Cosa pensa il ‘Sud globale’ delle armi nucleari

Negli ultimi vent’anni, l’ordine nucleare mondiale è stato minacciato da più fronti, a cominciare dal ritiro della Corea del Nord dal Trattato sulla non-proliferazione nucleare (TNP) nel 2003, fino alle più recenti intimidazioni da parte russa nel contesto della guerra contro l’Ucraina. I rischi di un’incontrollata proliferazione nucleare sono dietro l’angolo e il TNP, che dal 1970 ha contribuito a limitare la diffusione di armi nucleari, sembra soffrire di una grave crisi di legittimità, specialmente agli occhi del cosiddetto ‘Sud globale’.

Proprio l’insofferenza dei paesi del Sud globale nei confronti dell’attuale regime di non proliferazione nucleare è al centro dello special issue Nuclear Non-Proliferation and the Global South: Understanding Divergences and Commonalities” curato da Manuel Herrera, Tanvi Kulkarni e Vicente Garrido nell’ultimo fascicolo di The International Spectator (dicembre 2023).

La frustrazione verso l’ordine esistente

Come messo in luce nell’articolo introduttivo dai curatori, la contestazione emergente riguarda tanto la validità del TNP nel realizzare gli obiettivi condivisi, quanto l’ ‘ingiusto’ status quo in essere. Nel regime esistente, infatti, gli stati formalmente riconosciuti come potenze nucleari – Stati Uniti, Regno unito, Francia, Russia e Cina – non sembrano né sufficientemente impegnati a favorire il disarmo nucleare né intenzionati a garantire un accesso equo all’uso pacifico della tecnologia nucleare per tutti i firmatari; una convinzione, questa, condivisa da paesi di svariate regioni del mondo, dal Medio Oriente all’America Latina, sino al Sud Pacifico.

Nel quadro mediorientale, Ferdinand Arslanian si sofferma sul caso dell’Iran, evidenziando gli effetti del sistema di sanzioni internazionali, che, dopo anni di negoziazioni fallimentari, avevano portato con successo alla firma del Joint Comprehensive Plan of Action del 2015. Secondo Arslanian, tale risultato è stato determinato dall’efficacia delle sanzioni nell’influenzare le scelte della leadership iraniana, a fronte del rischio di un isolamento dal commercio internazionale e delle conseguenti ripercussioni economiche.

I contributi di Alexander Thew e João Paulo Nicolini Gabriel si rivolgono invece ai paesi dell’America Latina. Nel corso dei decenni, Argentina e Brasile si sono a più riprese concentrati sul modernizzare i rispettivi programmi nucleari, ritenuti fonte di sviluppo economico ed orgoglio nazionale. Ciò li ha spinti ad intrecciare relazioni commerciali con nuovi fornitori di tecnologie, fra cui – nel caso dell’Argentina, discusso da Thew – la Repubblica popolare cinese. Pechino può infatti sfruttare la frustrazione dei paesi emergenti verso i vincoli tradizionalmente imposti dai fornitori occidentali per stabilire nuove partnership in ambito nucleare.

Una situazione analoga si verifica in Brasile dove, come messo in luce da Nicolini Gabriel, la mancanza di investimenti nella ricerca scientifica nazionale ha a lungo vanificato le potenzialità nucleari del paese e, di conseguenza, ogni tentativo di raggiungere l’“autonomia nucleare”. Esempi emblematici sono il mancato supporto governativo nei confronti del Gruppo Torio (promosso da scienziati brasiliani) e il contemporaneo accordo nucleare fra Brasile e Germania Ovest negli anni ’70.

L’ascesa di nuovi attori nucleari – e antinucleari

Alcuni paesi del Sud globale sono stati in ogni caso capaci di emergere come attori di primaria importanza nel regime di nonproliferazione globale. In particolare, l’ingresso di Brasile ed India nel delicato ordine nucleare viene letto, nel contributo di Shivani Singh, come una richiesta di accommodation rivolta alle superpotenze nucleari riconosciute dal TNP. Emblematico è il tentativo dell’India – dal 1998 potenza nucleare di fatto, ma non di diritto secondo il TPN – di ottenere un riconoscimento internazionale analogo a quello degli altri Stati dotati di armi nucleari.

Le richieste indiane e brasiliane di riconoscimento sono espressione, ancora una volta, della percezione diffusa tra i paesi del Sud Globale delle discriminazioni che attraversano il regime nucleare globale – un regime, d’altronde, che non è slegato dal passato coloniale delle potenze nucleari riconosciute. A tal proposito, una sezione dello special core affronta il legame, ancora poco indagato, fra le attività di sperimentazione nucleare e le pratiche coloniali.

Quegli esperimenti, quasi sempre condotti dalle grandi potenze nei territori coloniali e i cui rischi furono spesso taciuti alle popolazioni coinvolte, hanno avuto un ruolo importante nello stimolare la nascita di varie forme di opposizione antinucleare e anticoloniale. Così, attraverso un’analisi comparativa fra il Sud Pacifico (Isole Marshall, Polinesia e Australia), il Sahara algerino e il Kazakhstan, Exequiel Lacovsky indaga la formazione, le traiettorie e i risultati dei numerosi movimenti sociali che sono sorti nel periodo della Guerra fredda contro gli esperimenti nucleari. Proprio l’emergere di una coalizione, a livello regionale e globale, fra diverse componenti della società civile ha spianato la strada all’adozione delle attuali norme internazionali contro la proliferazione.

Sulla stessa scia, il contributo di Leila Hennaoui e Marzhan Nurzhan approfondisce gli effetti dell’ “imperialismo nucleare” di Francia e Unione Sovietica rispettivamente sul Sahara algerino e sulle steppe kazakhe. Adottando un’ottica post-coloniale, viene enfatizzata la agency locale, sostenuta dalla solidarietà transnazionale, nel portare avanti le rivendicazioni antinucleari e anti-coloniali. Significativamente, nel ricostruire i costi umani ed ambientali dei test nucleari, emerge la scarsità di informazioni rese disponibili dagli archivi di entrambe le “potenze nucleari coloniali”.

Un webinar dedicato ai contenuti dello special issue si terrà il 14 dicembre 2023, ore 16:00. Tutte le info sono disponibili sulla pagina dedicata sul sito dello IAI.

foto di copertinaEPA/EUGENE HOSHIKO / POOL

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