Il sistema di accoglienza italiano di fronte alla crisi ucraina

Dall’inizio del conflitto in Ucraina alcune migliaia di persone hanno fatto ingresso in Italia. Lo stato del sistema di accoglienza, tuttavia, risulta in gran parte impreparato ad accogliere in maniera dignitosa le persone in fuga da un conflitto. Un sistema poco trasparente e pensato per l’emergenza che non si è mai affrancato da questa logica e che, negli anni scorsi, ha perso l’occasione per riformarsi.

Il sistema di accoglienza in Italia

L’impianto normativo relativo all’accoglienza di cittadini di paesi non appartenenti alla Ue e richiedenti protezione internazionale è organizzato su due livelli. Il primo livello è finalizzato allo svolgimento delle operazioni utili alla definizione della posizione giuridica della persona. Rientrano qui i centri di prima accoglienza e Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS), direttamente organizzati dalle prefetture. Il secondo livello è invece quello ordinario, ovverosia un sistema a titolarità pubblica che prevede il coinvolgimento degli enti locali, assicurato dal Sistema di Accoglienza ed Integrazione (SAI, ex SPRAR) destinato ad accogliere richiedenti e titolari di protezione internazionale, minori stranieri non accompagnati, titolari di permesso per protezione speciali.

Considerato il drastico calo degli sbarchi di cittadini stranieri in Italia registrato negli ultimi anni, ci si aspetterebbe di trovarsi di fronte ad un sistema strutturato e capace di rispondere ad eventuali shock. Purtroppo, le cose non stanno così.

Il lavoro di monitoraggio del sistema di accoglienza

Dal 2018 ActionAid e Openpolis monitorano il sistema di accoglienza per richiedenti asilo e titolari di protezione. In questi anni di lavoro abbiamo denunciato il ricorrente ritardo nella pubblicazione dell’unico strumento ufficiale di informazione sul sistema di accoglienza, ovverosia la relazione che il Ministero dell’Interno dovrebbe, per obbligo di legge, presentare al Parlamento entro il 30 di giugno di ogni anno. Di fronte ad un vuoto informativo di questa portata, all’inizio del 2022, abbiamo pubblicato il portale www.centriditalia.it, la prima piattaforma liberamente accessibile da cui è possibile scaricare dati di dettaglio sul sistema di accoglienza in Italia.

Tra il 2018 ed oggi sono stati pubblicati numerosi report di analisi delle tendenze che registrate attraverso la lettura dei dati.

Un sistema impreparato

Alcuni aspetti in particolare mettono in evidenza l’inadeguatezza del sistema di accoglienza di fronte ad una crisi di questa portata. Un dato su tutti: al 15 febbraio 2022, il 65,7% dei richiedenti asilo e titolari di protezione erano ospitati nel sistema di accoglienza straordinario. Poco meno di 7 persone su 10 dunque. Un sistema paralizzato in un’emergenza inesistente, come emerso dall’ultimo rapporto pubblicato.

L’analisi dei dati raccolti ci racconta come si è configurato il sistema in questi anni. Innanzitutto, sono stati tagliati i costi. Tra il 2018 e il 2020, periodo di esecuzione dei Decreti Sicurezza, si è scelto di tagliare in media del 25% il costo giornaliero per persona nel sistema CAS. Il taglio dei costi, che in alcune province come quella di Milano ha toccato picchi del 45%, ha comportato la riduzione dei servizi di integrazione (mediazione linguistica e culturale, assistenza legale e psicologica), la perdita di competenze e l’inserimento di soggetti for profit capaci di generare economie di scala nella gestione dei centri.

Altro aspetto rilevante, nonché consequenziale con la riduzione dei costi, lo troviamo nella chiusura di molte strutture. Il 31 dicembre 2018 erano 12.275 le strutture di accoglienza operative sull’intero territorio nazionale, 131.425 le persone presenti a quella data, con una capacità del sistema di accogliere fino a 169.000 persone. Nel 2020 le strutture erano 9.138, le persone presenti 76.236 e la capacità di accoglienza complessiva di poco superiore alle 100.000 unità. Quello che più preoccupa della riduzione della capacità di accoglienza, se vogliamo funzionale al calo degli sbarchi, è che non si è provveduto, approfittando delle minori presenze, a superare l’impianto emergenziale dell’accoglienza a favore del sistema ordinario. I 35.881 posti disponibili nel sistema SAI nel 2018 si riducono a 31.324 nel 2020. Dall’altra parte, i 125.234 posti del sistema CAS del 2018 calano a 66.563 nel 2020.

La chiusura delle strutture ha inoltre favorito la tendenza a concentrare le persone assistite nei centri più grandi. Chiusure che hanno interessato, in particolare, i centri più piccoli, vale a dire appartamenti e strutture abitative con capienza inferiore a 50 posti. Sono difatti oltre 21.000 i posti persi nei centri di piccole dimensioni tra il 2018 ed il 2020.

Le soluzioni che auspichiamo

Considerando dunque le debolezze del sistema, auspichiamo si consolidino come prevalenti le forme di accoglienza diffusa presso unità abitative indipendenti, modalità già al centro del sistema SAI e anche di alcune, purtroppo minoritarie, esperienze positive di CAS. Andrebbe inoltre agevolata l’accoglienza presso privati o accoglienza in convivenza, anche nota come accoglienza in famiglia. In questa modalità, che ad oggi manca ancora di una regolamentazione di tipo tecnico-contabile, le famiglie che si sono rese disponibili ricevono un rimborso per le spese vive sostenute, mantenendo contemporaneamente in piedi tutti i servizi per l’integrazione del SAI finalizzati, ad esempio, all’inserimento lavorativo, psicologico e legale.

Considerando le difficoltà sperimentate nell’accesso alle informazioni, oltre ad un’accoglienza dignitosa, con specifica attenzione ai bisogni di donne e bambini, andrebbe altresì garantito un ampio livello di trasparenza che consenta alla società civile un monitoraggio di quanto verrà predisposto, antidoto al business sulle spalle dell’accoglienza e alla criminalizzazione della solidarietà.

Infine, sarebbe più che auspicabile che lo strumento della protezione temporanea previsto dall’attivazione della direttiva 2001/55/CE venga garantito anche alle centinaia di donne e uomini di nazionalità non ucraina che subiscono violenze e trattamenti differenziati.  Il meccanismo predisposto con la protezione temporanea garantisce uno status sicuro ai cittadini ucraini e invece pone molte più condizioni e incertezza nei confronti di chi, pur fuggendo dall’Ucraina, ha la cittadinanza di un altro stato non europeo. Il governo italiano darà attuazione di questa direttiva con l’emanazione di un DPCM. È l’occasione giusta per garantire che un adeguato livello di protezione venga esteso a tutte le donne, uomini e minori che sono costretti a lasciare il paese, incluse quelle di cittadinanze diverse da quella ucraina.

Foto di copertina ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

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