La risposta dei Paesi europei all’Inflation reduction act

L’Inflation Reduction Act (IRA) è il piano strategico statunitense per facilitare la transizione energetica tramite investimenti e sconti fiscali per aziende che operano in territorio americano.

Secondo la compagnia di consulenza manageriale McKinsey sono previsti circa 400 miliardi di dollari per produrre energia pulita e decarbonizzare l’industria Usa tra il 2023 ed il 2030. Di questi, 216 miliardi sono destinati alle aziende sotto forma di incentivi fiscali, 40 miliardi come prestiti, 13 miliardi in investimenti federali, che andranno al US Department of Energy’s Loan Program Office per espandere il programma dei prestiti e generare circa 367 miliardi di dollari per sostituire o migliorare la rete infrastrutturale. 82 miliardi in sovvenzioni ed infine, 43 miliardi in incentivi per i consumatori che potranno usufruire fino a 7.500 dollari di crediti per l’acquisto di veicoli elettrici. Tale bonus è diviso in due parti uguali di cui metà è accessibile se il 40% dei componenti per le batterie di tali veicoli è prodotto o raffinato negli Usa, l’altra metà se i veicoli sono assemblati negli Stati Uniti o nell’area di libero scambio tra Usa, Messico e Canada (USMCA), riducendone il prezzo in confronto ai veicoli importati.

Questo piano ha l’obiettivo di ridurre la dipendenza di materiali cinesi critici dell’industria americana soprattutto per le batterie delle macchine elettriche che utilizzano grandi quantità di terre rare e metalli di cui la Cina è il maggior fornitore mondiale.

Le conseguenze per i partner occidentali

La Corea del Sud e l’Unione europea hanno protestato contro il bonus al consumo .   sottolineando come questi incentivi andranno a impattare negativamente sulle loro esportazioni in un settore che sta acquisendo sempre più importanza (l’Ue è responsabile per la produzione di circa un quarto di veicoli elettrici a livello mondiale). In effetti, diverse compagnie, tra cui alcune europee, hanno già annunciato una serie di investimenti per espandere o creare circa 20 fabbriche negli Stati Uniti: per esempio, BMW ha annunciato un investimento da 2 miliardi di dollari, la svedese Freyr uno di 1,7 miliardi, e anche Enel ha promesso la costruzione di una fabbrica di pannelli fotovoltaici.

Questi problemi non sono sentiti solo in Europa: anche il governo sudcoreano ha protestato contro l’IRA per paura di un’ondata di delocalizzazioni nel settore delle batterie e veicoli elettrici. Il settore automobilistico sudcoreano fa affidamento su materiali di estrazione cinese per il 58,2% nella produzione di batterie elettriche, il che esclude le sue aziende dal bonus di 7.500 dollari. Corea e Stati Uniti stavano lavorando all’approfondimento delle relazioni economiche soprattutto in materia di semiconduttori e veicoli elettrici. A prova di ciò, il Paese asiatico è responsabile per grandi investimenti su suolo americano per entrambi i settori, Hyundai e KIA hanno annunciato un investimento di 5,54 miliardi per la produzione di veicoli e batterie elettriche in Georgia, Samsung e SK Hynix hanno programmato investimenti per 39 miliardi di dollari.

La risposta europea

L’Europa ha reagito in modo contraddittorio. Da una parte, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente statunitense Joe Biden hanno dichiarato  in un comunicato congiunto che puntano a creare un settore industriale “pulito” insieme. Dall’altra parte però è chiaro come l’IRA costituisca una sfida al settore dei veicoli elettrici europei. In particolare, le critiche sono arrivate dai ministri dell’economia di Francia e Germania, che hanno denunciato la legge come discriminatoria e dannosa non solo per le economie di Paesi alleati ma anche dei principi di libero scambio.

In risposta, a marzo 2023, la Commissione europea ha deciso di allentare temporaneamente le restrizioni sugli aiuti di stato con l’obiettivo dichiarato di poter arrivare a offrire alle imprese le stesse sovvenzioni offerte da un altro Paese non europeo se il rischio di delocalizzazione è alto.

Per quanto riguarda l’Italia, il governo ha puntato su una risposta concertata a livello europeo invece di allentare i regolamenti sulle sovvenzioni all’industria. Tale mossa, come sottolineato dal viceministro all’economia Giancarlo Giorgetti, avvantaggerebbe le aziende dei Paesi che hanno la possibilità di concedere più aiuti come Francia e Germania nei confronti di aziende concorrenti di altri Stati membri mettendo in discussione l’equa competizione nel Mercato unico scontentando i Paesi con meno possibilità di fornire sussidi farebbe solo nascere rivalità all’interno del Mercato unico.

A livello comunitario, invece, i Paesi dell’Unione sono scontenti dal momento che molti di loro hanno già un sistema di incentivi per il consumo di veicoli elettrici che però non discrimina le aziende Usa. Le compagnie statunitensi godono di questi sussidi e non vengono svantaggiate sul mercato, cosa che con l’IRA invece succede alle aziende europee, creando un sistema non equo di competizione.

I Paesi dell’Unione stanno lavorando su diversi fronti per rispondere all’IRA: da una parte creare un progetto europeo per la transizione energetica che preveda anche un piano per aumentare la competitività del settore automobilistico elettrico, dall’altra con gli Stati Uniti per arrivare a una soluzione soddisfacente della questione dei veicoli elettrici senza sfociare in una guerra commerciale.

Usa e Ue hanno creato una task force che si occupa delle problematiche sollevate dagli europei sull’IRA che ha portato dei risultati: le aziende europee potranno essere idonee ad accedere agli incentivi sui veicoli elettrici. Questo è un primo passo avanti che però non elimina le preoccupazioni dell’UE in quanto le condizioni per ottenere il bonus di 7.500 dollari  continuano di fatto a escludere le compagnie europee a causa della dipendenza dell’Europa dalle terre rare cinesi (secondo Von Der Leyen sarebbe intorno al 98%). Sul versante dei colloqui bilaterali, POLITICO riporta che se nelle prossime settimane Usa e Ue riusciranno a concludere un accordo di libero scambio sulle terre rare, le aziende europee potranno godere della metà del bonus per materie prime estratte e processate in Europa.

I quattro pilastri del Green Deal 

Il 1° febbraio la Commissione Europea ha lanciato il Green Deal Industrial Plan (GDIP), allo scopo di stabilire una base industriale “verde” su territorio europeo e, al suo interno, prevede delle misure che potrebbero renderla più competitiva anche nei confronti dell’IRA.

Questo piano si regge su quattro pilastri. Il primo è formato dal Net-zero Industry Act, il quale creerà delle regole semplici e accessibili per ridurre a zero le emissioni nette prodotte dall’industria e produrre entro il 2030 il 40% delle clean technologies, e dal Critical Raw Marterials Act che assicurerà un approvvigionamento di materiali critici per la transizione ecologica come le terre rare.

Il secondo è un sistema di regolamenti che aiuterà le aziende ad accedere più velocemente ai fondi esistenti ma non utilizzati come il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) e i fondi strutturali, creerà inoltre uno “European Sovereignty Found”. Secondo la Commissione europea potranno essere mobilitati circa 250 miliardi del Dispositivo di Ripresa e Resilienza, 372 miliardi da investEU e 40 miliardi dal Fondo per l’Innovazione. Tali fondi potranno essere impiegati come sussidi per aiutare le compagnie manifatturiere di veicoli elettrici a sostenere la concorrenza di quelle americane.

Il terzo è un piano per la formazione di forza lavoro specializzata e qualificata per gestire tutti quei lavori che saranno impattati dalla transizione energetica, secondo la Commissione europea tra il 35% ed il 40% delle professioni.

Gli accordi di libero scambio

Infine, la Commissione si impegna ad ampliare gli accordi di libero scambio e partenariato dell’Unione per assicurarsi l’accesso ai materiali critici per la transizione. In questo senso c’è da aspettarsi un rinnovato interesse verso l’Africa, a causa della presenza di giacimenti di terre rare stimati intorno al 30% delle riserve mondiali. Allo stesso tempo l’Ue lavorerà con Paesi consumatori e produttori organizzati in un Critical Raw Materials Club, ancora in fase di creazione, allo scopo di facilitare la comunicazione tra i due gruppi.

Per evitare scontri commerciali tra Usa e Ue è fondamentale continuare il dialogo bilaterale considerando che entrambi gli attori hanno qualcosa di interessante l’uno per l’altro: da un punto di vista economico per l’Unione è vitale assicurarsi una buona posizione nel mercato statunitense dei veicoli elettrici che nei prossimi cinque anni crescerà vertiginosamente, secondo le stime di Fortune Business Insights (una compagnia che si occupa di studi di mercato e servizi di consulenza). Mentre per gli Stati Uniti è fondamentale costituire un’industria di batterie elettriche, settore in cui l’Ue ha know how e competenza. Infine, è nell’interesse strategico di entrambi non iniziare una guerra dei dazi che potrebbe minare l’asse Euro-Atlantico in un momento dove le sfide geopolitiche si stanno intensificando.

Foto di copertina EPA/BONNIS CASH / POOL

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