Rapporto di previsione Ue: rischi e sfide per l’economia dell’euro

di Antonio Pollio Salimbeni

Nell’elenco dei rischi che incombono sulla magra crescita economica dell’area euro, che compare nel rapporto di previsione d’inverno della Commissione Ue, non c’è traccia del possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, con tutte le possibili implicazioni negative per le relazioni Ue-Usa, da quelle sulla sicurezza a quelle commerciali.

Certo, vengono elencati gli ovvii pericoli derivanti dal proseguimento della guerra sotto casa (Ucraina) e dalla possibile estensione del conflitto da Gaza al Medio Oriente. Viene indicato che, acuendosi, queste tensioni geopolitiche fanno “pendere la bilancia dei rischi verso esiti più avversi”. Gli economisti di Bruxelles si riferiscono solo al fatto che il 2024 sarà un anno storicamente rilevante per il grande numero di votanti in tutto il mondo (76 paesi pari al 51% della popolazione) per cui “l’incertezza politica peserà sul sentiment degli investitori”.

Si può comprendere la cautela tanto più che i rapporti di previsione comunitari sono in stile asciutto, analisi fattuali. Il futuro degli Usa è argomento delicato. Si può comprenderla meno se però si sorvola sui rischi interni. Il messaggio generale di Bruxelles è di temperato ottimismo sull’area euro: quest’anno si vivacchia con una crescita del pil dello 0,8% dopo 0,5% nel 2023; si spera nel quasi raddoppio (1,5%) l’anno prossimo. Questa la sintesi: “Ripresa della crescita lenta in un contesto di riduzione più rapida dell’inflazione”. Per Bruxelles i rischi interni di peggiorare o migliorare sono in equilibrio. Eppure dalle cifre e tra le righe del rapporto comunitario emergono diverse indicazioni che segnalano come un problema serio in Europa ci sia e da questo dipenda molto del prossimo futuro. È la lunga frenata dell’economia tedesca: l’anno scorso la Germania era in recessione, quest’anno sarà il paese che nell’area euro crescerà meno, 0,3%.

Dal quadro di Bruxelles emerge intanto che la stagnazione della crescita dell’area euro nel quarto trimestre del 2023 è stata in gran parte determinata proprio dalla contrazione in Germania. Poi che in Germania (e pure in Francia) i fallimenti di imprese hanno superato i livelli pre pandemia; le famiglie hanno perso potere d’acquisto; gli alti costi di costruzione e di finanziamento, oltre alla carenza di manodopera e agli elevati prezzi dell’energia, hanno depresso gli investimenti nei settori dell’edilizia e ad alta intensità energetica; alcuni recenti indicatori delle opinioni sull’economia sono tornati ai livelli più bassi dalla pandemia; l’aumento degli investimenti sarà inferiore ai valori pre 2020; la carenza di manodopera continua a costituire un collo di bottiglia per l’attività; viene giudicata “improbabile” una ripresa trainata dal commercio. Infine, che una politica di bilancio più restrittiva a causa del rispetto del “freno al debito” (tradottosi ormai chiaramente in quella che è stata chiamata una propensione all’autolesionismo) “avrà un impatto frenante sulle prospettive di crescita a breve termine”. Non resta che sperare nella prospettiva di una riduzione dei tassi di interesse, un paradosso per la Germania rigorista in politica monetaria.

Tutto ciò conferma che alcune delle condizioni determinanti che hanno reso dominante quell’economia sono venute meno. Le crisi multiple degli ultimi anni, dal Covid all’interruzione delle catene globali degli approvvigionamenti; dall’invasione dell’Ucraina al rarefarsi delle forniture di gas dalla Russia a basso costo; dal rallentamento del commercio all’esposizione verso la Cina in una fase di ricentramento della globalizzazione per ragioni politiche, che la Germania cerca in tutti i modi di evitare; tutto questo ha messo in discussione la solidità dei fattori di crescita del paese. Si aggiunga il recente sorpasso di Volkswagen da parte di BYD (la casa cinese Build Your Dreams, si chiama proprio così, “costruisci i tuoi sogni”) nelle vendite di auto in Cina, uno shock. Di fronte a tali dati economici negativi (la disoccupazione tuttavia è inchiodata attorno al 3%) il ministro delle finanze Christian Lindner se la cava affermando che il paese ha solo bisogno di “un caffè” per svegliarsi. Per l’economista Marcel Fratzscher (DIW di Berlino) le difficoltà sono invece profonde, dipendono “da una grave crisi politica che ha gettato un’ombra sulle prospettive economiche e sta pesando pesantemente sul sentiment economico”. Non solo: “Il complesso sistema federale tedesco, noto per i suoi solidi controlli ed equilibri, è stato progettato per consolidare i suoi principi democratici e impedire un ritorno all’autoritarismo. Pertanto, dà priorità alla stabilità rispetto alla velocità e alla flessibilità. Questa preferenza sta ora mettendo a dura prova l’economia”.

Qualcosa dovrà cambiare in Germania e non è facile far sterzare un modello economico consolidato nei decenni di cui però sono vacillate le basi e almeno una tra queste, il gas russo, è sulla via dell’esaurimento. Una Germania trimestre dopo trimestre in stagnazione, con una produzione industriale negativa negli ultimi tre mesi del 2023 o a quota zero o sotto, fa paura all’Europa centrale (Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia sono vere e proprie piattaforma della manifattura tedesca) e anche a quella rilevante sezione dell’industria italiana intimamente legata alla Germania (per fare solo un esempio, un quinto dei componenti di un’auto tedesca provengono dall’Italia). Batte in testa la crescita “export oriented”. Non è un caso che lo stesso Mario Draghi, pur non nominando la Germania, abbia recentemente indicato che “i modelli di business basati su ampi avanzi commerciali potrebbero non essere più politicamente sostenibili. I paesi che vogliono continuare a esportare beni potrebbero dover essere più disposti a importare altri beni o servizi per guadagnarsi questo diritto, pena l’aumento delle misure di ritorsione”. L’economia leader di un’area integrata ha anche oneri oltreché onori.

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