La tragica ironia dell’azzardo europeo sull’Iran

Francia, Germania e Regno Unito – gli ‘E3’ – occupano un posto speciale nella più che ventennale disputa sul nucleare iraniano. Nel 2003, furono i coraggiosi iniziatori del processo diplomatico che dodici anni dopo avrebbe portato all’accordo nucleare, il Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), fra Iran, Cina, Russia, Stati Uniti ed E3 stessi (e Ue). Nel 2025, con la decisione di avviare la procedura di riadozione delle sanzioni Onu, rischiano di mettere l’ultimo chiodo nella bara della diplomazia nucleare con l’Iran.

Cos’è lo snapback?

Lo scorso 28 agosto gli E3 hanno attivato un meccanismo incluso nel Jcpoa e nella Risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza Onu detto ‘snapback’, pensato per punire l’inadempienza con il Jcpoa da parte dell’Iran. Il meccanismo è stato congegnato in modo da evitare un eventuale veto russo o cinese. Se entro trenta giorni non si troverà un’intesa, il Consiglio di Sicurezza sarà chiamato a votare non sulla riadozione delle sanzioni bensì sulla continua revoca delle stesse, dando così a Francia, Regno Unito e Stati Uniti la possibilità di usare il veto. La tempistica della mossa degli E3 è stata determinata dal fatto che lo snapback sarebbe venuto meno il 18 ottobre di quest’anno.

Le ragioni degli E3

Sulla carta, gli E3 hanno buone ragioni. Le violazioni iraniane del Jcpoa sono progressivamente aumentate dal 2019. Anche se l’Iran ha violato l’accordo in risposta al ritiro unilaterale americano dall’accordo deciso da Donald Trump l’anno precedente, gli E3 possono sostenere con qualche legittimità di aver da allora tentato di salvare il Jcpoa. Gli E3 ritengono l’Iran responsabile della mancata riattivazione dell’accordo nell’estate 2022 nonostante si fosse trovata un’intesa con l’Amministrazione Biden. A dimostrazione della loro buona fede, gli E3 hanno offerto di estendere la scadenza dello snapback di sei mesi a condizione che l’Iran ridesse agli ispettori Onu completo accesso al suo programma nucleare e si impegnasse in un nuovo negoziato con gli Stati Uniti.

L’irrigidimento degli E3 riflette il cambiamento delle priorità che ne hanno guidato l’azione sulla questione nucleare iraniana: al tentativo di salvaguardare il regime di non proliferazione internazionale e la stabilità del Golfo è subentrata la volontà di punire l’Iran per l’aiuto alla Russia nella guerra contro l’Ucraina, la repressione delle proteste dell’autunno 2022 e la detenzione arbitraria di cittadini europei.  Gli E3 sostengono pertanto che la loro è una risposta non solo legittima ma necessaria alla condotta dell’Iran. La realtà però è tutt’altro che così lineare, né il loro comportamento così immacolato.

Le ragioni dell’Iran

Spalleggiato da Russia e Cina, l’Iran contesta che gli E3 abbiano l’autorità di attivare lo snapback. La ragione ufficiale è che gli E3 e l’Ue non hanno saputo proteggere le loro banche e aziende dalle sanzioni extraterritoriali Usa dopo il ritiro americano, di fatto mancando all’impegno di normalizzare i rapporti commerciali.

Ma la colpa maggiore degli E3, per gli iraniani, è quella di aver orwellianamente trasformato l’aggressione israeliana dello scorso giugno in un atto di difesa contro un Iran che non stava pianificando attacchi contro Israele né aveva preso la decisione di costruirsi una bomba, come riconosciuto a marzo dall’intelligence Usa. Al contrario, quando l’Iran è stato attaccato, era impegnato in negoziati con gli Stati Uniti.

Teheran ha anche visto gli E3 adottare posizioni in contrasto con il Jcpoa, per esempio sostenendo che l’Iran debba rinunciare all’arricchimento dell’uranio, la componente più sensibile di un programma nucleare (civile o militare che sia). Agli occhi di Teheran, niente rappresenta meglio la duplicità e debolezza europea dell’affermazione del cancelliere tedesco Friedrich Merz secondo cui Israele avrebbe fatto il “lavoro sporco per noi”.

L’Iran ha anche motivi più pratici per non soddisfare le condizioni poste dagli europei: l’accesso degli ispettori Onu è una carta da usare in un negoziato con gli Stati Uniti, che però Teheran è disposta ad avviare soltanto se garantito contro ulteriori attacchi israeliani. Gli europei non possono dare questa garanzia né sono stati in grado di spingere gli americani a sedersi al tavolo con gli iraniani. Pertanto, l’Iran sembra disposto a sostenere i costi delle sanzioni Onu, sebbene questi ultimi siano tutt’altro che irrilevanti.

È vero che le sanzioni extraterritoriali americane hanno di fatto già creato un embargo sull’Iran. Ma le sanzioni Onu metterebbero di nuovo il programma nucleare sotto una cappa di illegittimità. È plausibile pertanto che nei prossimi trenta giorni l’Iran provi, magari attraverso la Russia o la Cina, a trovare un’intesa con gli Stati Uniti affinché si possa estendere lo snapback. Resta da verificare quanto sia interessata l’Amministrazione Trump.

Le chance di un’intesa sono modeste

Dopo l’intervento nella guerra, Trump è sembrato disinteressarsi della questione, visto che il programma nucleare iraniano sarebbe stato “obliterato” dai bombardamenti Usa. Ma la realtà è che, per quanto seriamente danneggiato, il programma continua a esistere così come esistono le conoscenze degli scienziati iraniani. Soprattutto, è plausibile che la leadership di Teheran stia valutando come costruirsi in clandestinità un arsenale atomico visto che America ed Europa si sono dimostrate inaffidabili e Israele è sul piede di guerra.

Date queste premesse, non si può escludere che l’Amministrazione Trump sia disponibile a negoziare solo a condizioni molto stringenti, tanto sul fronte nucleare (zero arricchimento) quanto anche su quello balistico (che pure è l’unica difesa rimasta agli iraniani), e che gli iraniani pertanto rifiutino. A quel punto gli E3 non potrebbero far altro che forzare la riadozione delle sanzioni Onu. Le conseguenze sarebbero gravi, tuttavia, non solo per l’Iran, ma per la regione e anche per l’Europa.

I possibili costi dello snapback

L’Iran ha già avviato la procedura legale per abbandonare il Trattato di Non-Proliferazione Nucleare, che lo obbliga a non costruirsi una bomba. Anche se non dovesse arrivare a tanto, chiuderebbe del tutto l’accesso agli ispettori Onu. Questo darebbe a Israele una giustificazione in più per sferrare un nuovo attacco, provocando una reazione iraniana che potrebbe estendersi alla regione.

Un’altra grave conseguenza è che gli E3 contribuirebbero a delegittimare il Consiglio di Sicurezza se Russia e soprattutto Cina decidessero di ignorare le sanzioni perché non riconoscono agli E3 l’autorità legale di attivare lo snapback. Indebolire ulteriormente l’Onu in un momento storico in cui la coercizione e la competizione a somma zero stanno prendendo il sopravvento sulle regole e le pratiche di condotta multilaterali non farebbe che creare maggiore instabilità sistemica.

Ironia tragica

Se tutto questo dovesse accadere, la difesa degli E3 sarebbe che l’Iran non ha lasciato loro alcuna scelta. La realtà però è che avrebbero potuto esercitare maggiore flessibilità strategica (e un minimo di ‘empatia strategica’ verso un paese appena bombardato da due potenze atomiche), per esempio offrendo un’estensione più limitata dello snapback senza condizioni stringenti, se non quella di riallacciare il negoziato con gli Usa. Quella europea è insomma una scelta deliberata e non obbligata.

Favorendo il processo che portò all’accordo nucleare del 2015, gli E3 evitarono un conflitto regionale; rafforzarono il regime di non proliferazione nucleare e l’autorità del Consiglio di Sicurezza; ravvivarono la partnership transatlantica; e dimostrarono i vantaggi di una gestione dei conflitti multipolare inclusiva di Russia e Cina. È davvero una tragica ironia che potrebbero essere stati proprio gli E3 a completare il processo che ha portato alla progressiva distruzione di tutti questi conseguimenti.

Coordinatore delle ricerche e responsabile del programma Attori globali dell’Istituto Affari Internazionali. I suoi interessi di ricerca si concentrano sulle relazioni transatlantiche, in particolare sulle politiche di Stati Uniti ed Europa nel vicinato europeo. Di recente ha pubblicato un libro sul ruolo dell’Europa nella crisi nucleare iraniana,“Europe and Iran’s Nuclear Crisis. Lead Groups and EU Foreign Policy-Making” (Palgrave Macmillan, 2018).

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