Sull’immigrazione Boris Johnson ha bisogno di alleati

LONDRA Per Boris Johnson la tragedia della Manica aumenta sensibilmente la pressione per risolvere una crisi che peggiora da mesi e che lo danneggia politicamente agli occhi del partito. Una crisi della quale il premier britannico non vuole prendersi alcuna responsabilità: Londra accusa Parigi di non fare abbastanza per bloccare gli sbarchi e di consentire così agli scafisti di “farla franca” sulla pelle di persone disperate. In barba ai 54 milioni di sterline che il governo britannico sta versando a quello francese per rafforzare il pattugliamento delle spiagge.

Il dramma della Manica, dove sono morte 27 persone, era per molti aspetti una tragedia annunciata. Per attraversare i 33 chilometri che, nel punto più stretto del Canale, separano il Regno Unito dall’Europa continentale, i migranti navigano acque gelide e trafficatissime su gommoni e altre piccole imbarcazioni di fortuna. Finora quest’anno lo hanno fatto in 25 mila persone, tre volte il numero dello scorso anno, con punte di mille migranti al giorno. Un ritmo che, se non impressiona i Paesi del Mediterraneo che come l’Italia sono abituati a ben altri numeri, è politicamente insostenibile per un governo che ha fatto della lotta all’immigrazione un cavallo di battaglia.

Per Londra la soluzione della crisi passa da una serie di misure contenute nella lettera che Johnson ha inviato a Emmanuel Macron, e poi pubblicato su Twitter, scatenando l’irritazione del presidente francese. Prima di tutto rimpatri più veloci, che per Downing Street rappresentano il deterrente migliore. E poi l’introduzione di pattuglie congiunte, con l’invio di agenti della polizia britannica in Francia per rafforzare il controllo delle coste. Una misura che Parigi giudica incompatibile con la sovranità nazionale ma sulla quale Londra continuerà ad insistere.

Le ricette di Londra
Il governo punta anche ad una riforma del sistema di immigrazione che introduce due livelli di asilo politico a seconda che la richiesta arrivi da un rifugiato entrato nel Paese legalmente o illegalmente. Proposta già bollata come inumana dalle associazioni umanitarie, oltre che inefficace come potenziale deterrente. La ministra degli Interni Priti Patel, da sempre dura sull’immigrazione benché sia lei stessa figlia di immigrati, vuole inoltre creare centri di smistamento dei richiedenti asilo offshore, per esempio in remote isole dell’Atlantico. Ma è un’ipotesi logisticamente complicata che solleva anch’essa le proteste delle associazioni di diritti umani. E che richiede il consenso di alleati internazionali.

Sono proprio gli alleati quelli di cui ha bisogno Johnson, in una crisi che nessun Paese può risolvere da solo. E la Brexit ha complicato le cose, innanzitutto con la Francia, dove le tensioni sui migranti si sommano a quelle sui diritti della pesca e alla generale mancanza di fiducia: Londra sospetta che gli europei vogliano punirla per il divorzio e provarne il fallimento. Ma la Brexit complica anche le procedure per rimandare indietro i migranti. La Gran Bretagna non è più parte del sistema di Dublino e l’anno scorso è riuscita a far tornare nella Ue appena cinque richiedenti asilo tra quanti erano arrivati sulle coste del Kent.

Londra spera tuttavia di poter migliorare le relazioni con Parigi. Nonostante la decisione di ritirare l’invito a Patel al vertice di Calais, il lavoro prosegue dietro le quinte. Funzionari del ministero degli Interni britannico si sono recati in Francia la settimana scorsa per incontri tecnici. E il governo francese, se da una parte bolla l’approccio di Johnson come poco serio, dall’altra ha fatto sapere di essere pronto a presentare una proposta per un “accordo equilibrato” tra Londra e la Ue.

I calcoli elettorali di Macron
E poi c’è il non piccolo fattore delle elezioni presidenziali francesi ad aprile: a Londra molti vedono la linea dura di Macron in chiave di calcolo elettorale, ad uso e consumo degli elettori francesi. Una volta passato il voto, sempre che Macron sia riconfermato, si aspettano toni più morbidi.

L’accusa di guardare all’elettorato interno, o quantomeno al partito, vale anche per Johnson. La lotta all’immigrazione è stato uno dei temi centrali della Brexit, ma gli eventi degli ultimi mesi mal si conciliano con la promessa di riprendersi il controllo delle frontiere. All’interno del partito, cresce l’insofferenza per l’inabilità del governo di fronteggiare la crisi e verso quelli che vengono visti come errori di valutazione del premier. Mentre il Labour accusa Johnson di aver perso il controllo della situazione.

L’incidente della Manica ha trasformato una disputa diplomatica di lungo corso in una tragedia umana. E, per il premier britannico, in una crisi politica di difficile soluzione.

EPA/NEIL HALL/INTERNATIONAL POOL

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