L’energia è un elemento essenziale per le economie e gli stati. A seguito delle diverse trasformazioni della produzione e del consumo di energia nei secoli passati, sono emerse nuove industrie, nuovi settori e competenze, mentre altre hanno perso rilevanza o sono addirittura scomparse. Tuttavia, le precedenti trasformazioni energetiche erano principalmente guidate dal mercato, mentre la transizione odierna è partita dalla volontà politica di contrastare il riscaldamento globale. Per questo, la sostenibilità sociale della decarbonizzazione è condizione necessaria per il suo successo. Non a caso, la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha affermato che il Green Deal europeo deve anche essere una “transizione equa e giusta” che non lasci nessuno dietro e che non causi nuove o esasperi vecchie disuguaglianze.
Nuovi lavori
La crescita delle rinnovabili e delle altre tecnologie verdi necessarie per raggiungere i target fissati creeranno nuove competenze e industrie. Ad oggi, vi sono 13 milioni posti di lavoro relativi alle rinnovabili a livello mondiale. Questo numero è in crescita, se si pensa che nel 2012 gli occupati in green jobs erano 7 milioni. La maggior parte di questi lavori sono relativi all’energia solare e sono perlopiù concentrati in Cina.
Ciononostante l’impegno climatico europeo ha permesso di sviluppare fino a circa un milione e mezzo di posti di lavoro nell’Unione europea nelle diverse tecnologie rinnovabili. Questo trend sembra non arrestarsi vista la crescente spinta verso la decarbonizazione anche in seguito alla crisi energetica. L’Unione europea infatti ha aumentato i target al 2030 per le rinnovabili, anche in un’ottica securitaria. Per raggiungere tali obiettivi, si prevede che vi sarà un aumento di posti di lavoro (diretti e indiretti) legati all’industria solare da circa 367,000 oggi a più di 763,000 nel 2030. Anche l’Italia ha visto una crescita di green jobs e imprese verdi. Secondo il rapporto Green Italy 2023, nel 2022 gli occupati in professioni di green jobs corrispondevano quasi al 14% degli occupati totali in Italia. Ad oggi la crescita dei green jobs è trainata dalle regioni del nord-est e centro.
In questa trasformazione, l’educazione e la formazione guadagnano sempre più rilevanza per il successo della transizione e per cogliere al massimo e beneficiare di queste opportunità. Altrimenti il rischio sarà quello di avere importanti carenze di capacità e conoscenze in settori chiave per la decarbonizzazione. I governi dunque devono certamente aumentare la spesa e i progetti legati alla formazione sia dei giovani che delle persone già nel mondo del mercato per il loro riadattamento.
Rischi di una transizione “disordinata”
La trasformazione energetica e industriale comporterà anche la scomparsa o quantomeno la riduzione di alcuni lavori e settori, come per esempio nel settore del carbone e altre industrie altamente energivore ed inquinanti, che dovranno riadattare i processi produttivi per poter rispettare i target di riduzione delle emissioni ma col rischio di veder ridotta la propria competitività e forza lavoro. Un terzo dell’occupazione europea nel settore manifatturiero è legato a prodotti energivori. È dunque chiaro come senza una reale politica sociale per questi settori l’Europa rischi di non avere il sostegno sociopolitico per continuare la transizione minandola alle sue fondamenta.
Un altro aspetto che i governi devono tenere in considerazione è il rischio di un aumento della povertà energetica. Ad oggi si stima che in Italia vi siano oltre 2 milioni di famiglie in povertà energetica. Con la transizione, le persone meno abbienti e con meno capitale disponibile da investire in tecnologie sostenibili (come macchina elettrica, pannelli fotovoltaici, pompe di calore) saranno maggiormente esposti ai danni del cambiamento climatico e dagli impatti economici delle relative politiche. In tal senso è necessario che i governi mettano a disposizione politiche economiche e fiscali per ridurre le disuguaglianze e prevenire un peggioramento della condizione socioeconomica dei cittadini più deboli.
Compensare e sostenere
Proprio per far fronte a queste sfide e garantire forme di compensazione, l’Ue ha creato il Just Transition Fund (JTF). Il Fondo è uno strumento per favorire e sostenere la trasformazione dell’economia nelle aree più colpite dalla transizione grazie ad un budget di 7 miliardi di euro tra il 2021 e il 2027. A questi si aggiungono altri 10 miliardi di euro finanziati nell’ambito di NextGenerationEU. Di questa somma, l’Italia riceverà in totale 937 milioni di euro che andranno principalmente per la conversione di Taranto (ex Ilva) e di Sulcis Iglesiente in Sardegna. Ma l’Europa dispone di altri strumenti finanziari per aiutare le regioni meno sviluppate degli Stati Membri, come per esempio il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) o il Fondo Sociale Europeo Plus (FSE+). Questi fondi, che mettono a disposizione circa 331 miliardi di euro a livello europeo, coprono tematiche come la transizione ecologica e l’inclusione sociale. Al fine di sfruttare al meglio queste risorse, i diversi attori istituzionali, come Stato, regioni e comuni (ma non solo) devono rafforzare la cooperazione in modo da incrementare il coordinamento per l’assegnazione dei fondi, l’individuazione dei progetti e delle aree e comunità più esposte al cambiamento verso una economia sostenibile.