Italia-Ue: se il pragmatismo non basta

Nel corso del 2023, il governo guidato da Giorgia Meloni ha perseguito una politica europea nel complesso pragmatica verso i partner europei e le istituzioni Ue. Compatibilmente con le diverse sensibilità interne alla coalizione di governo, che appartengono a tre distinte famiglie politiche europee, il governo ha cercato una sintesi, mettendo al centro la rivendicazione dell’interesse nazionale sui principali dossier europei rilevanti per l’Italia.

I toni euroscettici del periodo trascorso all’opposizione sono stati sostituiti da un atteggiamento più cauto e realista, orientato a trovare di volta in volta un’intesa di compromesso con i tradizionali partner in Europa e con la Commissione europea. Al tempo stesso, questo approccio ‘transazionale’ nei confronti della politica europea ha mostrato chiari limiti, soprattutto nell’ambito del dibattito sul futuro dell’Unione, in particolar modo riguardo a settori chiave come la politica migratoria e la governance economica.

Meno Visegrád, più Germania

Nel corso dell’anno, i rapporti bilaterali hanno seguito spesso direttrici diverse rispetto a quelle che ci si sarebbe attesi guardando al posizionamento dei partiti di maggioranza. L’affinità ideologica con i governi del gruppo di Visegrád si è tradotta in scarsi risultati dal punto di vista della policy. Ciò è risultato particolarmente evidente nel tentativo di dialogo con Ungheria e Polonia riguardo la redistribuzione delle quote di migranti: i governi di Budapest e Varsavia hanno chiuso la porta a possibili mediazioni, specie sulle riforme del regolamento di Dublino.

In parallelo, l’Italia ha rafforzato la cooperazione bilaterale con la Germania. In occasione del Consiglio europeo informale di Granada di inizio ottobre, la mediazione di Roma e Berlino è stata centrale per trovare una soluzione di compromesso. La collaborazione tra i due paesi si è poi strutturata ulteriormente nei settori energetici e delle politiche di difesa. A testimonianza di questa sinergia va segnalato in particolare il Piano di Azione bilaterale siglato il 22 novembre 2023, che copre una varietà di ambiti, tra cui la cooperazione tecnologica e scientifica bilaterale nel contesto europeo, gli investimenti congiunti nelle fonti energetiche rinnovabili e la diplomazia climatica, il settore della difesa, i diritti umani e le migrazioni, e la tutela del patrimonio culturale, i giovani e la cooperazione tra think tank. Il piano bilaterale rappresenta idealmente un complemento al trattato Franco-tedesco di Aquisgrana del 2019 e al Trattato “del Quirinale” del 2021, pur non essendo, a differenza di questi due, un trattato internazionale.

I rapporti con la Francia proseguono su un binario altrettanto indirizzato: l’intesa tra i due paesi è stata confermata dall’incontro tra Meloni e Macron all’Eliseo il 20 giugno 2023, da cui è emersa una strategia condivisa di rimpatri e controllo dei movimenti migratori primari, poi ribadita nell’incontro bilaterale a Palazzo Chigi del 26 settembre. In questo ambito, dunque, l’azione del governo Meloni si è mossa in una sostanziale continuità con il governo Draghi che lo aveva preceduto.

I rapporti con la Commissione

Una certa continuità è visibile anche nella ritrovata intesa con la Commissione europea su alcuni specifici dossier: anche in questo senso sembra lontano il tempo in cui la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen paventava un intervento di Bruxelles in caso di “orbanizzazione” dell’Italia.

In primo luogo, è stata positiva l’interlocuzione del ministro per gli Affari europei sulla revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che ha portato all’erogazione della quarta rata degli stanziamenti messi a disposizione dell’Italia dal programma di ripresa Next Generation EU.

Il secondo esempio di convergenza tra Roma e Bruxelles, anch’esso in continuità con il governo Draghi, riguarda il sostegno dell’Italia a Kyiv e alla politica di allargamento, rivitalizzata dall’invasione russa dell’Ucraina dopo anni di stagnazione. Lo sforzo è culminato nel Consiglio europeo del 14 dicembre, con cui si è deciso di avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina e con la Moldova e, potenzialmente con la Bosnia-Erzegovina, oltre a riconoscere lo status di paese candidato alla Georgia.

Un terzo ambito di dialogo tra Roma e Bruxelles ha riguardato il già citato dossier delle migrazioni: il governo italiano ha infatti contribuito alla chiusura del nuovo Patto su migrazione e asilo, il cui negoziato andava avanti dal 2020 e che adesso attende solo la ratifica da parte del Parlamento europeo. Dal canto suo, la Commissione europea ha sostenuto la strategia di esternalizzazione della gestione della migrazione sostenuta dall’Italia, come testimoniato dalla visita congiunta di Meloni e von der Leyen in Tunisia a luglio, che ha portato alla firma del Memorandum of Understanding tra Unione Europea e Tunisia, e dal sostanziale benestare agli accordi sottoscritti con l’Albania lo scorso novembre.

La prova delle riforme strutturali dell’Ue

Le difficoltà italiane sono invece state più evidenti nell’ambito dei processi di riforma dell’Unione, dove le ambizioni del governo Meloni escono fortemente ridimensionate da una fine dell’anno difficile. Il governo non è riuscito a incidere in modo significativo sul cruciale dossier della riforma del Patto di stabilità e crescita: rispetto alla iniziale proposta della Commissione, si è arrivati a un testo finale rivisto in chiave di minore flessibilità, principalmente per iniziativa tedesca, che rischia di limitare i margini di manovra per i governi italiani negli anni a venire. A poco è servito il veto, prima minacciato e poi attuato dall’Italia, alla ratifica del nuovo trattato sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes) – un atteggiamento con cui Roma ha piuttosto dato prova di inaffidabilità e incoerenza. Di fatto, la posizione dell’Italia è rimasta vittima di una spirale politica interna legata alla competizione tra i vari partiti politici di maggioranza e parte dell’opposizione, poco legata a una discussione nel merito delle implicazioni per il paese dell’adozione di un Mes riformato.

Ulteriore nodo strutturale che resta da sciogliere è quello delle questioni migratorie. Da questo punto di vista l’Italia, come tutti i paesi mediterranei, rischia di rimanere isolata nel tentativo di avanzare le proprie istanze, specie quelle derivanti dalla difficile gestione dei rapporti con la regione del Mediterraneo. L’accordo raggiunto sul Nuovo patto sulla migrazione e asilo, rafforzando i controlli e relativi obblighi degli stati di prima accoglienza, potrebbe infatti finire per penalizzare l’Italia e i paesi di primo approdo.

In vista delle elezioni europee del giugno 2024, il governo Meloni potrebbe dover far fronte a tensioni sia legate alla competizione interna alla coalizione, sia al complesso gioco delle alleanze a livello Ue. Rimangono da valutare gli esiti e le possibili ricadute del tentativo, esplicitato dalla premier anche nella conferenza stampa di fine anno, di creare una coalizione alternativa alla “maggioranza Ursula” attraverso un’alleanza con i popolari europei – anche se Meloni non ha escluso la possibilità di un sostegno italiano alla rielezione di Von der Leyen (se sarà candidata) pure nella ipotesi che si confermi sul suo nome una maggioranza simile a quella che l’aveva eletta nel 2019.

 

Questo articolo è basato sul capitolo “I rapporti con l’Europa” predisposto dagli autori per il Rapporto sulla politica estera italiana 2023 dello IAI, che verrà presentato in Istituto il 6 febbraio p.v. alle 17:30.

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