La politica estera Usa cerca una terza via al realismo

Con l’invasione russa dell’Ucraina, il realismo sembra dettare nuovamente le regole del gioco nella politica mondiale. Come scrive Stephen Walt: “Siamo tornati in un mondo che è spiegato meglio dal realismo, un mondo in cui le grandi potenze competono per il potere e l’influenza e le altre si adattano come possono”.

Seguendo le argomentazioni realiste, dalla fine della Guerra Fredda, gli Stati Uniti si sono trovati nella posizione di rinunciare a una politica estera realista, ma quest’ultima adesso si sta prendendo una rivincita. Questa rivincita si manifesta non solo in una nuova guerra per procura tra grandi potenze in Ucraina, ma soprattutto nell’ascesa della Cina come sfidante egemonico. I realisti sostengono che gli Stati Uniti farebbero bene a rinunciare a una politica estera basata sui valori e a perseguire una chiara strategia realista.

Secondo John Mearsheimer, è stata la politica estera orientata ai valori delle democrazie occidentali ad aver portato alla guerra in Ucraina, in quanto finalizzata a trasformare l’Ucraina in un Paese occidentale tramite la prospettata adesione alla Nato e all’Ue. In realtà, questa visione è fuorviante per diverse ragioni.

Una terza via tra realismo e idealismo

In primo luogo, è assurdo o ingenuo pensare che la Russia non avrebbe invaso l’Ucraina se la Nato e l’Ue non avessero preso in considerazione l’adesione dell’Ucraina. È più probabile che ciò sarebbe avvenuto comunque, se non addirittura prima. Basta prendere in parola Putin, che ha negato al popolo ucraino il diritto all’autodeterminazione. 

In secondo luogo, il disporre di una rete di alleanze affidabili in tutto il mondo è una delle risorse più importanti per la sicurezza degli Stati Uniti. Per dirla con i realisti: è nel loro interesse nazionale. L’affidabilità di queste alleanze non si basa solo su preoccupazioni di sicurezza – per bilanciare le minacce – ma anche su valori condivisi.

In terzo luogo, la guerra in Ucraina sottolinea l’importanza dei valori e di una visione nel guidare e costruire le coalizioni. Ciò è evidente innanzitutto nella leadership normativa dell’Ucraina. La solidarietà tra democrazie espressa dall’ampio sostegno dei membri dell’Ue e della Nato all’Ucraina è radicata in valori condivisi: il diritto all’autodeterminazione e alla libertà dei popoli. Dopo la presidenza Trump, in cui la leadership statunitense era priva di una bussola normativa, l’amministrazione Biden è stata in grado di rinnovare la propria leadership all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina.

I realisti mettono in guardia da una politica estera statunitense guidata da valori, e hanno ragione quando questa assume tendenze missionarie (come, ad esempio, nel caso della guerra in Iraq) o quando conduce a una rigida dicotomia tra democrazia e autocrazia. Ma la risposta non è una politica estera realistica: una simile politica estera nega la possibilità di un cambiamento nella politica mondiale. Inoltre, una politica estera statunitense guidata unicamente dal calcolo realista piuttosto che dai valori indebolirebbe l’affidabilità delle alleanze e quindi la sicurezza degli Stati Uniti.

Cosa manca alla politica estera statunitense 

Per evitare i fallimenti missionari del passato, una politica estera basata sui valori e una leadership autentica richiedono una visione chiara. Come sostengo con l’idea della Communicative Power America, tale visione deve includere autocontrollo nell’uso del potere e riflessione critica sui propri valori.

L’autocontrollo e l’autoriflessione garantiscono che le future politiche estere degli Stati Uniti rispettino il diritto all’autodeterminazione degli altri Paesi e dei loro popoli, che è il nucleo normativo della leadership statunitense. Per essere efficace, questa visione deve essere vista dagli altri Paesi come sincera e autentica. Perché ciò avvenga, tale visione deve emergere da un consenso nazionale.

Gli Stati Uniti per primi devono credere in questa visione e aderire ai suoi valori. La “battaglia per l’anima della nazione”, come la definisce il presidente americano Joe Biden, non riguarda solo lo stato della democrazia americana, ma anche la leadership degli Stati Uniti nel mondo. La leadership normativa si basa sull’affidabilità e sulla genuina fiducia nei propri valori fondamentali. Tuttavia, la polarizzazione politica negli Stati Uniti e soprattutto le tendenze autocratiche del Partito Repubblicano minano le basi normative della leadership statunitense nel mondo.

Verso una nuova visione della politica estera?

A prima vista, nonostante la polarizzazione, sembra esserci un consenso bipartisan nel Congresso e tra l’opinione pubblica statunitense sulla giusta politica estera nei confronti di Russia e Cina. Con la scarsa performance nelle elezioni di midterm dei repubblicani di destra appoggiati da Trump, che avevano messo in discussione il sostegno all’Ucraina, l’impressione di un consenso bipartisan a riguardo si è rafforzata. Tuttavia, il consenso bipartisan sulla politica estera può anche accentuare una visione oppositiva tra il proprio Paese e gli altri e rafforzare l’immagine del nemico, aumentando così il rischio di guerre future. 

Una visione basata sui valori, sull’autocontrollo e sull’autoriflessione può prevenire questo pericolo, ma la politica estera degli Stati Uniti al momento ne è sprovvista. L’amministrazione Biden e la leadership del Congresso dovrebbero non solo proporre e avanzare visioni normative per la grande strategia degli Stati Uniti nel XXI secolo, ma anche coinvolgere la società civile negli sforzi per costruire un consenso a riguardo.

Foto di copertina EPA/CHRIS KLEPONIS

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