L’intervista a Nadav Kipnis, figlio dei due italo-israeliani sequestrati e uccisi da Hamas

Pubblichiamo il testo dell’intervista a Nadav Kipnis del 31 ottobre realizzata da Francesco De Leo, direttore di Affarinternazionali, per RadioRadicale

Nadav Kipnis, figlio di Eviatar e Lilach, la coppia di italo-israeliani sequestrati nel kibbutz di Be’er durante il barbaro attacco del 7 ottobre, poi uccisi da Hamas assieme al badante e a un suo zio. Benvenuto a Radio Radicale, Nadav, e davvero grazie di esserci. Torniamo a quella data maledetta, Nadav.  Cosa è successo il 7 di ottobre?

“Mi sono svegliato, ma non ero a Be’eri, ero a Be’er Sheva. Ci siamo svegliati con gli allarmi che suonavano intorno alle 9.30 e abbiamo deciso di andare verso nord immediatamente per stare lontano dai razzi. Mentre stavamo guidando verso nord, su un’applicazione che utilizziamo nel kibbutz le persone hanno iniziato a messaggiare riguardo la situazione. Fino a quel momento non pensavamo fosse qualcosa di troppo irregolare. Ma poi abbiamo iniziato a vedere le persone che scrivevano delle loro case che erano state incendiate, dei loro interi quartieri che erano stati presi dai terroristi, di persone che erano state sequestrate, del fatto che avevano sentito degli spari, che avevano visto dei corpi e a quel punto abbiamo iniziato a capire che cosa stesse succedendo. Eravamo attaccati alle notizie e speravamo di ricevere qualche messaggio dai miei genitori e dalla mia famiglia, perché avevamo capito che i terroristi stavano facendo dei raid, stavano uccidendo e mettendo fuoco alle case.
Speravamo che i miei genitori stessero bene, ma non abbiamo avuto nessun contatto con loro. Anche mio zio, mia zia e la sua famiglia. A quel punto abbiamo iniziato a sperare che ad un certo punto qualcuno li avrebbe salvati.

Ma più tempo passava e più non sentivamo alcuna notizia. Poi abbiamo iniziato a ricevere notizie di corpi morti, di persone nel kibbutz che erano state dichiarate morte. Ma ancora non ricevevamo alcuna notizia, quindi abbiamo dato per scontato che la mia famiglia era stata sequestrata e abbiamo fatto qualsiasi cosa nel nostro potere per avere qualche notizia in quel momento. Abbiamo parlato con la stampa italiana, viste le mie origini italiane, con il governo italiano e sono stati molto d’aiuto, hanno provato ad aiutarci, ci hanno detto che avrebbero aiutato con le negoziazioni. Poi abbiamo ricevuto un messaggio che diceva che entrambi i miei genitori erano stati sequestrati. E solo due giorni dopo questo messaggio abbiamo ricevuto la notizia che mio padre era stato ucciso.
Soltanto all’inizio della scorsa settimana abbiamo ricevuto un altro messaggio in cui si diceva che anche mia madre era morta. E sappiamo anche che sono morti mio zio e il badante di mio padre. A parte ciò abbiamo 7 membri della famiglia che sono ancora ostaggi di Hamas e stiamo facendo qualsiasi cosa in nostro potere per ricevere alcuna notizia su di loro e per spingere per il loro rilascio.”

Tanti familiari degli ostaggi rapiti il 7 ottobre sono stati ricevuti dal primo ministro Netanyahu. Qual è la tua richiesta al governo di Israele? Cosa pensi di quello che chiede Hamas? Ostaggi israeliani liberi in cambio della liberazione di tutti i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane? 

“Come prima cosa voglio dire che non sono un politico, so che le famiglie degli ostaggi come me stanno soltanto spingendo per un accordo per il rilascio degli ostaggi, perché questo è l’unico modo che pensiamo possa funzionare per il rilascio in sicurezza dei nostri cari. Quindi stiamo cercando di spingere su questo in qualsiasi modo possiamo.
Protestando, parlando con la stampa. Non so in realtà se questo è il modo corretto per farlo, ma so che dobbiamo farlo.”

C’è stato qualche giorno fa il funerale di tua mamma. Ti siamo molto vicini, tantissime condoglianze da Radio Radicale. Qual è il ricordo dei tuoi genitori che vuoi sia trasmesso a chi ti sta ascoltando via radio dall’Italia?

“Penso che ciò che vorrei condividere è che i miei genitori erano persone di pace. A parte essere ovviamente persone che vivevano pacificamente, a parte il fatto che erano soltanto civili, che vivevano nelle loro case senza fare del male a nessuno, loro hanno lavorato attivamente per la pace con i palestinesi. Mia madre era in un gruppo chiamato Women Want Peace, “le donne vogliono la pace”, di cui facevano parte sia donne israeliane che palestinesi che stavano protestando e lavorando attivamente per la pace tra Israele e Palestina. Mio padre ha donato a due ospedali a Gaza. Entrambi stavano anche attivamente cercando di imparare l’arabo così che potessero parlare con chi li circondava.
E questo riguardo i miei genitori, ma a parte loro c’è anche mia zia che è ancora ostaggio al momento con la sua famiglia. Lei ha fondato un’organizzazione non governativa chiamata Fair Planet che dà informazioni su come coltivare, che spedisce semi a paesi del terzo mondo, che aiuta i contadini a coltivare i propri campi. E alcuni di questi paesi sono anche paesi musulmani. Anche lei è una donna di pace. e penso che è una tragedia che queste persone che hanno lavorato per la pace sono state uccise, sono state tenute con ostaggio e chissà in quale condizione.”

Cos’è Hamas, un gruppo terrorista che ha sequestrato la causa palestinese con un unico obiettivo, cancellare lo Stato d’Israele dalla mappa del Medio Oriente? Cos’è per te?

“Hamas non è una minaccia soltanto per Israele. Penso che questo sia qualcosa che le persone devono realmente sapere. Hamas sta attaccando Israele in questo momento perché è l’obiettivo più vicino, ma Hamas non sta attaccando soltanto Israele. Loro stanno facendo la guerra contro chiunque non condivide i loro ideali. Al momento è Israele e gli ebrei, ma abbiamo anche visto altri casi in Europa, in Francia, a Bruxelles, le persone venivano attaccate da altre persone che supportavano le ideologie di Hamas. Quindi Hamas non sta attaccando soltanto gli israeliani, sta attaccando chiunque non condivide i loro ideali e dobbiamo iniziare a considerarli una minaccia per tutti, non solo per Israele, e dobbiamo cercare di fermarli.”

Che significato ha per gli ebrei e per la storia di Israele, il tuo paese, il 7 ottobre del 2023?

“Penso che questo giorno rappresenta qualcosa che non avremmo mai pensato potesse succedere di nuovo. Dopo l’Olocausto abbiamo promesso mai più, e molti paesi in Europa hanno promesso mai più e poi è successo. Questi sono eventi che secondo me nessuno dovrebbe vivere. Intere famiglie private dei loro bambini che perdevano i loro familiari, bambini che venivano uccisi, donne che venivano stuprate, massacri che sono così crudeli che non riescono nemmeno a descrivere.

Io penso che questo è un giorno, è una chiamata per svegliarci, non solo Israele, ma per chiunque. È una chiamata che ci porta a difendere noi stessi. Al momento penso che la nostra priorità più importante è assicurarci che nessuno riceva del male come quello che è stato fatto alla mia famiglia. Quindi penso che questo è un giorno che rappresenta il fatto che può succedere e dobbiamo fare del nostro meglio per assicurarci che nulla come questo possa succedere più.”

Nadav, qual è la forza che ti spinge ad andare avanti dopo tutto questo?

“Penso che la forza venga dal fatto che ho ancora una parte della famiglia che devo salvare, ho ancora modi per aiutare. Da quel posto io so che ho ancora delle cose, dei messaggi da condividere, devo provare, devo ricevere aiuto per la mia famiglia e per i miei amici e il fatto che io posso ancora fare queste cose, questo mi dà la forza.”

foto di copertinaANSA/ANGELO CARCONI

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