L’asse Ankara-Bruxelles e i nuovi scenari nel Mediterraneo

Sullo sfondo della guerra in Ucraina il ruolo della Turchia resta problematico, per quanto strategico, nei suoi rapporti con gli altri attori del panorama regionale e internazionale.

Lo studio IAI sulle relazioni Bruxelles-Ankara

Dopo le avvisaglie di una nuova crisi interna alla Nato, a inizio luglio, durante l’ultimo summit a Madrid, il presidente Erdoğan ha ufficialmente revocato la minaccia di porre il veto all’adesione all’Organizzazione di Svezia e Finlandia. Ad oggi, il successo incassato da Erdogan con la firma a Istanbul dell’accordo che coinvolge Ucraina, Russia e Onu (nonostante i missili russi sul porto di Odessa) per lo sblocco delle esportazioni di grano ucraino, arrivato dopo settimane di trattative, non solo promette di alleviare la crisi alimentare globale, ma rimette la Turchia al centro degli equilibri mediorientali e nel Mediterraneo, dove la guerra sembra avere riverberi di un certo peso.

L’invasione dell’Ucraina arriva dopo diversi terremoti nelle relazioni UE-Turchia. Per l’area MENA, lo sforzo diplomatico tra i due attori diviene fondamentale per la sicurezza alimentare, le questioni umanitarie, l’inasprimento delle condizioni democratiche e la polarizzazione delle alleanze internazionali.

Lo studio dell’Istituto Affari Internazionali “Tackling Uncertainty: Turkish-EU Foreign Policy Cooperation in the Middle East and North Africa”, curato da Andrea Dessì, Senem Aydın-Düzgit e Daniela Huber, prodotto nell’ambito del progetto IAI-IPC “Ue-Turchia: traiettorie di cooperazione e divergenza nell’area MENA”, ha indagato gli approcci in politica estera di Ue e Turchia e ha effettuato una mappatura delle aree di cooperazione o divergenza in cinque casi di studio specifici (Afghanistan, Mediterraneo orientale, Iraq, Libia e Siria). Hanno contribuito allo studio Meliha Benli Altunışık, Ömer Aslan, Mitat Çelikpala, Alessia Chiriatti, Kemal Kirişci e Ezgi Uzun Teker.

La “nuova” diplomazia turca

Guardando alla Turchia di oggi, non si può prescindere dalla considerazione che nella politica estera degli ultimi anni di Erdoğan, con il paese afflitto da una grave crisi economica, in piena campagna elettorale verso le prossime elezioni presidenziali del 2023 ammantate di un importante significato storico a cento anni dalla nascita della Repubblica di Ataturk, il paese si sta muovendo non solo come pivot in grado di offrire uno spazio negoziale a Ucraina e Russia, ma anche sul fronte dei paesi dell’area MENA con un tentativo di normalizzazione e distensione dei rapporti diplomatici con alcuni Stati chiave, come Arabia Saudita, Israele, Emirati Arabi, Bahrain ed Egitto. È questa la sintesi in politica estera di un nuovo approccio di Erdogan che vuole spingere la Yeni ve Güçlü Türkiye (Nuova e Forte Turchia) verso scelte strategiche e politiche in grado di far recuperare ad Ankara uno standing internazionale di livello.

Turchia e Ue: pace ritrovata?

Protagoniste poco più di un anno fa del famoso “sofa-gate”, poi nei mesi successivi nuovamente al tavolo per il vertice sui migranti, Ue e Turchia devono ancora affrontare numerosi dossier e l’area MENA resta – oggi più che mai –  centrale: è qui che si intrecciano interessi condivisi, insieme a linee di faglia (come le questioni energetica e della gestione dei migranti) che rischiano a più riprese di inasprire gli equilibri regionali.

Con la Germania sotto un nuovo governo di coalizione dalla fine del 2021, le importanti elezioni francesi dell’aprile 2022, la crisi del governo Draghi e la fine della leadership di Johnson, nuove incertezze e cambiamenti possono affacciarsi all’orizzonte. È tuttavia indubbio che Turchia e Ue abbiano recentemente aumentato il loro impegno nella regione MENA.

Cinque scenari chiave

Se dunque la crisi umanitaria in Afghanistan e il governo dei talebani destano l’attenzione di Ankara e Bruxelles, soprattutto per la gestione dei migranti e il tentativo di arginare le influenze russa e cinese sul territorio, l’Iraq è divenuto negli ultimi anni un terreno importante per la cooperazione Ue -Turchia su sicurezza energetica e per la riattivazione del JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action). Tuttavia, la tensione è salita dopo l’operazione turca Claw-Lock nel Kurdistan iracheno del 18 aprile 2022. Tensione che invece ha visto una de-escalation nel dossier Libia, sfumata (in particolare tra gli attori esterni coinvolti) con il processo di Berlino e che ha portato alla creazione di un nuovo governo (GNU), appoggiato da Germania, Francia, Italia e Turchia.

Siria e Mediterraneo orientale, invece, restano per Turchia e Ue aree di forte divergenza, soprattutto per gli strumenti di mitigazione delle crisi. Ankara si è recentemente impegnata a ristabilire il dialogo con Israele e gli altri attori regionali (Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e, seppur momentaneamente, Grecia), e, sebbene una dura retorica sia tornata a dominare le relazioni Turchia-Grecia, la continuazione del dialogo tra Ankara, Tel Aviv, Il Cairo e Abu Dhabi ha contribuito a migliorare l’atmosfera nella regione e ad aprire una finestra di dialogo nei rapporti tra Turchia-Israele e Ue-Turchia, in particolare nel settore energetico.

Future possibili strategie

Sullo sfondo di questi dossier, resta comunque aperto il caso di Cipro, una dinamica che di recente ha assistito ad una svolta peggiorativa e che richiederà un’attenta pianificazione e politiche di mitigazione per evitare future tensioni.

In conclusione, le politiche estere dell’Unione Europea e della Turchia sono compatibili (come in Iraq e Afghanistan) dove l’energia, l’assistenza economica e umanitaria, la gestione dei migranti e gli sforzi per prevenire l’estremismo violento hanno il potenziale per allinearne gli interessi.

A fronte di futuri scenari incerti e cambi di governance in paesi chiave, il problema principale resta però quello della (ri)costruzione della fiducia tra Stati e governi, utile a favorire le recenti, seppur ancora esitanti, potenzialità di cooperazione Ue-Turchia nella regione MENA.

Foto di copertina EPA/STEPHANIE LECOCQ / POOL

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