La missione Italcon in Libano (1982-1984): un bilancio critico

Per comprendere le ragioni del rinnovato attivismo italiano nel cosiddetto Mediterraneo allargato a partire dagli anni ’80, è necessario guardare alla politica estera di Roma nel lungo periodo. All’indomani del secondo conflitto mondiale l’Italia inaugurò una strategia di politica estera prudente, fondata sull’adesione all’Alleanza Atlantica. I governi italiani cercarono di massimizzare la “rendita di posizione” geografica riconosciuta dall’alleato statunitense nella logica della contrapposizione tra i due blocchi USA-URSS, inserendosi al contempo nel neonato sistema multilaterale e portando avanti in parallelo il processo di integrazione europea.

Questo approccio, complessivamente stabile nel tempo, permise in ogni caso dei momenti di relativa fluidità. Dal punto di vista diplomatico, Roma inaugurò con la fine degli anni ’70 il proprio impegno nel sistema di missioni internazionali multilaterali. L’assunto era che questa adesione – che continuerà con costanza anche dopo la fine della guerra fredda – potesse rinforzarne la posizione nello scenario internazionale, sfruttando soprattutto i maggiori gradi di libertà di cui l’Italia godeva già allora nel contesto mediterraneo.

Il caso Italcon

In questa fase di intraprendenza politica, in cui Roma talvolta riuscì anche a muoversi oltre l’ambito strettamente multilaterale, vennero inaugurati alcuni dei più interessanti strumenti di cooperazione internazionale. Tra questi spicca la missione Italcon condotta in Libano dal 1982 al 1984 nell’ambito della più ampia Multinational Force in Lebanon: la prima operazione priva dell’ombrello protettivo dell’ONU a cui partecipò l’Italia nel secondo dopoguerra.

Il contesto operativo delle missioni era indubbiamente molto complesso, perché oltre alle comunità locali agivano attori esterni come Israele, i fedayn palestinesi e la Siria, per giunta sotto le pressioni delle due superpotenze nucleari.

Per ovviare a queste difficoltà, l’Italia affiancò la funzione umanitaria allo strumento militare, in modo da mettersi nella condizione di essere il più apprezzato tra gli attori “esterni” attivi in Libano, riconosciuto tanto dai governi libanese e siriano, quanto dalle rispettive società. Iniziative come la realizzazione dell’ospedale da campo consegnato poi alle comunità civili in Libano al termine della missione, ma anche le capacità logistiche e tecniche dimostrate dal contingente Italcon, contribuivano ad accrescere questa percezione, favorendo l’obiettivo di lungo termine di instaurare una rete diplomatica efficiente per giungere ad una soluzione che riappacificasse le parti in causa.

Le policy dei governi italiani

Analizzando le policy adottate da Roma, è interessante notare un mutamento dell’atteggiamento dell’esecutivo italiano nei confronti degli attori internazionali e dei principali alleati, indicativo della nuova postura internazionale che si intendeva perseguire.

Sotto i governi Spadolini (1981-1982), l’Italia assecondò come da tradizione le istanze dell’alleato americano, quali la richiesta di dispiegamento di forze militari, sollevando un intenso dibattito politico nel paese. Con la nascita del nuovo governo guidato da Bettino Craxi (1983-1986), il presidente del Consiglio e il ministro degli esteri Giulio Andreotti si indirizzarono invece su una linea incentrata sullo sviluppare relazioni amichevoli in ambito politico ed economico con i paesi del Medio Oriente, cercando così di adottare una politica maggiormente autonoma.

Questo nuovo corso politico e la conseguente postura internazionale portarono ad un maggiore impegno italiano, che mirava a caratterizzarsi principalmente attraverso la partecipazione a missioni di pace e umanitarie, anche a costo di contraddire le pressioni degli alleati tradizionali, con esiti talora anche drammatici, come nel caso della crisi di Sigonella nell’ottobre 1985.

I limiti dell’intraprendenza italiana

Quest’intraprendenza non si tradusse tuttavia in un indirizzo strategico duraturo: un’assertività poco continua da parte dell’Italia, sommata a numerose debolezze della Forza Multinazionale e ad uno Stato libanese quasi del tutto disintegrato, portarono al fallimento della parte finale dell’operazione.

La missione Italcon ebbe comunque degli esiti importanti per l’Italia, sia in politica interna che estera, e per la sua immagine nel mondo. Da un lato il paese acquisì un ‘tesoretto’ di credibilità internazionale, dall’altro non venne del tutto superata l’impressione di una non perfetta affidabilità italiana tra gli interlocutori internazionali. L’Italia stentò insomma a scrollarsi di dosso la fama di alleato sostanzialmente solidale, ma dall’atteggiamento ondivago, propenso al compromesso al ribasso, se non opportunista. Un pregiudizio in parte spiegabile con il limitato interesse alle istituzioni sovranazionali da parte di larghi settori della politica nazionale, frutto di una campagna elettorale permanente che guarda costantemente al consenso interno sul brevissimo periodo piuttosto che alla programmazione e alla pianificazione.

 

Chiara Sturniolo è una studentessa iscritta al primo anno del corso di laurea magistrale di Scienze internazionali indirizzo studi europei presso l’Università di Torino.

Questo articolo è un estratto, rivisto e aggiornato, della tesi di laurea dell’autrice, “L’Italia e il Mediterraneo allargato. L’evoluzione della politica estera: dalle missioni in Libano ai nuovi scenari di crisi” (Corso di laurea triennale in Scienze internazionali, dello sviluppo e della cooperazione, relatore prof. Valter Maria Coralluzzo), vincitrice della seconda edizione (2023-2024) del premio di laurea “L’Italia e le relazioni internazionali: storia, politiche, prospettive” nella categoria tesi triennali. Il premio di laurea è promosso dallo IAI con il supporto della Fondazione Compagnia di Sanpaolo e con il patrocinio del Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino.

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