Rassegna stampa africana: gli interessi di Turchia e Cina nel continente

Pubblichiamo dei passaggi della rassegna stampa settimanale sull’Africa, curata da Jean-Léonard Touadi per RadioRadicale. È possibile ascoltare il podcast dal sito dell’emittente. Clicca qui per ascoltare

In questa rassegna stampa del 7 maggio approfondiamo le conseguenze della guerra in Ucraina sull’Africa cercando di cogliere se un’Europa in conflitto e in cerca di un’alternativa al gas russo costituisca un’opportunità per il continente. Secondo focus dell’appuntamento tocca le presenze di attori politici esterni in Africa. Come e su quali assi si muovono Turchia e Cina?

Le conseguenze della guerra in Ucraina

Facciamo il punto delle conseguenze del conflitto in Ucraina sul continente africano con un articolo di Avvenire a firma di Francesco Gesualdi. “Lo sconquasso economico provocato dall’aggressione russa all’Ucraina sta riscrivendo la geopolitica del gas facendo salire d’importanza alcune nazioni africane che fino a ieri giocavano ruoli minori sullo scacchiere energetico e dunque sulla scena del mondo. Fra essi l’Angola, il Congo, il Mozambico, che molti Paesi europei, anche l’Italia, stanno aggiungendo alla lista dei propri fornitori, per ridurre la propria dipendenza dal gas russo”.

Mancando di considerare che “dietro queste risorse spesso si celano trame corruttive e di latrocinio che arricchiscono solo piccole élite senza fare arrivare benefici alle popolazioni locali”, si potrebbe pensare “che certi paesi africani abbiano ottenuto vantaggi dalla crisi bellica in cui è piombata l’Europa”. Invece no, e difatti “il Fondo Monetario Internazionale sostiene che tutta l’Africa subsahariana sta subendo pesanti effetti negativi a causa della guerra scoppiata in Europa, basando la propria tesi su tre elementi: il prezzo del cibo, il prezzo dei prodotti petroliferi, il peggioramento del debito”.

L’articolo di Avvenire fa infine notare che “sullo sfondo di tutto questo, c’è il rischio che la corsa al riarmo faccia ridurre il flusso di denaro, già scarso, che i Paesi ricchi destinano alla cooperazione internazionale e che hanno promesso a quelli poveri per aiutarli a superare sia le criticità create da cinque secoli di colonialismo sia quelle dovute al dissesto climatico e ambientale”.

Turchia in Africa: diplomazia, commercio e armi

La Turchia cerca uno spazio diplomatico e commerciale in Africa”, scrive The Economist in un’analisi ripresa e tradotta da Internazionale.

“La Somalia è un esempio chiaro della più generale spinta di Erdoğan in Africa, nella sua ricerca di mercati, risorse e influenza diplomatica. Solo vent’anni fa Ankara era poco interessata all’Africa a sud del Sahara. Guardava invece a ovest e sognava di entrare nell’Unione europea. Ma a mano a mano che le relazioni con l’occidente si sono raffreddate, la Turchia si è girata verso sud. Il punto di svolta è stato il 2011, quando Erdoğan, affiancato da imprenditori turchi, funzionari umanitari e associazioni di beneficenza musulmane, ha visitato la Somalia, allora in preda alla siccità e alla guerra civile. La sua visita ha segnato l’inizio non solo del coinvolgimento della Turchia nel Corno d’Africa, ma di legami più profondi in tutto il continente”.

Si fa notare inoltre che “nel 2009 la Turchia aveva solo una decina di missioni diplomatiche in Africa, mentre oggi ne ha 43. Questo lavoro diplomatico ha aiutato le aziende a espandersi, e la Turkish Airlines, che nel 2004 volava solo in quattro città africane, oggi ne raggiunge più di quaranta. Il commercio con il continente è cresciuto enormemente, toccando nel 2021 i 29 miliardi di dollari, di cui 11 miliardi con l’Africa subsahariana (un aumento di quasi otto volte rispetto al 2003). Lo stesso vale per l’edilizia, settore in cui le imprese turche stanno scalzando quelle cinesi, aiutate senza dubbio da un calo del denaro prestato dalla Cina”.

The Economist aggiunge che l’impegno turco in Africa si sviluppa perfino sul fronte militare. “Erdoğan ha cominciato a mostrare i suoi muscoli in Africa con l’invio di soldati turchi e mercenari in Libia per combattere contro Khalifa Haftar e in Africa occidentale, nel Sahel e nel Maghreb, dove Erdoğan ha sfidato l’influenza francese giocando sull’immagine della Francia come oppressore coloniale”.

Secondo The Economist “l’obiettivo della Turchia non è quello di farsi coinvolgere nelle guerre, ma piuttosto di vendere armi. L’anno scorso le vendite della Turchia sono aumentate di sette volte, toccando i 328 milioni di dollari mentre nei primi due mesi del 2022 si sono avvicinate ai 140 milioni di dollari”.

Il Covid ferma i prestiti cinesi

I prestiti cinesi in Africa diminuiscono drasticamente e un articolo di Le Point Afrique del 26 aprile cerca di delineare i fattori che spiegano questo calo. “I prestiti cinesi ai governi africani sono scesi del 78% rispetto all’anno precedente fino a raggiungere 1,9 miliardi di dollari, ossia il livello più basso dal 2004 secondo un recente rapporto del Global Development Policy Center della Boston University. La principale spiegazione è che l’impatto del coronavirus ha scoraggiato i paesi del continente a contrarre prestiti”.

Difatti “dal 2000 al 2020, i finanziatori cinesi hanno firmato 1.188 impegni di prestito per un valore di 160 miliardi di dollari con 49 governi africani, le loro imprese statali e cinque organizzazioni regionali. Secondo i dati raccolti dalla Boston University, i paesi che maggiormente hanno chiesto prestiti alla Cina sono stati Angola, Etiopia, Zambia, Kenya, Egitto, Nigeria, Camerun, Sudafrica, Congo e Ghana. Nel 2020, invece, i prestiti cinesi all’Africa ammontano a 1,9 miliardi di dollari, con solo undici progetti in Burkina Faso, Repubblica Democratica del Congo, Ghana, Lesotho, Madagascar, Mozambico, Ruanda e Uganda”.

Jean-Léonard Touadi è funzionario FAO, docente di geografia dello sviluppo in Africa, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.

Foto di copertina EPA/ROMAN PILIPEY / POOL

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