Le politiche climatiche contengono una forte componente sociale. Il Green Deal europeo ha rappresentato la visione climatica ed economica europea degli ultimi anni. Tuttavia, i governi devono implementarlo in maniera attenta ed equilibrata per poter raggiungere i target preservando il supporto politico e pubblico. Se da un lato, infatti, la transizione energetica potrebbe contribuire a un risultato netto positivo in termini di creazione di posti di lavoro a livello macro (insieme a co-benefici a livello locale), la decarbonizzazione causerà anche effetti negativi e regressivi a livello micro, data l’alta concentrazione di industrie e occupazioni ad alta intensità di emissioni. Poiché il bilancio della transizione non è in bianco e nero, richiederà un’attenta calibrazione delle politiche pubbliche.
La paura degli effetti regressivi, in primis la perdita di lavoro, è uno dei fattori frenanti delle politiche climatiche. Per questo, i governi potrebbero essere tentati di rallentare la decarbonizzazione con l’obiettivo di prevenire gli esiti regressivi della transizione verde. Tuttavia, è importante sottolineare che la politica climatica non sia l’unica causa delle disuguaglianze, ma certamente aggiunge un livello di complessità a un modello già fragile, caratterizzato da disuguaglianze elevate e crescenti causate da trasformazioni significative guidate dalla digitalizzazione, dalla globalizzazione e dalla concorrenza internazionale.
In questo contesto, i governi hanno interesse a progettare una strategia di transizione giusta più completa che affronti le fragilità esistenti dell’attuale sistema come componente integrante della progettazione della decarbonizzazione industriale. Inoltre, una strategia di transizione giusta non può essere limitata al livello nazionale dei paesi sviluppati, ma anche nei paesi in via di sviluppo che sono fortemente esposti ai costi della transizione e della crisi climatica. Integrare la transizione giusta nella politica estera garantirebbe nuove opportunità di cooperazione con paesi chiave in un periodo di crescente competizione geoeconomica e industriale. Queste considerazioni sono particolarmente rilevanti sia per l’Unione Europea che per l’Italia.
L’Europa alla prova: verso una nuova strategia sociale industriale
L’UE dovrebbe definire una nuova strategia sociale industriale in parallelo al suo Clean Industrial Deal, in modo da favorire la dimensione della transizione giusta. Negli anni, l’UE ha creato strumenti e meccanismi importanti, ma non sufficienti alle sfide che la aspettano.
Una necessaria riforma riguarda i limiti chiave dell’attuale quadro regolatorio, che manca di un approccio olistico. Ad esempio, il Just Transition Mechanism è troppo ristretto e caratterizzato da approccio territoriale. È quindi essenziale includere un approccio più ampio che copra i settori industriali chiave che saranno profondamente influenzati dalla transizione, come le industrie ad alta intensità energetica e il settore automobilistico.
La seconda area di modifica è quella legata agli investimenti. Data la scala e la portata della sfida della decarbonizzazione, nuove risorse sono essenziali. Per questo, la dimensione sociale dovrebbe essere un pilastro chiave del prossimo Quadro Finanziario Pluriennale (QFP), nel tentativo di affrontare anche le disparità di spazio fiscale tra gli Stati membri. L’UE dovrebbe allocare risorse finanziarie ai programmi di formazione e sviluppo delle competenze per facilitare la mobilità del lavoro insieme ad altre politiche complementari (curricula educativi).
Il caso italiano: colmare i ritardi e potenziare le competenze
Nel caso italiano, il governo dovrebbe ridurre disallineamenti e obiettivi contrastanti tra documenti politici e programmatici in modo da promuovere un approccio olistico verso la transizione giusta. Inoltre, il paese ha bisogno di migliorare il proprio quadro regolamentare e di governance per sfruttare appieno le risorse finanziarie esistenti per i progetti, che hanno subito ritardi nel caso del Fondo per la Transizione Giusta.
L’Italia dovrebbe potenziare i programmi di sviluppo delle competenze e i fondi per sostenere i lavoratori e rivedere i propri curricula educativi per aumentare le materie STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica), che sono ancora poco sviluppate. A questo scopo sono necessarie una serie di politiche per affrontare le incertezze del mercato del lavoro, specialmente nelle regioni meridionali dove i lavoratori sono più esposti alla transizione energetica
Diplomazia climatica: trasformare la transizione in opportunità globale
Come detto, la transizione giusta può essere anche un pilastro per la diplomazia climatica ed energetica europea – soprattutto alla luce delle sfide energetiche-economiche europee e l’evoluzione geopolitica.
Ad oggi, l’attuale strategia diplomatica europea ha registrato alcune carenze che hanno minato lo sforzo delle molteplici iniziative e partenariati causando risultati contrastanti e frustrazioni nei paesi terzi. La prima carenza è la mancanza di una governance chiara e un coordinamento tra Stati-Ue e tra le diverse direzioni generali della Commissione europea
L’occasione per migliorare la governance e il coordinamento è data dalle Clean Trade and Investment Partnership (CTIPs) e Trans-Mediterranean Energy and Clean Tech Cooperation Initiative, previsti nel Clean Industrial Deal come strumenti per raggiungere la decarbonizzazione e la competitività preservando la cooperazione.
Nonostante la transizione giusta non sembri essere esplicitamente integrata in queste misure, queste nuove iniziative rappresentano un test cruciale per la diplomazia climatica dell’UE per favorire una transizione giusta in regioni strategiche. Infatti queste iniziative possono essere strumenti positivi per costruire partnership vantaggiose con paesi terzi, a partire da quelli MENA (Medio Oriente e Nord Africa) e africani, se l’UE integrerà il trasferimento di tecnologia, lo sviluppo di capacità e programmi di formazione per le comunità locali oltre agli accordi energetici e minerari.
Un test importante sarà la cooperazione in merito all’idrogeno coi paesi MENA e africani. Quest’area, strategica per l’UE, ha un grande potenziale di risorse rinnovabili che potrebbe essere utilizzato per lo sviluppo industriale sostenibile. L’UE dovrebbe garantire investimenti lungo la catena del valore, ma anche collaborare con i suoi partner per stimolare la domanda, definendo standard comuni volti a creare un mercato e limitare gli impatti negativi. Allo stesso tempo, queste regioni trarrebbero grande beneficio da queste iniziative in quanto creerebbero prodotti di esportazione ad alto valore aggiunto, favorendo la creazione di posti di lavoro e maggiori ritorni economici per le loro popolazioni giovani e in crescita.
Tale condizione offre un’opportunità per l’Italia di rafforzare il proprio ruolo nella definizione dei futuri partenariati UE-Africa ampliando il suo Piano Mattei. La definizione dei prossimi CTIPs e dell’iniziativa Trans-Med è un’opportunità per l’Italia di essere un attore proattivo e influente nei progetti coordinati nei paesi parte del Piano Mattei. Collaborando e facendo economie di scale, l’Italia potrebbe anche superare i propri limiti finanziari. Per far ciò, Roma dovrebbe puntare a creare piattaforme e punti di contatto nell’ambito del Piano Mattei per riunire le istituzioni e gli Stati membri dell’UE e i paesi africani. La vicinanza geografica e le già presenti infrastrutture e le relazioni energetiche economiche con molti di questi paesi danno la possibilità all’Italia di promuovere partenariati anche su questioni chiave, come l’idrogeno e le emissioni di metano attraverso programmi di formazione, standard condivisi e best practices dal suo settore pubblico e privato.
Ricercatore nel programma “Energia, clima e risorse” dello IAI. I suoi principali temi di ricerca sono legati ai mercati energetici e alla geopolitica e geoeconomia energetica nelle principali aree geografiche, quali Europa, Medio Oriente e Nord Africa, Africa e area ex sovietica.