VIENNA L’uscita di scena di Sebastian Kurz si è svolta in due fasi: il 9 ottobre ha fatto “un passo di lato”, mantenendo le funzioni di di capo del partito e del gruppo parlamentare; il 2 dicembre ha fatto “un passo indietro”, in tedesco sinonimo di ritiro, abbandonando quelle cariche. Se meno di due mesi fa si pensava che si preparasse ad una rivincita elettorale, come nel 2019, ora si parla di “fine dell’era Kurz”.
Cosa ha determinato la caduta dell‘enfant prodige del conservatorismo liberale europeo? Essenzialmente, si era fatto molti nemici. A cominciare dai due più forti partiti di opposizione, i socialdemocratici e i nazionalisti (Fpö), entrambi ex-alleati da lui successivamente scaricati. Ma insieme a loro anche i Neos (liberali) lo hanno duramente attaccato per la protezione accordata all’alto funzionario Thomas Schmid e i servigi da lui ottenuti. Cosicché la commissione parlamentare di inchiesta sull’Ibizagate, nata a seguito della forte propensione alla corruzione dimostrata da Heinz-Christian Strache, si era trasformata in un tribunale sulla presunta corruttibilità di Kurz e dei suoi stretti collaboratori.
Persino i verdi, junior partner nella coalizione, a seguito delle successive indagini avviate dalla Procura anti-corruzione hanno messo da parte la presunzione di innocenza. La capogruppo ha tacciato Kurz di corruzione e comportamenti inaccettabili; e la presa di distanze del vice-cancelliere Werner Kogler è stata determinante per le dimissioni di Kurz da capo del governo. Gli stessi Verdi ribadiscono però la volontà di proseguire la collaborazione di governo con i popolari (senza Kurz), malgrado i numerosi dissensi. In altre parole, la volontà di restare al potere.
Dal nero al turchese (e ritorno)
L’opera di demolizione è venuta anche dall’interno del Partito popolare, sebbene al momento delle dimissioni da Cancelliere, in ottobre, una schiacciante maggioranza (99.4%) gli avesse confermato la fiducia. Quelle dimissioni, escluse pochi giorni prima, erano venute quando si era delineata una tacita presa di distanza da parte di qualcuno dei “Granden”, i maggiorenti, governatori di diverse regioni.
Tutti loro ora, nel rendere omaggio alla decisione di Kurz di lasciare la politica, la definiscono “inevitabile”. Sottinteso: le procedure giudiziarie avviate dalla Procura potrebbero produrre nuove accuse e comunque dureranno mesi o anni; non è nell’interesse del partito avere un leader che viene rosolato a fuoco lento.
Ma in realtà quanto avvenuto in questi giorni può leggersi anche come una riscossa di questi maggiorenti, che avevano dovuto ingoiare la trasformazione dell’Övp da partito oligarchico da loro governato collettivamente in un partito personale del rampante giovanotto viennese. Trasformazione evidenziata sostituendo il nome ufficioso: non più “nero” ma “turchese”. Adesso la vernice “turchese” viene grattata via, assisteremo ad una restaurazione “nera” (in Austria questo colore non si identifica con la destra estrema, che ha invece adottato il blu).
Resta da vedere se l’ostracismo di un leader giovane e di eccezionale talento, che aveva raddoppiato i consensi elettorali portandoli dal 19 circa al 38%, non opacizzerà l’immagine dell‘Övp, ripristinando quella tradizionale di un partito immobilista, dedito solo alla gestione del potere, e facendolo scivolare al secondo posto dietro i socialdemocratici.
Proprio quella popolarità, conquistata da Kurz grazie alle sue grandi doti di comunicatore e ai suoi modi garbati, e non certo solo alla manipolazione di sondaggi di opinione organizzata da suoi sodali (ipotizzata dalla suddetta Procura), gli ha fruttato l’ostilità di molti opinion-makers. Il successo di un giovane di bella presenza non laureato può generare insofferenza. Specialmente se si atteggia a innovatore e si rivela poi essere un conservatore.
Difficile dire se quesa antipatia diffusa nelle élite assai più che nella popolazione abbia influenzato le decisioni dei magistrati della Procura anti-corruzione. Di sicuro il loro modo di procedere – perquisizioni, sequestro di computer e cellulari, pubblicità data alle indagini – è apparso alquanto drastico se non ostile. Al punto da essere criticato dalla ombudsman per il settore giustizia.
Valzer (di poltrone) a Vienna
Quanto alle dimissioni del cancelliere Alexander Schallenberg, si spiegano anche queste con le dinamiche all’interno del partito (tuttora) di maggioranza relativa: l’Övp deve darsi un nuovo leader e Kanzlerkandidat in vista di eventuali elezioni, e questi deve essere un politico. Schallenberg, che è entrato nel partito solo nel 2020 una volta diventato ministro degli Esreri, non è un politico e non ha l’ambizione di diventarlo. E inoltre è un fedelissimo di Kurz. Resta però nel governo rimpastato riprendendosi dopo una parentesi di 52 giorni il portafoglio degli Esteri.
Altre dimissioni eccellenti quelle del ministro delle Finanze Gernot Blümel, molto vicino a Kurz e anche lui coinvolto nelle vicende di cui si è occupata la Ibiza-Kommission, in particolare la nomina di Thomas Schmid a capo della holding delle partecipazioni statali. Gli succede il poco noto Magnus Brunner, sino a ieri sottosegretario all’ambiente.
Nuovo cancelliere sarà Karl Nehammer, sinora ministro dell’Interno, molto appoggiato dalla influente governatrice della Bassa Austria Johanna Mikl-Leitner (così pure dicasi del suo successore, Gerhard Karner). Per costruirsi una immagine di leader deve mostrare di avere in mano le redini del governo, e scegliersi almeno alcuni membri della squadra. Ha subito designato i nuovi titolari di Interni e Finanze e, a sorpresa, dell‘Istruzione. Come sottosegretaria alla Cancelleria ha scelto la presidente dei Giovani Popolari, Claudia Plakolm.
La linea politica non dovrebbe cambiare. Nehammer è, come Kurz, un liberal-conservatore, sostenitore di una politica restrittiva in materia migratoria. Ha fama di essere incline ad usare espressioni forti e prendere provvedimenti drastici. Nei vertici internazionali l’Austria avrà un rappresentante meno brillante e meno esperto in politica estera che Kurz. La continuità sarà assicurata dal ritorno di Schallenberg agli Esteri.
Foto di copertina EPA/CHRISTIAN BRUNA