Reinventare il valore dei confini nella post-globalizzazione

In Ni victimes ni bourreaux, una serie di saggi raccolti sulla rivista francese Combat nel novembre 1946, Albert Camus introduce così il concetto di “democrazia internazionale”:

“L’unico modo (…) consiste nel mettere la legge internazionale al di sopra dei governi, (…) dunque di disporre di un parlamento, dunque di costituire questo parlamento mediante elezioni mondiali a cui partecipino tutti i popoli”.

Globalizzazione e fine dello stato nazionale

Al giorno d’oggi il ruolo dei filosofi nell’interpretare il mondo è fortemente messo in discussione, per tacere dei propositi di cambiarlo. Ma è forse proprio a questa intuizione che è necessario tornare per provare a immaginare nuovi processi democratici per un mondo sempre più interdipendente e connesso, e reinventare il ruolo e il valore dei confini.

Nel 2018 Rana Dasgupta, in un articolo pubblicato sul The Guardian dal titolo The demise of the nation state, sosteneva il fallimento del modello, relativamente recente, dello stato nazione. Per Dasgupta, l’affermazione di questo modello di organizzazione politica seguita alla caduta degli imperi a inizio Novecento, sarebbe stata favorita dalla perfetta corrispondenza, non più replicabile, tra confini politici ed economici: la limitata mobilità dei capitali permetteva ai governi di avere un reale margine di manovra, permettendo loro di tenere effettivamente fede alle promesse fatte ai cittadini e favorendo l’esistenza di un contratto sociale equilibrato.

Negli ultimi decenni, tuttavia, la crescente finanziarizzazione dell’economia e la creazione di un mercato unico globale ha sostanzialmente svuotato di senso e di potere l’esistenza degli stati.

Il ritorno del decisionismo statale

La pandemia di Covid-19, in questo senso, ha rimescolato le carte. La capacità decisionale degli stati è tornata prepotentemente alla ribalta, sia per quanto riguarda la gestione sanitaria della crisi, sia quella economica. Uno scossone tale da far parlare anche il Financial Times di “fine della globalizzazione”.

Questo ritorno di sensibilità “dirigiste”, tuttavia, ha fatto fatica a trovare un proprio sbocco politico-istituzionale. Se da un lato, come detto, il potere degli stati nazione è ormai insufficiente a rispondere in maniera adeguata alle grandi crisi del nostro tempo, dall’altro gli organismi predisposti a questo scopo, su tutti le Nazioni Unite, si sono spesso rivelati inadatti, per la loro architettura istituzionale, ad adempiere a queste funzioni.

Tuttavia, l’alternativa non può essere un ritorno agli stati nazionali. In un articolo del 2014 di Debora MacKenzie sul The New Scientist, il professore di European politics and society alla Oxford University Jan Zielonka, sosteneva come “La futura struttura e l’esercizio del potere politico saranno più simili al modello medievale che a quella della Westfalia”, riferendosi al moderno concetto di Stato-nazione.

Il modello Unione europea

Proprio nel continente dove questa forma di governo ha preso piede, è in atto quello che è il tentativo più avanzato e interessante di superamento di questo modello. L’Unione europea, pur tra mille tentativi a vuoto, sembra aver trovato con le crisi di questi anni la capacità di agire come un solo organismo coordinato: il Green New Deal per contrastare la crisi climatica; il Recovery Fund come pronta risposta alla pandemia; le sanzioni alla Russia per reagire all’invasione dell’Ucraina. 

L’esperimento europeo sembra aver imboccato la strada giusta verso un’architettura che sia in grado di cedere sovranità alle istituzioni comunitarie sui temi di interesse comune, attribuendo invece ai singoli stati membri le competenze in materie che necessitano di una maggiore vicinanza ai cittadini (come la sicurezza sociale) e rivestendo quindi di un nuovo orizzonte di senso i confini interni all’Unione.

Decisi miglioramenti vanno approntati riguardo alla democratizzazione delle istituzioni. Kathryn C. Lavelle evidenzia, nella prefazione a “The Challenges of Multilateralism”, che “nelle organizzazioni internazionali che promuovono il multilateralismo, le decisioni sono prese attraverso il voto e non tramite conquista di guerra o diplomazia bilaterale”: questi organismi sono dunque chiamati a dotarsi di sistemi decisionali che permettano loro di legiferare in maniera più efficace. 

In questo senso, il superamento del principio di unanimità nelle istituzioni europee resta un obiettivo prioritario da perseguire. Nonostante i suoi limiti, l’ambizione e l’unicità del progetto europeo lo rendono non solo il modello più innovativo nel panorama politico attuale, ma un esempio da seguire nell’ottica di una riforma degli altri organismi sovranazionali mondiali. 

Verso il regionalismo e il decentramento?

In “Global Democracy: For and Against”, Raffaele Marchetti sostiene che il fine ultimo di una democrazia globale non debba limitarsi al raggiungimento della pace, ma perseguire un’ideale di giustizia politica attraverso uno schema di partecipazione rappresentativa che coinvolga direttamente i cittadini del mondo. Quest’idea è approfondita da Danilo Zolo in “Cosmopolis. La prospettiva del governo mondiale”, dove l’autore sostiene che la chiave per ottenere un equilibrio mondiale stabile non può consistere nel riportare la centralizzazione del potere attuale degli stati nazione a livello globale, ma creare una più complessa costruzione.

L’obiettivo, in sostanza, deve essere lo sviluppo di un’architettura che garantisca un buon livello di autonomia locale e regionale ma allo stesso tempo un coordinamento centrale; e soprattutto che rafforzi la sua legittimità democratica davanti ai cittadini.

 width=Il Premio IAI è stato realizzato con il contributo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ai sensi dell’art. 23- bis del DPR 18/1967

Le posizioni contenute nel presente articolo sono espressione esclusivamente degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale

L’autore è uno dei finalisti e vincitore del Premio IAI “Giovani talenti per l’Italia, l’Europa e il mondo”. I loro saggi, sul tema “I confini in un mondo interconnesso” saranno pubblicati nelle collane editoriali dello IAI. I primi tre classificati avranno l’opportunità di discutere le proprie idee in un evento con personalità del mondo politico, culturale, scientifico, che si svolgerà a novembre.

Foto di copertina EPA/JULIEN WARNAND

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