Parla Foad Izadi, la mente della politica dei paydari

Il professor Foad Izadi insegna nella Facoltà di Studi internazionali all’Università di Teheran. Si è formato all’Università della Louisiana e all’Università di Houston. È considerato la mente della politica estera degli integralisti e secondo alcuni analisti iraniani sarebbe diventato ministro degli Esteri in caso di vittoria alle elezioni presidenziali di Said Jalili, candidato sconfitto da Masoud Pezeshkian. Lo incontro nel suo studio all’Università di Teheran.

Lei ha scritto numerosi libri sugli Stati Uniti d’America. Cosa si aspetta nei rapporti con l’Iran alla vigilia dell’insedia – mento di Donald Trump?

“La nostra previsione è che anche in questa seconda Amministrazione il Presidente Trump porti avanti qualcosa di simile a quanto fatto nel corso del primo manda – to. Nei confronti dell’Iran ci aspettiamo la massima pressione e chiusura, probabilmente con delle modifiche che presumiamo possano essere in direzione negativa. Mi spiego meglio. I membri del team che sta attorno al Presidente Trump credono di aver avviato un vero proprio progetto nei confronti dell’Iran che ora, nel secondo mandato, va completato. Spiego ancora perché crediamo che le politiche di Trump saranno ancora più aggressive nei confronti dell’Iran. Dopo più di un anno di operazioni del regime sionista a Gaza, un genocidio, prendiamo atto del fatto che Israele ha influenza sulla politica mediorientale degli Stati Uniti. Il signor Netanyahu ha detto che vuole ridisegnare la mappa della regione e creare un nuovo Medioriente e quindi la nostra previsione è che, condividendo i piani di Netanyahu, il presidente Trump voglia assumere una posizione molto aggressiva nei confronti dell’Iran”.

Secondo i rumors lei sarebbe diventato ministro degli Esteri in caso di vittoria di Jalili alle elezioni presidenziali. Che politica estera avrebbe immaginato per l’Iran?

“È un parere gentile nei miei confronti ma non è così, ministro non lo sarei stato, lo sarebbero stati altri. Ma se lo fossi stato, per quello che ho capito dagli interventi nei dibattiti televisivi elettorali del signor Jalili, avremmo avuto un rapporto con gli Stati Uniti fondato sulla nostra esperienza, dal passato delle relazioni con loro. Come forse saprete, il signor Zarif, che è stato ministro degli Esteri e oggi è Vicepresidente per gli affari strategici, ha scritto recentemente un articolo sulla rivista Foreign Affairs, dichiarando che l’Iran è disponibile a dialogare con gli Stati Uniti sul nucleare ma anche su – gli argomenti non inerenti alla questione. Se fosse stato eletto il signor Jalili, sicuramente non si sarebbe lanciato in maniera così amatoriale un invito per il dialogo, perché non abbiamo una buona esperienza, non ci sono mai stati buoni risultati a seguito di azioni simili, non si sarebbe offerto il dialogo, almeno non in questa maniera. Ci si sarebbe comportati diversamente. Il comune denominatore tra la nostra politica estera e quella dell’attuale governo, sicuramente sarebbe stata la relazione con l’Europa. Anche noi riteniamo che l’Europa sia un buon partner per noi. Considerando l’esperienza dei decenni passati, il non aver avuto problemi seri con l’Europa, ci avrebbe portato probabilmente a seguire con lo stesso interesse la ripresa delle relazioni con l’Europa, in particolar modo con nazioni come l’Italia, che hanno una tradizione positiva di rapporti con l’Iran. Se dovessi nominare tre nazioni in Europa sono Italia, Austria e Spagna che nei decenni passati non hanno avuto una presenza coloniale in Iran e hanno avuto delle relazioni perlopiù incentrate sull’economia e sulla cultura. Per questo ora il governo Pezeshkian sta cercando di rafforzare le relazioni con questi Paesi e lo avremmo fatto anche noi. L’altro punto in comune sarebbe stato cercare di sviluppare e rafforzare gli scambi con Cina e Russia. Si pensa che si stia andando verso un mondo multipolare e che sia importante per noi avere relazioni con diversi poli di questo nuovo mondo. Stessa visione simile per il rafforzamento dei rapporti con i Paesi limitrofi, i paesi della regione, i paesi islamici arabi perché tradizionalmente gli Stati Uniti hanno cercato di creare divergenze tra l’Iran e questi paesi e poi approfittare della situazione. Per questo rafforzare le relazioni con questi Paesi della regione, i Paesi vicini, è sicuramente una delle priorità per l’attuale governo e lo sarebbe stato se fosse stato Jalili al potere. L’altra differenza, oltre alle relazioni con gli Stati Uniti, sarebbe stata nelle relazioni con l’Africa e l’America Latina. Probabilmente con Jalili gli investimenti verso i due paesi avrebbero avuto maggiore centralità, visto che oggi ci sono idee diverse condizionate dalla lontananza. Probabilmente con Jalili sarebbero stati rapporti più forti, mentre credo che ora il governo non voglia lavorare tanto su questo versante”

Uno dei cardini della politica estera dell’Iran è l’Asse della resistenza. Sono stato colpito dalla velocità con cui è implosa questa Alleanza di paesi. Qual è il suo giudizio? È stato giusto investire tanto su movimenti come Hamas o Hezbollah, o regimi come quello siriano di Assad, in un momento in cui l’Iran versa in una condizione fragile dal punto di vista economico ed energetico?

“Diciamo che l’Iran non ha avuto tanta scelta per il sostegno e l’investimento in questi gruppi, penso ad esempio alla formazione di Hezbollah. L’Iran non ha avuto scelta perché Hezbollah nacque per via dell’aggressione israeliana nel 1982 contro il Libano. Così come il sostegno dato ad Ansarullah è dovuto all’attacco sferrato dall’Arabia Saudita contro lo Yemen. Se non ci fosse stato l’attacco probabilmente non si sarebbe creata questo tipo di relazione tra Iran e Yemen. Le forze popolari irachene, Al Jaysh al Sha’abi, vennero create dopo che gli Stati Uniti attaccarono l’Iraq, lo occuparono e si venne a creare l’Isis. Se non ci fosse stata questa cosa probabilmente l’Iran non avrebbe nemmeno avuto modo di essere presente in Iraq e avere poi un’influenza. Anche per la Siria ricordiamo che durante gli 8 anni di guerra tra Iran e Iraq, l’unico paese ad aiutare l’Iran era stata la Siria. E quindi una volta che il Governo siriano si è trovato in difficoltà, di fatto gli iraniani hanno restituito il favore, costretti a sostenere un paese che era stato loro sostenitore. Il secondo motivo del sostegno alla Siria è stato il poter assicurarsi una via per poter transitare e inviare gli aiuti a Hezbollah. Quindi Hezbollah non ci sarebbe stato, se non ci fosse stata l’aggressione israeliana al Libano e l’Iran non avrebbe nemmeno sostenuto la Siria. Come avete giustamente osservato, però l’Asse della resistenza è stato danneggiato e quindi la sua forza è diminuita. Però non dobbiamo avere una visione manichea. È vero che è stato danneggiato e che la sua forza è diminuita, però allo stesso tempo non è stato eliminato e ci sono ancora delle opportunità e degli elementi di speranza in questa alleanza. Negli ultimi decenni l’Iran ha sempre dichiarato ad esempio che il regime israeliano è un regime pericoloso, che uccide facilmente la gente e ha instaurato una sorta di apartheid. Negli ultimi 15 mesi Israele ha dimostrato pienamente a tutto il mondo che le preoccupazioni espresse dall’Iran erano giuste e motivate. Ci sono a Gaza in questo momento molti bambini e ragazzi che hanno 12, 13, 14 anni. Israele nei bombardamenti ha distrutto la loro città ha ucciso padre, madre, nonni, tutti coloro che avevano. Secondo me, e lo dico con grande amarezza, nei prossimi anni, quando questi bambini raggiungeranno la maggiore età e saranno in grado di combattere, sicuramente si arruoleranno per combattere contro Israele. Dunque quando noi diciamo che è impossibile distruggere Hamas, è perché se Hamas fosse solo un gruppo, distruggerlo sarebbe possibile, ma ormai non è più solo un gruppo, ma un’idea, un pensiero, e l’idea non può essere distrutta materialmente. L’idea di resistere è legata alla popolazione palestinese. Quindi un gruppo lo possiamo distruggere, un’idea e un popolo no. Pensiamo al Libano, l’occupazione di Beirut è stata nel 1982. La nuova generazione libanese, i giovani che hanno oggi 20 o 30 anni non hanno vissuto quel periodo. Quindi non capivano perché bisogna combattere contro Israele, sino ai recenti bombardamenti che ci sono stati nei mesi scorsi sul Libano e anche sulla capitale. 4000 martiri, tantissimi feriti, hanno fatto capire nuovamente ai giovani libanesi che non avevano visto le guerre precedenti perché si dice che bisogna difendersi dinnanzi a Israele. Negli ultimi decenni, uno dei leitmotiv della propaganda israeliana in Libano è stato creare divergenze tra sciiti e sunniti. Però la situazione attuale in Libano è questa: anche i gruppi sunniti libanesi hanno lodato tantissimo Hezbollah perché, pur essendo una formazione sciita, difendeva un Paese a maggioranza sunnita. Nei mesi scorsi i sunniti hanno finito per lodare tanto Hezbollah per essersi sacrificato, aver combattuto e subito anche molti danni per la difesa del Paese. Anche per la Siria ci sono delle opportunità con gli ultimi sviluppi e vi spiego perché. Negli ultimi 2, 3 anni Assad, che credeva che sarebbe rimasto ancora a lungo in Siria, ha cercato di avvicinarsi alla Lega Araba, ha visitato gli Emirati, con questo limitando tantissimo l’attività da parte siriana contro Israele. Nei 15 mesi di guerra, ha limitato praticamente anche la presenza dell’Iran. L’unica cosa che faceva era permettere che gli aiuti verso Hezbollah attraversassero il suolo siriano. Ora che non c’è più a mio avviso si aprono nuove opportunità per l’Iran. Il Governo iraniano ha rispettato il Governo siriano anche se non ne condivideva un’attività, non ha mai agito contro la volontà del governo siriano”.

Che futuro dobbiamo aspettarci per il paese?

“Ci sono più scenari possibili per la Siria. Il primo è che si possa instaurare la democrazia, si facciano delle elezioni libere e che possa salire al potere un Governo eletto, che sia espressione della volontà dei siriani. Se questa opzione si realizzerà diciamo che presto o tardi il governo siriano tornerà a far parte dell’Asse della resistenza. Finora in qualsiasi Paese arabo islamico ci sia stato un governo democratico, questo governo è stato contrario a Israele. Quindi l’opzione, lo scenario che l’Iran preferisce è proprio questo: il fatto che ci sia una vera democrazia in Siria che come conseguenza avrebbe appunto il ritorno della Siria nell’Asse della resistenza. Quanto vi sto dicendo è risaputo molto bene anche dagli israeliani. È per questo che recentemente, quando ne hanno avuto la possibilità, hanno bombardato tantissimi siti militari e infrastrutture in Siria, perché sanno che un prossimo governo in Siria potrebbe essere anti israeliano. Un secondo scenario è che ci sia il caos in Siria, che la Siria si trasformi in una sorta di Libia. Anche in questo scenario l’Iran potrebbe difendere i propri interessi e continuare a sfruttare il territorio siriano come tragitto di transito per gli aiuti agli alleati libanesi. Di fatto, quello che stiamo vedendo in questo momento in Siria è che Stati Uniti e Israele non vogliono l’affermazione della democrazia e di un governo centrale forte e sovrano. Da una parte non lo vogliono loro, dall’altro canto ci sono Emirati, Giordania ed Egitto che vogliono prevenire in Siria la salita al potere di formazioni vicine ai Fratelli Musulmani. D’altra parte però c’è la Turchia che sostiene questi gruppi e si oppone a loro e quindi in questo momento è una terra dove si scontrano gli interessi di paesi limitrofi. Con il pericolo creato da gruppi estremisti simili all’Isis in Siria, anche in Iraq il ruolo delle ‘Hashd al-Shaabi, delle forze popolari vicine all’Iran, è diventato più importante. Hanno capito anche lì quanto sia importante difendersi e quindi anche in Iraq osserviamo un rafforzamento dell’Asse della resistenza. Infine parliamo di Ansarullah, che era un gruppo tutto sommato piccolino che, preso in mano il controllo dello Yemen, ha dichiarato che continuerà a colpire Israele fino a quando ci sarà il genocidio a Gaza. La forza che ha dimostrato Ansarullah in Yemen ha acquisito prestigio proprio per gli attacchi contro Israele e Stati Uniti, ottenendo tutta una rete di simpatizzanti, non più solo nel mondo arabo-islamico, ma a livello mondiale”.

Cosa mi dice di un possibile attacco di Israele all’Iran? Siete preparati a un’eventualità di questo tipo?

“Negli ultimi 15 mesi sterminando donne e bambini, mediamente uccidendo 30 bambini al giorno, gli israeliani hanno dimostrato che non si pongono limiti etici. Dunque se finora non hanno attaccato l’Iran, non è perché si siano fatti uno scrupolo etico. Di contro, a partire da 15 mesi fa, l’Iran ha rafforzato tantissimo la sua capacità difensiva per fronteggiare un eventuale attacco israeliano. Trump ha detto che non vuole creare nuove guerre e una guerra tra Iran e Israele sarebbe anche la guerra degli americani. Ritengo quindi che Trump abbia mandato questo messaggio a Israele: non attaccare l’Iran e non avviare una guerra contro questo Paese. Non posso in realtà dirle per certo se attaccheranno o non attaccheranno, ma sappiamo che se Israele lo facesse pagherebbe un pegno molto pesante”.

L’Iran va verso la costruzione della bomba atomica?

“Tradizionalmente, l’Iran non ha mai amato la costruzione dell’arma atomica, perché non è particolarmente influente per la sua difesa; le forze militari convenzionali costituiscono la sua difesa principale. Però il principale nemico dell’Iran, in questo momento, ha tre caratteristiche: è genocida, possiede la bomba nucleare e sostiene che l’Iran sia il suo principale nemico. È quindi l’opinione pubblica che si chiede perché l’Iran non debba costruire la bomba atomica”.

 

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