Rassegna stampa africana: gli ultimi sviluppi del conflitto in Sudan

L’attenzione dedicata all’Africa è quasi totalmente destinata alla situazione in Sudan, anche sui giornali italiani che ne danno un’ampia copertura. Un buon riassunto è quello fornito da Limes: giunti alla seconda settimana di combattimenti tra le milizie paramilitari delle Rapid Support Forces (Rsf) e le forze dell’esercito regolare, il conflitto sta diventando una vera e propria guerra di nervi. Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti sembravano aver ottenuto una tregua di 72 ore che però, di fatto, non si è concretizzata. E ora il timore è quello di una regionalizzazione del conflitto, con il Ciad che ha già chiuso la propria frontiera per prevenire questo rischio.

Su Il Manifesto, Marco Boccitto parla della proposta dell’Igad (Intergovernamental Authority on Development) di aprire un tavolo negoziale tra le parti a Juba, nel Sud Sudan. Mentre il generale Abdel Fattah al-Burhan si è espresso in maniera positiva riguardo alla proposta, non è arrivata la risposta di Mohamed Hamsan “Hemeti” Dagalo, leader delle Rsf che stanno incontrando diverse difficoltà sul terreno, benché ben armate ed equipaggiate.

La situazione umanitaria

Ma oltre all’andamento del conflitto, anche la crisi umanitaria è da tenere d’occhio. Roberta Villa, su Repubblica, scrive del possibile rischio biologico dopo la presa da parte dei militari impegnati nel conflitto del laboratorio di salute pubblica di Khartoum. La rappresentante dell’OMS in Sudan, Nima Saeed Abid, ha dichiarato che i germi più pericolosi presenti in quella struttura sono il virus del morbillo, il poliovirus e il vibrione del colera: se davvero fosse così, più che di una nuova pandemia globale, i timori sarebbero principalmente incentrati sull’impatto per la popolazione locale. Ma in un conflitto che ha già fatto almeno 512 vittime e oltre 4200 feriti – in un contesto aggravato anche dai danni agli ospedali che rendono accessibile, attualmente, solo il 16% delle strutture sanitarie del Paese – preoccupa anche la situazione legata ai sudanesi in fuga dal conflitto: L’Ispi parla di oltre 20mila rifugiati che hanno già raggiunto paesi vicini come Sud Sudan e Ciad, un numero che potrebbe presto salire fino a raggiungere le 270mila unità.

Il rischio di una regionalizzazione del conflitto è aggravato dall’instabilità dell’area, con cinque dei sette paesi confinanti (Etiopia, Ciad, Libia, Repubblica Centrafricana e Sud Sudan) hanno vissuto grandi sconvolgimenti politici o guerre civili. Anche per questo, secondo molti analisti, i paesi vicini farebbero bene a mantenere una posizione neutrale, piuttosto che sostenere apertamente uno dei due belligeranti.

La copertura all’estero

Del piano di pace promosso dal Sud Sudan in vista dei possibili negoziati di Juba si parla sul Sudan Tribune: la proposta elaborata dal presidente Salva Kiir si articola in cinque punti, e prevede un coordinamento a livello regionale. Inoltre il ministro degli Affari presidenziali del Sud Sudan, Barnaba Marial Benjamin, ha affermato che l’incontro ha sollecitato l’immediata cessazione delle ostilità in Sudan e l’apertura di corridoi umanitari per consentire ai civili l’accesso all’assistenza umanitaria.

Sul Guardian, Oliver Holmes sottolinea la gravità dell’emergenza: secondo il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreysus, il 61% delle strutture sanitarie sarebbe chiuso, e circa un quarto delle morti si sarebbe potuto evitare se i medici avessero avuto accesso ad un controllo di base delle emorragie. Reuters invece, si sofferma su un altro aspetto non meno grave: sarebbero ben 50mila i bambini malnutriti che hanno visto i propri trattamenti sanitari interrotti a causa del conflitto. Reuters sottolinea anche come, secondo l’esercito, Omar al-Bashir, ex dittatore rovesciato nel 2019, sia stato trasferito dalla prigione di Kober ad un ospedale militare prima dell’inizio del conflitto, insieme almeno cinque suoi ex ufficiali. Il che aumenta i timori di un esito autoritario delle ostilità.

Infine, la rivista di geopolitica Conflits, attraverso un’intervista all’analista Marc Goutalier, analizza più in profondità la natura del regime sudanese, in cui “sono i militari e i paramilitari a monopolizzare la situazione” e sposta la lente anche sul conflitto tra centralismo e autonomie locali: “Sulla carta, il Sudan è oggi uno Stato federale composto da 18 province. In realtà, le decisioni restano prese a Khartoum. Il numero di province e la loro suddivisione si sono evoluti secondo la volontà dello Stato centrale”.

Foto di copertina EPA/STRINGER

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