La diplomazia sportiva ai tempi della contestazione globale

L’idea che lo sport rappresenti un’attività universale, capace di contribuire a superare le differenze tra i popoli e favorire la comprensione reciproca, è uno dei principi fondativi del movimento olimpico moderno, così come inteso dal suo fondatore, il barone Pierre de Coubertin.

Come si può conciliare questa visione con uno scenario internazionale come quello contemporaneo, segnato dalla crisi di istituzioni e norme condivise, dalla messa in discussione dell’egemonia statunitense da parte di una pluralità di potenze emergenti e da un accresciuto rischio di tensioni e frammentazione della governance globale? In che modo la critica delle norme, dei principi e dei valori dominanti si traduce in contestazione negli stadi, sugli spalti e sui terreni di gioco – ed è possibile arrivare a definire una concezione diversa e più condivisa, ‘post-olimpica’, di sport?

La contestazione a Pechino 2022

Sono le domande di fondo che pone lo special core Olympic Diplomacy as Contestation, curato da Emidio Diodato e Veronica Strina sull’ultimo fascicolo di The International Spectator, che verrà presentato nel corso di un webinar dedicato il prossimo 20 giugno. La riflessione prende le mosse da una serie di dinamiche emerse nel corso delle ultime edizioni dei Giochi: da Sochi 2014 e Rio 2016 sino alle recenti Olimpiadi di Pechino 2022, i protagonisti emergenti sul palcoscenico della diplomazia olimpica sono stati i Paesi appartenenti al gruppo dei BRICS. Specialmente nel caso dei Giochi invernali di Pechino, il governo del Paese ospite ha sfruttato il ruolo di organizzatore per segnalare al resto del mondo la propria visione delle relazioni internazionali, in cui gli assetti e le gerarchie esistenti vengono almeno in parte messi in discussione.

Da questo punto di vista, i giochi invernali di Pechino 2022 segnano un cambio di passo rispetto alle Olimpiadi di Pechino 2008: come evidenziano Michelle Cabula e Stefano Pochettino, i Giochi del 2008 avevano voluto dimostrare al pubblico globale l’ascesa della Repubblica popolare come paese tecnologicamente ed economicamente avanzato, ma nel quadro di un complessivo adattamento alle norme e ai paradigmi esistenti. Con i Giochi del 2022, si registra una maggiore enfasi su una reinterpretazione dei valori olimpici – e, per estensione, di quelli dell’ordine internazionale – in chiave cinese, alla luce della millenaria storia e civiltà del paese: una contestazione ‘dall’interno’ dello status quo, orientata in senso riformista più che non revisionista in senso stretto.

La nuova narrazione sviluppata da parte cinese attorno ai Giochi è stata a sua volta oggetto di contestazione: l’esempio più eclatante è stato l’annuncio del boicottaggio diplomatico dell’evento da parte dell’amministrazione Biden, in risposta ai “crimini contro l’umanità” perpetrati dal governo cinese nello Xinjiang. Quanto questo discorso abbia fatto breccia sui media di quattro paesi europei (Germania, Italia, Romania, Lituania) è oggetto di analisi da parte di Veronica Strina e Michael Göbbel. Nel complesso, il boicottaggio diplomatico e le violazioni dei diritti umani in Cina sono diventati tema di discussione in relazione ai Giochi prima dell’evento, passando però rapidamente in secondo piano una volta che sono iniziate le competizioni. Notevoli sono state anche le differenze tra i Paesi: mentre in Germania l’attenzione al tema dei diritti umani è stata abbastanza elevata, i media italiani hanno dedicato meno spazio alla questione.

Un focus specifico ai temi ambientali è infine al centro dello studio di Francesca Vomeri e Maurizio Gregori. Il governo cinese ha raccontato il proprio impegno per minimizzare l’impatto dei Giochi in maniera profondamente diversa nel 2008 e nel 2022: nel caso dei Giochi estivi del 2008, enfatizzando gli sforzi fatti per allinearsi agli standard ambientali condivisi a livello internazionale; in occasione dei Giochi invernali quattordici anni dopo, proponendosi invece come paese all’avanguardia a livello mondiale, capace di produrre un vero e proprio “miracolo” in termini di miglioramento della qualità dell’aria. Anche in questo ambito, la narrazione del governo cinese è stata oggetto di contestazione da parte dei media occidentali, specie anglofoni, che si sono concentrati ad esempio sull’enorme consumo di acqua per produrre la neve artificiale necessaria per i Giochi.

Il calcio in Medio Oriente

Oltre alle Olimpiadi, l’altro megaevento sportivo che ha visto negli ultimi anni un crescente protagonismo di paesi non-occidentali è stata la coppa del mondo di calcio, specie a seguito dell’assegnazione dell’edizione del 2022 al Qatar. Se è vero che l’interesse per il calcio nei Paesi del Golfo è un fenomeno relativamente recente, tuttavia, lo stesso non si può dire per quelli del Nordafrica: come sottolineano René Wildangel e Jan Busse, sulla sponda Sud del Mediterraneo il calcio è stato importato già a fine Ottocento dai colonizzatori britannici, caratterizzandosi originariamente come strumento di controllo delle popolazioni locali, ma trasformandosi successivamente in un fattore identitario nel contesto dell’emancipazione nazionale.

Lo studio di Cinzia Bianco e Sebastian Sons sottolinea come, al contrario, nei paesi del Golfo persico il calcio – e in più generale lo sport – sia stato promosso dall’alto dai governi come strumento politico e diplomatico, per consolidare il proprio status a livello regionale e internazionale, diversificare le economie e rafforzare la base di potere interna. Questo approccio è stato perseguito in modo sistematico negli ultimi due decenni specialmente da parte del Qatar e degli Emirati Arabi Uniti, seguiti più recentemente (e finora con minor successo) dall’Arabia Saudita. Questi sforzi si inseriscono nel quadro di un più ampio impegno sul terreno della diplomazia culturale, inclusa quella museale, come analizzato da Serena Giusti e Alessandro Lamonica.

L’assegnazione della Coppa del mondo al Qatar è stata però al centro di accese polemiche: si tratta solo di uno degli esempi più eclatanti del livello di politicizzazione che da sempre caratterizza il processo di scelta del Paese ospite da parte dell’organizzazione che governa il calcio mondiale, la FIFA, come evidenzia l’articolo di Francesco Belcastro. Le prese di posizione pubbliche del presidente Gianni Infantino a favore di una possibile candidatura congiunta di Israele ed Emirati Arabi per l’edizione del 2030, a ridosso dell’annuncio degli Accordi di Abramo nel 2021, sono la dimostrazione plastica di come le grandi organizzazioni sportive internazionali, a dispetto della loro professata neutralità, tendano a inserirsi nel dibattito politico internazionale, assumendo di volta in volta posizioni coerenti con i propri specifici interessi.

In copertina EPA/MAXIM SHIPENKOV

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