La Russia mostra i muscoli per nascondere le sue paure

Si discute animatamente negli ultimi tempi delle ragioni che hanno portato il Cremlino a intraprendere una linea d’azione tanto azzardata quanto imprevedibile nel suo esito. Molteplici sono le motivazioni all’origine di questo indirizzo: dare una dimostrazione di risolutezza, volta a mobilitare i sentimenti patriottici dell’élite e dell’opinione pubblica nazionale; confermare Putin nel ruolo di padre della patria in una congiuntura giudicata risolutiva per i destini della Russia; dissuadere Georgia e Moldavia, dove più evidenti sono i fermenti indipendentisti, dall’adottare una linea di volta a sottrarsi alla tutela di Mosca; accentuare la pressione sul governo di Kiev per impedire la realizzazione di un accordo che porti all’adesione a Ue e Nato.

La politica della Russia per rimanere tra i Grandi

A monte di queste motivazioni, risalta per importanza un’esigenza di fondo di carattere generale: l’impegno di Mosca diretto a contenere l’espansione dello schieramento atlantico nell’Est Europa, in sintonia con il sostegno fornito alle ex repubbliche sovietiche per arrivare ad una piena indipendenza. Il quadro offerto dalla situazione politico strategica nella regione appare allarmante.

La serie di crisi registrata su un fronte decisivo per la stabilità del continente è sintomatico del processo in atto di erosione dell’egemonia russa. Per Mosca, decisa a mantenere una qualche forma di egemonia nello spazio ex sovietico, non a caso definito estero vicino, si apre la prospettiva di un azzeramento o quanto meno un ridimensionamento dello status di potenza regionale. Uno status, va sottolineato, che in un contesto internazionale in trasformazione segnato da diversificazione e frammentazione ha assunto un peso determinante. Assicurarsi una posizione preminente a livello regionale nell’Est Europa è ritenuta condizione indispensabile per esercitare un grado di influenza a livello globale, sufficiente per assicurare alla Russia lo status di grande potenza.

Il conseguimento di tale obiettivo, portato avanti con determinazione a partire dall’ascesa di Putin alla presidenza, giustifica da parte del Cremlino l’adozione di un indirizzo di politica estera affermativo, portato a trascendere in aggressività. L’accentuato grado di ostilità che caratterizza la contrapposizione fra la Russia e Stati Uniti e Unione Europea ha evocato la possibilità di una nuova guerra fredda. Una formulazione di parziale verità, tenuto conto della mutata configurazione dello scenario internazionale seguita alla redistribuzione del potere fra gli stati, a cominciare da Stati Uniti, Cina e Russia. Quest’ultima, a prescindere dalla disponibilità di un formidabile apparato militare, in particolare nucleare (hard power), risulta limitata a paragone con le altre grandi potenze, quanto alla capacità di esercitare effettiva influenza a livello globale (soft power).

Arena di scontro a Est

Il clima di incertezza che caratterizza l’Est Europa è dovuto all’involuzione del corso politico praticato negli ultimi anni nella regione. Venuta meno la prospettiva di stabilire, mediante una riconfigurazione dell’architettura di sicurezza europea, in un’area non allineata, la situazione è progressivamente degenerata.

L’area che avrebbe potuto fungere da ponte fra la Russia e l’Unione Europea, avviando un processo di pacifica emancipazione civile e politica delle repubbliche ex sovietiche si è trasformata in un’arena di scontro. A determinare questa situazione ha contribuito l’atteggiamento di inerzia a lungo prevalente negli opposti schieramenti. I quali, nonostante il moltiplicarsi dei segnali di instabilità hanno preferito di non affrontare la situazione, nella convinzione che una tattica dilatoria avrebbe evitato un conflitto. Col risultato, al contrario, di renderlo inevitabile.

Il passaggio a Ovest

Il punto di rottura si è registrato nel 2015 con il passaggio nel campo occidentale dell’Ucraina, pedina fondamentale nel confronto fra la Russia e l’Unione Europea. Ad allarmare il Cremlino, provocando un drastico irrigidimento del corso di politica estera è il rischio di diffusione delle forze operanti contro il sistema egemonico. La progressione a Est, anche se non formalizzata nell’adesione alla Nato, della presenza occidentale in sintonia con il rafforzamento del nazionalismo antirusso appare una minaccia intollerabile. Da un contrasto politico ed economico a uno di carattere militare il passo è breve, come dimostra il caso dell’Ucraina.

La decisione di Washington e alleati di rafforzare le infrastrutture belliche – basi, truppe, armamenti – a ridosso del confine russo-ucraino, in funzione deterrente nei confronti di una eventuale invasione da parte di Mosca, ha portato a un grado estremo la crisi. Alla base della posizione del Cremlino figura il timore che all’iniziativa di sostegno all’Ucraina seguiti la fornitura anche ad altri paesi, Georgia in primo luogo, di materiale bellico. Con la conseguenza di determinare un’ulteriore modifica del quadro di stabilità sul continente, basato sull’equilibrio di potenza emerso nel dopo guerra fredda.

Foto di copertina EPA/YURI KOCHETKOV

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