano nella campagna elettorale. Resta da vedere se sarà così anche durante la sua seconda, potenzialmente radicale, presidenza.