L’incrocio pericoloso fra legge di bilancio e riforma del Patto di Stabilità

Puntuale, con la fine della pausa estiva e la ripresa dell’attività politica, è ripartito l’ormai rituale dibattito sulla prossima legge di bilancio e relativa manovra. La Presidente del Consiglio e perlomeno due Ministri di peso, come Giorgetti e Fitto, hanno invitato alla prudenza, ricordato che i margini sono ridotti, e confermato la volontà di rispettare i vincoli di bilancio con messaggi chiaramente diretti in primis ai leader politici della coalizione e  agli altri membri del governo. Ma la partita si è appena aperta e sembra difficile che i partiti della maggioranza rinuncino ad avanzare richieste di misure e interventi da inserire nella finanziaria, a tutela delle rispettive constituencies, in un clima da inizio di campagna elettorale per le europee.

I tempi per la presentazione della legge di bilancio per il 2024 sono quelli previsti dalle attuali (e per ora vigenti) regole europee. Per la fine di settembre il governo dovrà presentare la Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NADEF); entro la metà di ottobre dovrà sottoporre alla Commissione europea una prima bozza di legge finanziaria; a partire da quella data la Commissione potrà formulare le sue osservazioni; il governo dovrà decidere se e quali osservazioni recepire e poi presentare il disegno di legge al Parlamento avviando così quel complesso iter di approvazione che dovrà intervenire entro la fine dell’anno.

Riforma del Patto di stabilità: un percorso complesso

Quest’anno però la discussione della legge finanziaria coinciderà con la fase conclusiva del negoziato sulla riforma delle regole europee vigenti in materia di disciplina di bilancio (il Patto di Stabilità). Il negoziato in corso a Bruxelles è complesso e divisivo. Ed è per ora difficile prevedere come e quando si concluderà. Ma una cosa è certa. La sospensione delle regole europee (decisa a suo tempo per consentire politiche fiscali nazionali espansive per contrastare la recessione del 2020) scadrà a fine anno. E nel caso non si riesca a trovare un accordo fra i 27 su nuove regole, le vecchie (con le relative criticità) torneranno in vigore per il bilancio 2024.

Sulla riforma del Patto di Stabilità si sta negoziando sulla base di una proposta della Commissione, che aveva l’obiettivo di aggiornare le vecchie regole per renderle più efficaci e più credibili, e di assicurare maggiori margini di manovra per finanziare investimenti pubblici (a sostegno delle transizioni energetica e digitale), sia pure in un quadro di progressiva di riduzione del debito pubblico.

L’aspetto più qualificante della proposta è il passaggio da un sistema di regole e obiettivi in principio uguali per tutti (salvo le flessibilità sperimentate nel corso degli anni) ad un sistema che prevede percorsi di riduzione del debito negoziati fra la Commissione e i singoli governi sulla base di alcuni obiettivi condivisi. La Commissione definirà un quadro di riferimento generale e “traiettorie tecniche” di riduzione del debito per ogni Paese, e i governi negozieranno con la Commissione dei “piani nazionali strutturali di bilancio”.

Questi piani nazionali dovranno contenere la previsione dei saldi di bilancio, ma anche le misure necessarie per affrontare eventuali squilibri macro-economici, e le riforme e gli investimenti necessari per garantire obiettivi definiti in sede europea. Questi piani, dovranno essere approvati dalla Commissione e validati dal Consiglio, e avranno una durata di quattro anni, estensibili fino a sette, su richiesta del Paese interessato. L’evoluzione della spesa pubblica (al netto di spese straordinarie) sostituirà il criterio dei saldi di bilancio nella valutazione delle performances dei singoli Paesi. Dovrebbe essere comunque previsto un impegno di riduzione minima del debito, che la Commissione ha proposto pari all’0,5% del PIL all’anno.

La riforma proposta modifica il quadro esistente in maniera importante, pur mantenendo i limiti del 3% per i deficit di bilancio e del 60% per i debiti pubblici (la cui modifca richiederebbe un intervento sui Trattati con tutte le criticità del caso). E’ una riforma che mira ad assicurare una maggiore responsabilità (ownership) dei governi nella definizione delle politiche di bilancio e nella scelta delle riforme da attuare. Ma che di fatto prevede ampi margini di discrezionalità per la Commissione, e l’utilizzo dello strumento della analisi di sostenibilità dei debiti molto discusso e controverso per la sua scarsa trasparenza e oggettività. Ed è proprio su questa presunta eccessiva discrezionalità della Commissione che si sono concentrate le critiche dei Paesi rigoristi, che preferirebbero mantenere limiti quantitativi chiaramente identificati per la riduzione di deficit e debiti.

Alleati e visioni contrapposte 

La partita a Bruxelles è aperta e la trattativa entrerà nel vivo nelle prossime settimane nel tentativo di trovare un compromesso condivisibile. Come prevedibile, e semplificando al massimo, nel negoziato si confrontano due posizioni contrapposte. Quella dei Paesi rigoristi (prevalentemente del Nord Europa) più preoccupati di garantire regole certe e quantificate di riduzione del debito e magari sanzioni adeguate per chi viola queste regole. E quella dei Paesi più propensi alla spesa (prevalentemente dell’Europa meridionale) piu interessati a ottenere che le nuove regole consentano la flessibiltà necessaria per finanziare investimenti utili per la crescita e politiche espansive.

A fronte di questi schieramenti negoziali, l’Italia può contare su alleati importanti come la Francia e la Spagna, che condividono le nostre posizioni di principio. Sarebbe quindi importante e urgente che il governo, superando diffidenze dovute al colore politico dei due esecutivi al potere a Parigi e Madrid, definisca per tempo una piattaforma comune almeno con questi due Paesi. E cerchi di portare a casa un accordo per quanto possibile ispirato alle proposte della Commissione, evitando che, in assenza di un accordo, torni in vigore il vecchio Patto di Stabilità.

Meglio invece lasciare perdere richieste come quelle relative all’esonero del calcolo del deficit di alcune categorie di investimenti pubblici, una richiesta che l’Italia nel passato ha avanzato in varie occasioni, ma che appare destinata a incontrare le solite resistenze, (come hanno dovuto constatare precedenti governi). Meglio lasciar perdere l’idea di ipotetici pacchetti negoziali nei quali inserire un ulteriore alleggerimento delle regole in materia di aiuti di Stato in cambio di una maggiore disponibilità della Germania a rinunciare a obiettivi quantificati di riduzione del debito. Meglio infine lasciar perdere l’idea di un “trade off” fra ratifica italiana del MES e una soluzione gradita a Roma sul Patto di Stabilità, dato che, almeno nella percezione degli altri Governi europei, l’Italia prima o poi dovrà comunque ratificare il MES.

Foto di copertina EPA/OLIVIER MATTHYS

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