Pensioni: frattura sociale e tormento di Emmanuel Macron

Il presidente Emmanuel Macron si è rivolto ai francesi con un solenne discorso televisivo la sera del 17 aprile, senza convincere la maggioranza dei connazionali a proposito della riforma delle pensioni (che lui considera cosa fatta e che i sindacati continuano a contestare). Macron vuole voltare pagina, dopo quattro mesi di agitazioni sociali contro la nuova legge, che prevede in particolare l’aumento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni. Ma la protesta prosegue ed è probabile che l’ondata di agitazioni continui a perturbare l’economia francese nel corso della primavera.

Tra gli appuntamenti in calendario, il più significativo è quello del Primo maggio, quando – cosa inedita in Francia – le confederazioni sindacali manifesteranno insieme per trasformare la Festa del lavoro in mobilitazione anti-governativa. I sindacati francesi vanno abitualmente divisi. Stavolta si compattano nell’opposizione. In questa “primavera calda” i sindacati compensano divisioni e debolezze grazie ai sondaggi d’opinione, che testimoniano l’opposizione popolare alla riforma pensionistica.

La Francia continua ad opporsi

Il senso del discorso presidenziale (circa un quarto d’ora) del 17 aprile è chiarissimo: bisogna pensare ad altro e aprire una stagione di dialogo. Certo la riforma ha superato gli scogli parlamentari e istituzionali. Il 14 aprile, il Conseil constitutionnel (i cui nove membri sono scelti in parti uguali dai presidenti della Repubblica, del Senato e dell’Assemblea nazionale) ha convalidato l’essenziale del testo. Macron si è precipitato a promulgare la legge nella notte tra il 14 e il 15 aprile, ma nel discorso del 17 ha annunciato che entrerà in vigore solo nel prossimo autunno. Il presidente ha dato al governo un periodo di qualche mese per rilanciare dialogo sociale e iniziative consensuali.

Sull’avvenire immediato della riforma pesano ombre e punti interrogativi. Tra questi c’è l’ipotesi del referendum contro la nuova legge. Il Conseil constitutionnel ha respinto una prima proposta del genere, mal formulata dai parlamentari che devono sponsorizzarla. Adesso è in corso un secondo tentativo, che potrebbe avere il “semaforo verde” del Conseil constitutionnel per avviare la raccolta di quasi cinque milioni di firme (pari a un decimo del corpo elettorale), come previsto dalla Costituzione. Non è mai accaduto e questa potrebbe essere la prima volta.

Macron, un uomo solo al comando

L’ipotesi del referendum è legata alla sensibilità dell’opinione pubblica, che i sondaggi (da mesi concordi nel penalizzare l’Eliseo) misurano in modo quasi ossessivo. Anche quando è manifestamente giusto e realistico, il discorso presidenziale si perde in una sorta di nebbia fatta di dubbi, di perplessità e di diffidenza di un’opinione pubblica che si sta allontanando dalla sua rappresentanza istituzionale. Macron sa benissimo (lo ha detto in varie occasioni, anche pubbliche) che sulla sua duplice elezione presidenziale pesa una sorta di “peccato originale”: non è stato eletto solo sulla base dell’adesione al suo programma ma anche (forse soprattutto) sulla base del nome – Le Pen – della sua rivale al ballottaggio. Nel 2017 e nel 2022, Marine Le Pen è andata a cozzare contro il “soffitto di cristallo”, che impedisce a un candidato dell’estrema destra di occupare funzioni istituzionali di primissimo piano in Francia.

A ciò si è aggiunto quello che è difficile non considerare come un errore dell’Eliseo. Nel giro di pochi anni (nel 2020 e nel 2023), Macron ha presentato ai francesi due riforme pensionistiche molto diverse tra loro. La prima (formulata a un’epoca in cui la coalizione macronista disponeva di un’ampia maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale) era in fase d’approvazione quando, nel marzo 2020, il presidente ne ha annunciato la sospensione a causa del Covid. Poi l’emergenza sanitaria è passata, ma – con l’avvicinarsi della campagna elettorale – Macron ha evitato di riprendere quel progetto, che contava sull’utilissimo sostegno di una grande confederazione sindacale come la CFDT. Ha preferito aspettare la rielezione sua e dell’Assemblea nazionale (in cui i macronisti hanno ottenuto solo la maggioranza relativa dei seggi).

Il presidente, il cui mandato scade nel 2027 e che non può essere rieletto, sembra trovarsi oggi di fronte a tre strade. Può gestire il potere senza maggioranza assoluta all’Assemblea (gli mancano una quarantina di seggi su 577), ma in questo caso potrà difficilmente andare (in politica interna) oltre la normale amministrazione. Può giocare la carta delle elezioni anticipate, col rischio che anche nella prossima Assemblea nazionale nessun blocco abbia la maggioranza assoluta e che i problemi attuali si ripresentino in forma ben più grave. Può infine cercare un vero accordo di maggioranza con l’opposizione neogollista dei Républicains. Ma dovrebbe essere un vero accordo, con tanto di programma comune, e non un semplice allargamento dell’attuale maggioranza. I neogollisti, che hanno perso le elezioni più importanti e che sono molto divisti tra loro, sanno di poter beneficiare oggi di una vera rendita di posizione. Una circostanza che potrebbe “miracolosamente” ricompattarli.

Foto di copertina EPA/STEPHANIE LECOCQ/POOL MAXPPP OUT

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