La via del Pakistan verso la stabilità

Una serie di attacchi a edifici appartenenti a cristiani e chiese, circa 17 in totale, nel mese di agosto, con epicentro delle violenze nella provincia del Punjab pakistano, hanno portato il Pakistan alla ribalta delle cronache internazionali. Le violenze sembra siano esclusivamente dirette a edifici e non persone, come riportato dal sito di analisi ed intelligence “Jane’s Military” e da fonti pakistane come il quotidiano “Dawn”. Gli attacchi sono stati fomentati dai sospetti del coinvolgimento di alcuni membri della comunità cristiana di Jaranwala nella profanazione di alcune pagine del Corano, con l’attivo intervento di membri del movimento fondamentalista e conservatore Tehrik Labbaik Pakistan (TLP).

La situazione, che per fortuna non sembra precipitare in scontri di grossa scala fra musulmani e minoranze religiose, è però sintomo di una finestra di opportunità percepita da chi ha interesse a destabilizzare il paese nella particolare congiuntura attuale. Il Pakistan è guidato da un governo interinale, dopo le dimissioni di quello di Shehbaz Sharif, in attesa delle elezioni che dovrebbero svolgersi tra la fine di questo anno e i primi mesi del 2024 e risente ancora dei movimenti di protesta legati al vecchio Primo ministro Imran Khan e al suo entourage.

Tra crisi economica e politica

Il governo in carica, guidato da Anwar ul Haq Kakar, dopo le dimissioni di Shehbaz Sharif, ha agito risolutamente schierando sul campo alti funzionari di polizia e le forze militari dei Rangers per non perdere il controllo della situazione in una eventuale escalation della violenza. Tuttavia è forse più la situazione generale che preoccupa che il particolare episodio di intolleranza religiosa.

Il Primo ministro in carica ha raggiunto il termine della legislatura e ha lasciato il governo al Primo ministro facente funzione per effetto della dissoluzione del parlamento, come previsto dagli articoli 52 e 91 della Costituzione. Il Paese è quindi in attesa che si concretizzi il procedimento di preparazione per le prossime elezioni politiche che dovrebbero tenersi nei primi mesi del 2024. Al contempo però permane una decisa crisi economica per risolvere la quale il Fondo Monetario Internazionale aveva concesso nel mese di luglio un ulteriore prestito (da reintegrare a determinate condizioni) e una crisi politica che vede i sostenitore del vecchio Primo ministro Imran Khan (attualmente in arresto con varie accuse fra cui corruzione e alienazione e venditadi beni appartenenti al governo) opporsi alle istituzioni. Con queste premesse l’incertezza politica sul futuro del paese, anche date le violente manifestazioni scatenate dai sostenitori di Imran Khan che rimangono in attesa delle elezioni, è un grosso interrogativo.

Le forze in gioco

Nonostante gli innegabili e grandi passi avanti del Paese per trovare una via pakistana alla stabilità politica con uno sbocco verso la democrazia che hanno portato ad un’assenza, almeno formale, dei militari dal governo dal 2008 – anno in cui il Generale Pervez Musharraf lasciò il potere ad un governo eletto – e all’adozione di procedure costituzionali per la dimissione dei governi eletti, rimangono ancora delle incertezze sulla stabilità, sulla sicurezza e sul bilanciamento partitico.

I militari, pur senza un potere diretto sono ancora forza di una certa influenza, come dimostrano le leggi proposte alla firma del Presidente Arif Alvi negli ultimi giorni, tese all’introduzione di pene molto severe per violazioni o presunte violazioni, ad esempio, del segreto militare. Nel caso specifico, con un comportamento molto coraggioso, il Presidente, pur con l’approvazione del legislatore si è rifiutato di promulgare le norme (forse in attesa della revisione da parte del futuro Parlamento).

La problematica della discriminazione e dell’estremismo religioso rimane latente e pronta a esplodere nei momenti di incertezza, come dimostrano gli attacchi alle minoranze religiose  negli ultimi mesi, dei quali gli incendi agli edifici in Pukjab sono solo la punta dell’iceberg. Questi episodi, oltre a ripetere un copione noto nel paese, confermano l’influenza di movimenti estremisti come Tehrik Labbaik Pakistan che trovano l’appoggio di molti islamisti e ultraconservatori e che purtuttavia hanno ottenuto una riabilitazione almeno formale e rimangono in una zona di soffuso chiaroscuro. Tale posizione li rende socialmente più appetibili rispetto a frange ufficialmente perseguite come terroriste eppure forse più pericolose, quantomeno per la loro potenzialità di reclutamento.

L’importanza strategica del futuro di Islamabad

La vicinanza del governo pakistano, che ha avuto un ruolo di primo piano nelle trattative per il ritiro delle forze occidentali a Kabul, si è tradotta anche con la nomina del mullah Mohammad Hassan Akhund nel 2021 a Primo ministro dei taleban e porta Islamabad ad un ruolo di primissimo piano nella questione afghana.

L’alleanza con la Cina e il rapporto straordinario con Pechino costruito in decenni cooperazione, aggiunge una dimensione internazionale alla stabilità del Paese. Inoltre, il peso dell’area Sud asiatica nel prossimo futuro non può che moltiplicare l’attenzione verso la Repubblica islamica del Pakistan. L’ascesa economica e politica dell’India e il rapporto bivalente fra i due Stati dotati di arma nucleare e da sempre in frizione per problematiche di confine ma anche in collaborazione con varie iniziative come la Shanghai Cooperation Organization (SCO), porta a dover considerare le condizioni di stabilità e sicurezza in cui il Pakistan arriverà fino alle elezioni come una questione centrale del panorama internazionale.

Foto di copertina EPA/REHAN KHAN

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