La questione delle riserve russe congelate

In risposta all’invasione russa dell’Ucraina i paesi occidentali hanno prima congelato le riserve in valuta della banca centrale russa e ora stanno considerando come utilizzarle per sostenere l’Ucraina. La brutale aggressione militare di un Paese sovrano giustifica pienamente, da un punto di vista morale, forti sanzioni economiche. Le riserve valutarie di uno Stato sono però uno degli strumenti finanziari fondamentali delle moderne economie monetarie, che gli permette di aprirsi agli scambi con l’estero e di proteggersi nei momenti di crisi finanziaria e valutaria. Per questo motivo le banche centrali hanno sempre goduto di immunità sovrana, che le sottrae alla giurisdizione di altri Stati. Sono ora in corso vari approfondimenti sulle opzioni legali per agire nei confronti di un Paese che ha comunque violato vari principi fondamentali del diritto internazionale. Ma è necessario anche chiedersi se il timore della perdita di “inviolabilità” delle riserve valutarie possa favorire lo sviluppo di monete e sistemi finanziari alternativi a quelli occidentali.

Il ruolo dello yuan cinese nel sistema economico internazionale

Secondo molti, questo rischio è trascurabile. Non esistono alternative credibili al dollaro e all’euro che rappresentano rispettivamente circa il 50 e il 20 per cento delle riserve valutarie globali, mentre la moneta della seconda economia mondiale, lo yuan cinese, ha una quota di solo il 3 per cento. La sfiducia degli investitori internazionali circa la volontà delle autorità cinesi di liberalizzare i movimenti di capitale e accettare disavanzi di bilancia dei pagamenti impedisce alla moneta cinese di assumere lo status di valuta internazionale.

Alcuni importanti segnali di cambiamento si stanno però manifestando. Negli ultimi due anni le banche centrali hanno acquistato più di mille tonnellate di oro all’anno e la Cina è stato uno dei principali acquirenti. La Cina ha anche ridotto la sua posizione in US Treasury di circa 262 miliardi di dollari, pari a circa il 33 per cento della posizione che aveva prima dell’invasione russa a gennaio del 2022. Inoltre, ha fortemente promosso l’uso della sua moneta nelle transazioni commerciali internazionali. Secondo alcune fonti, lo yuan, nel secondo trimestre del 2023, è stato usato nel 49 per cento delle transazioni bilaterali cinesi, superando per la prima volta il dollaro. E i paesi in cui lo yuan è usato di più, anche solo come mezzo di pagamento, dovranno inevitabilmente detenere maggiori riserve nella valuta cinese.

Un altro importante fattore è lo sviluppo delle tecnologie digitali, soprattutto la tecnologia blockchain. Banche e altri operatori sono già in grado di usare le cryptocurrencies, come i Bitcoin o i cosiddetti stablecoins, per transazioni che potrebbero aggirare l’attuale infrastruttura globale dei pagamenti fondata sul sistema SWIFT di trasmissione dei messaggi. Sono sviluppi nuovi, dagli esiti ancora incerti, ma che potrebbero rendere il sistema dei pagamenti internazionali meno trasparente e in cui verrebbe fortemente ridotta la capacità dei paesi occidentali di imporre sanzioni finanziarie. Le nuove tecnologie potrebbero anche essere utilizzate per digitalizzare attività reali potenzialmente utilizzabili come riserve. Per esempio il World Gold Council ha avviato un progetto per creare un oro digitale che potrebbe semplificare gli scambi di questa materia prima.

Il rischio di un’economia internazionale frammentata

Difficile dire se iniziative, come la confisca delle riserve russe, possano imprimere un’accelerazione di queste tendenze che erano in atto anche prima dell’imposizione di sanzioni. Molti paesi del “global south”, come alcuni dei BRICs, che attualmente hanno legami con gli Stati Uniti ma anche con paesi loro antagonisti, potrebbero considerare questa misura come un pericoloso precedente che li spingerebbe ad aderire a nuovi sistemi monetari alternativi per motivi politici oltre che economici. Già oggi in Brasile le riserve in yuan hanno superato quelle in euro e si collocano al secondo posto dopo quelle in dollari.

Il rischio di un sistema economico sempre più diviso in blocchi non va quindi sottovalutato. Il costo sarebbe minore crescita e maggiore vulnerabilità a tensioni finanziarie. Ne potrebbe risultare anche un deterioramento dei rapporti tra Unione Europea e Stati Uniti. Alcune frizioni sono già visibili. L’esposizione dell’Unione Europea nei confronti della Russia, pari a 223 miliardi di dollari, è molto più alta di quella degli Stati Uniti (pari a 9,6 miliardi) o quella del Canada (2,9). Fa bene quindi l’Europa a esplorare opzioni meno radicali del sequestro delle riserve, come l’utilizzo dei profitti da esse generate, un’opzione di cui andrebbe comunque verificata la compatibilità con il diritto internazionale.

La divisione in blocchi può ancora essere evitata. La Cina stessa ha tutto l’interesse a mantenere l’integrazione finanziaria con l’Occidente. Con riserve in dollari pari a circa 1,8 trilioni di dollari, un rapido deterioramento della valuta americana danneggerebbe la sua posizione finanziaria. Una Cina ancora integrata nell’economia globale è molto meno pericolosa per l’economia mondiale di una Cina autarchica, a capo di un’alleanza antagonista del mondo occidentale.

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